Fra Rafael Arnáiz Barón, tra Croce e speranza

 

Fonte

Chi è?

Rafael Arnáiz Barón (al Battesimo, Rafael Arturo Álvaro José) nacque a Burgos, in Spagna, il 9 aprile 1911, primo dei quattro figli di Rafael Arnáiz, ingegnere forestale, e Mercedes Barón.

A nove anni entrò nel collegio de La Merced a Burgos, retto dai Gesuiti. Nel 1922, dopo il trasferimento della famiglia a Oviedo per ragioni di lavoro del padre, divenne allievo esterno del collegio Sant’Ignazio della stessa città, sempre diretto dai Gesuiti; lì conseguì la maturità scientifica. Il 26 aprile 1930 s’iscrisse alla Scuola Superiore di Architettura di Madrid: dopo la maturità, infatti, aveva iniziato a prendere lezioni di disegno e pittura.

Durante le vacanze estive dello stesso anno fu ospite degli zii, Leopoldo Barón e María, nella loro tenuta “El Pedrosillo”, vicino ad Ávila. Un pomeriggio, lo zio lo portò al monastero di Sant’Isidoro a San Isidro de Dueñas, dell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza (ovvero i monaci trappisti), sapendo della sua inclinazione alla preghiera: poco dopo, Rafael s’iscrisse all’associazione dell’Adorazione Notturna a Oviedo, aderì alle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli e all’Apostolato della Preghiera.

Nel 1933, completato il servizio militare nel battaglione degli zappatori minatori, si trasferì a Madrid per gli studi di architettura. Dopo che ebbe visto un documentario sull’abbazia cistercense di Sept-Fons, si riaccese in lui l’interesse per la vita monastica.

Il 15 gennaio 1934 entrò a Sant’Isidoro come novizio, diventando fra Maria Raffaele, ma venne rimandato a casa il 26 maggio seguente, a causa di una grave forma di diabete mellito. Chiese allora di essere ammesso di nuovo, questa volta come oblato, ossia come membro senza voti, quasi all’ultimo posto della comunità.

Uscì nuovamente dal monastero il 29 settembre 1936 perché chiamato alle armi, nel corso della guerra civile spagnola, ma venne dichiarato inabile alla leva. Tornò una terza volta il 6 dicembre, ma il 7 febbraio 1937 uscì di nuovo. Il 15 dicembre 1937 entrò definitivamente, ormai grave: morì per un coma diabetico all’interno del monastero di Sant’Isidoro il 26 aprile 1938, a ventisette anni.

Fu beatificato da san Giovanni Paolo II il 27 settembre 1992 e canonizzato da papa Benedetto XVI l’11 ottobre 2009.

La sua memoria liturgica ricorre il 27 aprile, giorno seguente a quello della sua nascita al Cielo, mentre i suoi resti mortali sono venerati nella chiesa del monastero di Sant’Isidoro a San Isidro de Dueñas, in un’apposita cappella.

 

Cosa c’entra con me?

Non ricordo il mio primissimo contatto con fra Rafael (dovrei chiamarlo all’italiana, ma tra i suoi devoti è più noto così): come scrivevo prima, è stato canonizzato nel 2009, quando avevo ormai ripreso a interessarmi a santi e affini, ma per le canonizzazioni, al tempo, mi accontentavo ancora di cosa dicevano i media sui nuovi Santi più famosi. Più o meno in quel periodo adocchiai il volume con gli scritti completi sugli scaffali della libreria San Paolo della mia città, ma la sua mole mi scoraggiò l’acquisto.

Neppure ricordo con esattezza quando decisi di contattare la postulatrice generale dell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza: dev’essere comunque successo dopo che ho ordinato in libreria un cofanetto intitolato Testimoni cistercensi del nostro tempo. Gli opuscoli che lo componevano hanno costituito il mio primo approfondimento, per citare solo quelli di cui ho parlato qui, della Beata Maria Gabriella Sagheddu e dei monaci martiri di Tibhirine. A mia volta, come molti altri prima di me, sono rimasta affascinata dalla sua storia, non solo per le traversie vocazionali che l’hanno caratterizzata.

La postulatrice m’inviò le immaginette che avevo richiesto: le sue, quelle della Beata Maria Gabriella, dell’allora Servo di Dio Romano Bottegal e di una monaca che non ricordo. Le ho distribuite a mia volta: ricordo con esattezza che una di fra Rafael andò a un sacerdote giovane che conoscevo, incontrato alla Giornata Mondiale della Gioventù del 2011, anzi, durante i Giorni nelle Diocesi, che per noi di Milano erano a Barcellona. Dopotutto, lui stesso, morto a ventisette anni, era tra i Santi e i Beati patroni di quell’edizione della GMG. Da allora in poi mi sono quasi scordata di lui, anche se, quando rimettevo in ordine una delle mie scatole di santini, l’unico suo che mi era rimasto continuava a saltar fuori.

Lo scorso 31 gennaio ho scoperto che era uscita la raccolta delle sue opere complete in una nuova edizione. Non avendo quella del 2009 e pensando che potesse essere un argomento interessante anche per la mia collaborazione con Avvenire, ho chiesto in redazione se potessi farmi arrivare una copia a scopo di recensione; ricevuta risposta positiva, ho contattato l’editore.

Già leggendo le prime pagine mi sono ricordata che avevo già citato fra Rafael, nel post su Faustino Pérez-Manglano Magro, giovanissimo aspirante marianista. Quest’ultimo, ormai malato, negli ultimi mesi teneva a portata di mano un’immaginetta che riportava un estratto dei suoi scritti; dopo l’ultima riga, aveva apposto la propria firma, quasi a dichiarare che sottoscriveva ogni parola.

Confrontando la citazione riportata nella biografia di Faustino con il libro su fra Rafael, ho appurato che si trattava di una meditazione tratta dalla lettera del 1° novembre 1937 a fra Tescelino Arribas Jimeno, il confratello (poi uscito dalla Trappa e diventato medico psichiatra) che spesso l’assisteva in infermeria: in quella missiva gli confermava di voler tornare in monastero anche se non avrebbe potuto avere tutte le cure necessarie per il suo diabete.

Insieme a quel santino, il ragazzo teneva a portata di mano un foglio su cui aveva trascritto alcuni punti tratti da Cammino di san Josemaría Escrivá de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei. Se quest’ultimo era ancora vivo quando Faustino era in fin di vita (il ragazzo morì il 3 marzo 1963 e san Josemaría il 26 giugno 1975), fra Rafael era invece morto nel 1938: il fatto che i suoi scritti fossero in circolazione mi fa pensare che doveva essere già piuttosto famoso.

Ho quindi trascorso tutto febbraio nella lettura del libro, portandolo in borsa nei tragitti sui mezzi pubblici, dispiacendomi perché non l’ho trattato con cura: ho rovinato la copertina e alcune pagine. Mia madre afferma che così è più vissuto, ma devo comunque stare più attenta.

La lettura e la stesura della recensione mi hanno confermata in quanto avevo già intuito: fra Rafael è una di quelle anime sensibili all’incontro con Dio che, attraverso le loro opere, parlano anche dopo decenni dalla morte, per riprendere la lettera agli Ebrei. Parlo di “opere” perché, sia accanto al testo, sia nell’inserto a colori, sono riportati alcuni suoi disegni, bozzetti o lavori commissionati dai parenti o dai confratelli della Trappa di Sant’Isidoro. Nei lavori grafici ho visto una semplicità e una capacità di catturare il messaggio biblico – molti sono ispirati dai Salmi – che mi ricordano un po’ le immagini prodotte dalle Trappiste di Vitorchiano.

Inoltre mi pare di ravvedere un’affinità spirituale, soprattutto nel quaderno Dio e la mia anima – Note di coscienza, composto per ordine del suo ex direttore spirituale, con gli scritti del seminarista Alessandro Galimberti – era da un po’ che non lo citavi, diranno i miei lettori più attenti – . In realtà, anche in alcune delle loro lettere si assomigliano, diventando educatori e guide spirituali; nel caso del nostro trappista, lui divenne maestro per gli zii che, a loro volta, l’avevano accompagnato a riconoscere la sua vocazione.

Con questo non voglio per nulla affermare che Alessandro sia santo come fra Rafael: tutti e due, però, hanno attraversato la vocazione essendo dei “sani malati”, e, quando la nostalgia per la vita passata diventava più aspra, si aggrappavano alla Madonna e si mettevano sotto la Croce, contemplandola nella sua essenza.

In questo il nostro oblato trappista aveva due maestri d’eccezione: i grandi Santi del Secolo d’Oro spagnolo, Giovanni della Croce e Teresa di Gesù. Non solo cita di frequente le loro opere, ma ha anche visitato, insieme allo zio Leopoldo, il monastero di San Giuseppe ad Ávila, il primo della riforma avviata da santa Teresa.

I suoi scritti, però, non sono solo ricchi di slanci mistici, ma anche d’indizi di una seria preoccupazione per la Spagna: proprio negli anni in cui Rafael maturava la sua vocazione, cominciavano i segnali che avrebbero condotto alla guerra civile del 1936-’39 e al martirio di tanti Beati e Santi riconosciuti, per non parlare delle cause in corso o di quelle che non sono iniziate per scarsità di documentazione storica.

Lui stesso fu chiamato alle armi nell’esercito regolare, ma venne dichiarato inabile alla leva a causa del suo diabete. Frequentissime sono quindi le sue invocazioni alla Madonna del Pilar, patrona di tutti i territori ispanofoni.

 

Ha testimoniato la speranza perché...

La speranza in fra Rafael aveva due direttrici principali: quella di tornare in monastero e quella della vita eterna. La prima trapela soprattutto nelle pagine in cui ripensa al monastero e nella forza con cui continua a chiedere all’abate Dom Félix Alonso García di farlo tornare alla Trappa anche se non avrebbe potuto lavorare come gli altri religiosi.

Anche la morte era per lui motivo di speranza: nella lettera del 16 dicembre 1935 scrive allo zio Leopoldo che, per un trappista, la gioia di vivere consiste nella speranza certa di morire. Anche visitare il cimitero monastico gli dava gioia, perché lo conduceva a pensare che un giorno sarebbe stato insieme a loro.

Il “saper aspettare” (in spagnolo, esperar vuol dire sia “sperare”, sia “aspettare”) è stato anche soggetto di una delle sue immagini dipinte, che il 10 gennaio 1936, prima di rientrare alla Trappa, completò con una dedica sul retro, anche quella destinata allo zio: raffigurava proprio un trappista che fissa lo sguardo su una croce di legno piantata a terra insieme ad altre due, segno di una sepoltura.

La sua speranza si accendeva soprattutto durante la preghiera dei Vespri, tanto che s’immaginava, come scrive nelle Memorie di un trappista, che proprio nelle ore vespertine Gesù camminasse con i discepoli e parlasse loro dell’amore del Padre.

Infine, ho scoperto che la primissima raccolta delle sue massime e dei pensieri, pubblicata dalle Edizioni Paoline nel 1967, era intitolata proprio Il piacere della speranza.

 

Il suo Vangelo

Quello che rende san Rafael così convincente come testimone del Vangelo è la sua tenacia nel perseguire la vocazione alla vita monastica. Di certo ha avuto i suoi cedimenti, ma non ha mai raggiunto picchi di disperazione o gravi mancanze nelle virtù.

Col passare del tempo, non riusciva proprio a concepirsi fuori dalla Trappa: anche nelle sue tre uscite dal monastero non si sentì mai del tutto integrato nella società del suo tempo, sebbene amasse le automobili veloci, la buona musica, l’arte.

Il 4 marzo 1938, pochi giorni prima di morire, lanciava al mondo, che gli sembrava non riconoscere la presenza di Dio, un ultimo appello:

Insensati e stolti, che cercate Dio dove Egli non sta, ascoltate e stupitevi: Dio si trova nel cuore dell’uomo..., io lo so. Ma attenzione, Dio vive nel cuore dell’uomo quando questo cuore è distaccato da tutto ciò che non è Lui, quando questo cuore si rende conto che Dio bussa alla sua porta e allora spazza e pulisce tutte le sue stanze, per disporsi a ricevere il Solo che veramente lo colma.

Il suo cuore, lo assicura la canonizzazione, era veramente pieno di Dio e continua a effondersi su tutti quelli che incrociano la sua testimonianza.

 

Per saperne di più

Paolino Beltrame Quattrocchi, Nel fascino dell’assoluto, Cantagalli 2009, pp. 208, € 15,00.

Uno dei figli dei Beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi e dei fratelli della Venerabile Enrichetta fu monaco prima benedettino e poi trappista, ma anche scrittore e agiografo: si occupò di fra Rafael in una biografia uscita in prima edizione nel 1988 e ripubblicata per la canonizzazione.

Fra Rafael (San Rafael Arnáiz Barón), Vivere la bellezza di Cristo – Opere complete, Cantagalli 2025, pp. 464 + 32 a colori, € 27,00.

Le opere di fra Rafael comprendono lettere e altri testi, più molti suoi disegni, datati dal 1921 al 1938; il libro era già uscito in italiano nel 2009.

 

Su Internet

Pagina sul sito istituzionale dell’Ordine dei Cistercensi della Stretta Osservanza ovvero i Trappisti

Versione italiana del sito ufficiale (ma la versione spagnola è più completa)

Articoli sul sito dell’Associazione Nuova Citeaux 

Pagina del sito del Dicastero delle Cause dei Santi con biografia e omelie per la beatificazione e per la canonizzazione

Commenti

Post più popolari