Squarci di testimonianze #40: il buon vicinato dei Beati della famiglia Ulma
L’immagine
ufficiale |
Mi sono molto interrogata se dedicare o meno un post alla beatificazione, avvenuta oggi a Markowa in Polonia, della famiglia Ulma, ovvero il capofamiglia Józef, sua moglie Wiktoria Niemczak e i loro sette figli, ovvero (tra parentesi i rispettivi soprannomi) Stanisława (Stasia), Barbara (Basia), Władysław (Wladzio), Franciszek (Franuś), Antoni (Antoś), Maria (Marysia) e l’ultimo (non è stato dato di capire se fosse maschio o femmina), che era in avanzata gestazione quando la madre fu uccisa, insieme al suo sposo e poco prima che non venissero risparmiati gli altri bambini.
Non
sento, infatti, di avere un grosso legame con loro: posso solo dire di aver letto
per la prima volta i nomi dei due genitori nell’elenco dei Santi, Beati, Venerabili, Servi di Dio e Testimoni Sposi riportato nell’Enciclopedia dei Santi, Beati
e Testimoni (ora che ci penso, dovrei aggiornarlo) e di aver rinnovato la
relativa scheda biografica ogni volta che mi accadeva di leggere sviluppi della
causa, ovvero quando è stata scorporata dal gruppo dei Servi di Dio Henryk
Szuman e centoventun compagni (nel 2001; oggi la causa conta settantadue candidati, esclusi, dal 2017, anche gli Ulma) e quando è stato promulgato il
decreto sul martirio.
Moltissimi
giornalisti, più rinomati e affermati di me, si sono dedicati alla loro storia,
sottolineando ora un aspetto, ora l’altro. Spesso, a quanto pare, hanno
commesso errori tali da spingere il Dicastero delle Cause dei Santi a emettere
una Nota di chiarimento di alcuni elementi, raccontati non secondo la verità
storica a cui si è pervenuti durante la causa.
Mi sono
anche procurata un libro uscito proprio pochi giorni fa per cercare di entrare
più in comunione con loro, ma non ho trovato molti elementi che mi rendessero
affine almeno a qualcuno dei sette nuovi Beati. Stiracchiando un po’, potrei
dire che mi sento più vicina ai figli, perché anch’io sono stata educata alla
fede dai miei genitori, o alla loro madre, per via dei miei trascorsi come attrice
amatoriale nella parrocchia da cui provengo.
Non
valeva la pena, dunque, di spendere i miei proverbiali due centesimi per un
post che non verrà letto quasi da nessuno. Eppure, per non deludere chi si
aspettava che scrivessi di questa vicenda, sento di provarci ugualmente.
L’idea
che mi sono fatta è che gli Ulma, padre, madre e figli (anche se di loro si sa
pochissimo), abbiano vissuto il Vangelo, ma vale per tutte le storie dei veri
Testimoni. Nel loro caso, però, anche la loro copia della Bibbia era “vissuta”,
cioè consumata e segnata.
In
particolare, erano due i passi su cui sono rimaste delle note: l’intitolazione
del passo del Vangelo di Luca dov’è riportata la parabola del buon samaritano,
sottolineata in rosso e accompagnata da un “Sì”, ma anche un versetto del
Discorso della Montagna, nel Vangelo di Matteo: «Se amate quelli che vi amano,
quale ricompensa ne avete?».
È il
versetto che precede quello che monsignor Mario Delpini ha scelto per il suo
primo Discorso alla Città come arcivescovo di Milano: Per un’arte
del buon vicinato – «Se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa
fate di straordinario?» (Mt 5,47).
Nella
sua esposizione, chiarisce in che senso il buon vicinato sia da considerare un’arte
composta da tanti gesti minimi: lo sguardo, il saluto, il rispetto, la vigilanza (che non è sospetto, ma neanche curiosità pettegola) e le forme creative per
favorire l’incontro in circostanze tristi e liete, comprese le ricorrenze di
altre tradizioni religiose.
Immagino
che a Markowa si vivesse così, da quello che ho letto e ascoltato: era un villaggio
rurale di circa quattromila abitanti, dove la vita era regolata dai ritmi della
campagna, ma anche dove si tentavano esperimenti civili insoliti per l’epoca,
come le prime realtà cooperative; inoltre, la terra che i contadini coltivavano
era di loro proprietà.
Le
famiglie ebree che vi abitavano erano una trentina, tanto da avere tre bet
midrash (case di preghiera) per loro. Godevano degli stessi diritti di
tutti i cittadini, fino al 15 ottobre 1941: Hans Frank, che reggeva il Governatorato
Generale, la zona di occupazione tedesca sotto cui ricadeva il villaggio, emise un decreto
per il quale era prevista la pena di morte sia agli ebrei che lasciavano il
ghetto o distretto a loro assegnato, sia ai polacchi che li nascondevano o li
aiutavano.
Non dev’essere
stato facile, per Józef e Wiktoria, decidere di ascoltare le famiglie che
avevano bussato alla loro porta, verso la fine dell’estate del 1942, e di
nasconderle in casa. Eppure, sapevano di doverlo fare per adempiere quello che
il Signore chiede ai discepoli di ogni tempo, ovvero di avere un amore
straordinario come il Suo. In effetti, quando a Józef veniva fatto notare che agendo
così metteva in pericolo l’intera famiglia, rispondeva:
Sono
persone e non le caccerò via.
In
tutto questo, viene da pensare che i bambini non c’entrino nulla, sia come
vittime innocenti, sia perché, avendo età comprese tra gli otto anni e l’anno e
mezzo, non potevano intervenire nelle questioni familiari.
Sono però stati inclusi con i genitori nello stesso gruppo di martiri (intendo quelli che prima erano centoventuno e poi sono diventati ottantanove loro compresi) perché rappresentano il frutto di un’educazione basata sulla preghiera – un’amica di famiglia ricorda di aver visto pregare le prime due bambine insieme al padre, mentre la madre era a letto dopo la terza gravidanza – e sul rispetto per ogni persona.
Suor Maria Elżbieta Szulikowska, autrice di una monografia su Wiktoria e di altre pubblicazioni sui Beati Ulma, specie per l’infanzia, in una recente intervista ha citato una sua frase, decisamente illuminante su come lei intendesse l’educazione:
I bambini sono come i
fiori: hanno bisogno di tanto amore, saggezza, attenzioni e cure adeguate.
Un’ultima
parola sulle circostanze che hanno contribuito a far diventare
una vera notizia la beatificazione degli Ulma (non sempre, purtroppo, le
beatificazioni sono notiziabili, anche nella comunicazione cattolica) soprattutto
qui in Italia.
Due
anni fa, Filippo Peschiera, curatore del progetto Sacre Questioni, ha
intervistato don Witold Burda, postulatore della causa degli Ulma dallo
scorporo, ovvero dal 2017 (non ho idea di come sia riuscito a contattarlo). Al
tempo penso proprio che, in giro su Internet, su di loro ci fosse solo la
scheda su santiebeati e poco altro. Ora, invece, c'è il sito del museo di Markowa in onore di tutti i polacchi che hanno accolto degli ebrei, che riproduce anche la ricostruzione della loro casa, ma soprattutto il sito ufficiale della beatificazione.
Nel dicembre
2022 Manuela Tulli, giornalista dell’agenzia Ansa, ha scoperto la loro storia durante
un viaggio di lavoro per documentare la guerra in Ucraina. Alla stazione di Przemýsl,
che è in territorio polacco ma molto vicino all’Ucraina, lei e i colleghi con
cui viaggiava hanno incontrato i vescovi e i sacerdoti locali, che hanno
illustrato il loro impegno caritativo.
L’interprete
era proprio don Burda, il quale ha regalato alla giornalista un libro sugli Ulma
e alcuni santini, chiedendole di parlare di quella storia. Era il secondo
incontro che aveva con loro, dopo aver visto una loro immagine nella cappella
dell’aeroporto di Rzezów.
Alcuni
giorni dopo il ritorno in Italia, la giornalista ha ritrovato gli Ulma nel
Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede: erano nella lista dei Decreti
del Dicastero delle Cause dei Santi promulgati proprio quel 17 dicembre 2022.
A quel
punto, ha coinvolto don Paweł Rytel-Andrianik, responsabile della Sezione polacca
di Radio Vaticana e suo amico, il quale è anche docente alla Pontificia
Università della Santa Croce e deve aver fatto da tramite con le Edizioni Ares di Milano.
Nel volume
appena uscito proprio per quella casa editrice e firmato da entrambi, ovvero Uccisero anche i bambini – Gli Ulma, la famiglia martire che aiutò gli ebrei, si fa
largamente uso dell’intervista del postulatore, specie per le testimonianze da
lui citate, tratte dalla Positio super martyrio. Peschiera ha ricambiato
l’apprezzamento intervistando anche la dottoressa Tulli, in questo video caricato proprio due giorni fa sul canale YouTube di Sacre Questioni.
Piacerebbe
anche a me che qualche storia che ho raccontato qui venisse rintracciata da qualche
giornalista e io venissi coinvolta in un progetto editoriale, così da rendere più
nota quella vicenda a cui tengo praticamente solo io. In realtà, un po’ è già
successo, ma non a questi livelli.
In ogni caso, spero che la fama incredibile di cui gli Ulma ora godono nel nostro Paese porti a ripensare alle nostre forme di convivenza civile e a cercare di pensare a come, ciascuno per quel che può, rendere davvero desiderabile abitare le nostre città, a costo di prendere scelte che non tutti capiscono, purché basate sul Vangelo.
Commenti
Posta un commento