Suor Maria Gabriella Sagheddu, icona di preghiera per l’unità dei cristiani

L’arazzo della beatificazione,
opera di Camilian Demitrescu,
pittore rumeno ortodosso
(fonte)


Chi è?

 

Maria Sagheddu nacque a Dorgali, sulla costa orientale della Sardegna, precisamente in provincia e diocesi di Nuoro, il 17 marzo 1983, quinta degli otto figli di Marco Antonio Sagheddu e Caterina Cucca. Crebbe vivace e intelligente, ma la morte del padre e di alcuni dei fratellini contribuì, probabilmente, a renderla ostinata, insoddisfatta e prepotente.

Abbandonò la scuola in sesta elementare, per impegnarsi ancora di più nella vita domestica. Laboriosa, modesta, attenta ai suoi doveri, obbediva, anche se non sempre volentieri. Almeno due giovani del paese la chiesero in moglie, ma lei li rifiutò, con dispiacere della madre.

A diciott’anni, parenti e conoscenti notarono un cambiamento radicale in Maria. Anzitutto s’iscrisse all’Azione Cattolica della sua parrocchia, Santa Caterina d’Alessandria, a cui non aveva mai voluto aderire perché si riteneva incapace di rispettare gli impegni richiesti alle socie della Gioventù Femminile. Si distaccò anche dai suoi passatempi preferiti, come il gioco delle carte (nel quale comunque vigilava affinché nessuno barasse) o la lettura di romanzi (dei quali l’appassionava più l’intreccio che il racconto di storie d’amore).

Divenne anche catechista e intensificò la sua preghiera, mentre prima andava a Messa solo la domenica e per obbedire alla madre. Anche il suo modo di comportarsi divenne più delicato e dolce.

Non svelò mai quali fossero le ragioni di quel cambiamento, anche se è possibile ipotizzare che fu influenzato dalla morte, avvenuta a diciassette anni, di Giovanna Antonia, la sorella nata subito dopo di lei, cui era molto affezionata.

Aiutata da don Basilio Meloni, il viceparroco, cominciò a riflettere sulla vocazione religiosa. Quando il sacerdote le propose di entrare nel monastero femminile dell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza, ovvero delle monache Trappiste, di Grottaferrata, dov’erano già entrate altre ragazze dorgalesi, rispose accettando di essere mandata dove lui avesse voluto.

Il 30 settembre 1935, quindi, Maria fece il suo ingresso tra le Trappiste a Grottaferrata. Dopo sei giorni, come prescrive la Regola, fu ammessa in clausura. La badessa, madre Maria Pia Gullini, l’ammise tra le monache coriste, ovvero quelle addette all’Ufficio Divino, benché lei non avesse mai studiato il latino e non sapesse cantare bene.

Il 13 aprile 1936 compì la vestizione monastica, mentre il 31 ottobre 1937 celebrò la professione monastica: da allora fu suor Maria Gabriella. Nella nuova vita continuò il lavoro su di sé cominciato quando era ancora nel mondo, diventando ancora più equilibrata. Visse con entusiasmo i primi tempi della sua consacrazione, benvoluta da molte delle consorelle.

Nel gennaio 1937 era arrivato alla Trappa (così si chiamano tutti i monasteri, maschili e femminili, che hanno aderito alla riforma dell’Ordine Cistercense, partita appunto dal monastero de La Trappe) un opuscolo scritto da don Paul-Irénéé Couturier, sacerdote di Lione, il quale aveva iniziato a promuovere la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani.

Madre Maria Pia lo lesse alla comunità. Subito un’anziana monaca, Maria Immacolata Scalvini, si presentò da lei e chiese di poter offrire la vita per l’unità dei cristiani. Dopo la sua morte, avvenuta un mese più tardi, la badessa parlò alle monache della sua offerta, della quale riferiva anche l’opuscolo per la Settimana di Preghiera del 1938.

Fu in quel periodo che suor Maria Gabriella decise di offrirsi a sua volta. Madre Maria Pia l’ascoltò, poi l’invitò a rimettersi ai consigli del cappellano del monastero, padre Filippo. Quando ricevette il suo assenso, la giovane monaca fu ancora più felice. Tuttavia, dal giorno della sua offerta, non godette più di buona salute. Il suo solo timore, sin da prima di ammalarsi, era di venire mandata via dal monastero.

Ricoverata all’ospedale San Giovanni di Roma per tubercolosi, ribadì più volte di non volersi tirare indietro nelle varie lettere alla badessa, la quale, dal canto proprio, aveva fatto di tutto per condurla alla guarigione. Dopo quaranta giorni, tornò in monastero, ma rimase in infermeria per evitare di contagiare le consorelle.

Il 31 marzo 1939, Venerdì di Passione, scese a fatica in coro e, dopo aver chiesto perdono alle altre monache, ricevette l’Unzione degli Infermi. L’8 aprile, Sabato Santo, si aggravò e ricevette la Comunione in forma di Viatico. Morì il 23 aprile 1939, quell’anno domenica “del Buon Pastore”; aveva venticinque anni e un mese.

Dopo la sua morte, la sua storia cominciò a diffondersi, grazie anche alla prima biografia, che contò sei edizioni in poco tempo. Le Trappiste dovettero lasciare Grottaferrata per l’affluenza di nuove vocazioni: la nuova sede della comunità fu Vitorchiano, dove, dal 15 gennaio 1957, riposarono anche le spoglie della loro consorella.

Suor Maria Gabriella fu beatificata a Roma, nella basilica di San Paolo fuori le Mura, il 25 gennaio 1983, nella festa della Conversione di San Paolo e al termine della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani.

Nella sua omelia, il Papa san Giovanni Paolo II, chiamandola “Beata Maria Gabriella dell’Unità”, sottolineò che lei aveva raggiunto quattro primati: era la prima Beata appartenente alla Gioventù Femminile di Azione Cattolica, la prima fra i giovani e le giovani della Sardegna, la prima dell’ordine trappista e, infine, la prima che si era impegnata a servizio dell’unità dei cristiani.

I suoi resti mortali sono venerati, da dopo la beatificazione, nella Cappella dell’Unità del monastero delle Trappiste di Vitorchiano. La sua memoria liturgica ricorre invece il 22 aprile, vigilia del giorno della sua nascita al Cielo.

 

Cosa c’entra con me?

 

Non ricordo il giorno e l’anno esatti della prima volta in cui ho sentito parlare della Beata Maria Gabriella. Di certo non è avvenuto durante la mia infanzia; al più tardi nell’adolescenza o, più probabilmente, sfogliando un libro divulgativo sulla storia della Chiesa, che aveva una pagina dedicata al cammino ecumenico.

La conoscevo solo di nome, di certo, prima di seguire una puntata della trasmissione I Sempre Giovani su Radio Maria, nella quale il conduttore, il giornalista Angelo Montonati, tratteggiò come suo solito i dati essenziali della sua vicenda umana e spirituale. Del suo racconto mi colpì la descrizione del cambiamento di vita della giovane Maria, che la portò a prendere sul serio il cammino in Azione Cattolica.

Appena mi fu possibile, comprai un piccolo libro della collana Messaggeri d’Amore, con la caratteristica copertina blu, dell’editrice Velar (quello in questione era coedito con Elledici), che ho scoperto essere ormai fuori catalogo, altrimenti l’avrei segnalato nel paragrafo Per saperne di più. Lì trovai tutto quello che aveva raccontato il giornalista, insieme a qualche rapida menzione degli scritti della monaca.

Mi procurai anche il cofanetto Testimoni cisterciensi del nostro tempo, che conteneva nove opuscoletti su vari Beati, candidati agli altari e Testimoni del loro Ordine, compresi gli attualmente Beati sette monaci di Tibhirine (qui la mia recensione del film Uomini di Dio). Anche quello mi permise di entrare un po’ di più nel modo di credere di suor Maria Gabriella.

Non passò molto tempo, poi decisi di scrivere alla postulatrice generale delle Trappiste per procurarmi un po’ di santini dei loro candidati agli altari; chiesi espressamente di riceverne qualcuno anche di suor Maria Gabriella. Ricordo con sicurezza che fosse il 2011, perché durante la GMG di Madrid diedi una di quelle immaginette, precisamente una di san Rafael Arnaiz Barón, fratello oblato trappista, a un sacerdote che conoscevo già.

Il mio approfondimento di suor Maria Gabriella si fermò lì, anche perché le sue Lettere dalla Trappa sono finite anch’esse fuori catalogo. Nel frattempo avevo conosciuto e approfondito la storia di Maddalena Volpato: entrata tra le Figlie della Chiesa, suore di recentissima fondazione, ascoltò dalla fondatrice, madre Maria Oliva Bonaldo, un’esortazione sulla necessità di pregare per l’unità dei cristiani e di offrire per essa perfino la propria vita.

Maddalena, che si era esercitata in tante piccole offerte quotidiane, chiese a madre Maria Oliva, la quale non aveva ancora sentito parlare di suor Maria Gabriella, di potersi offrire per quello scopo. Neanche lei rinnegò la propria offerta: morì a causa del morbo di Pott, non prima di aver professato i voti, diventando suor Maddalena di Santa Teresa di Gesù Bambino. Ho già raccontato di lei qui, mentre della sua fondatrice ho parlato qui.

Tornando a suor Maria Gabriella, sono stata molto felice di vedere che fosse tra i Beati e i Santi menzionati nella Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, così tanti che mi venne naturale elencarli in forma litanica.

Quella menzione mi ha anche portata a ipotizzare che, se si raccogliessero le prove che il suo culto perdura ed è veramente mondiale, a cui si aggiunge la sua invocazione per ottenere l’unità della Chiesa e il suo continuo ricordo in campo ecumenico, si potrebbe pensare a canonizzarla almeno con la dispensa sull’ulteriore miracolo.

Almeno, è quello che io, se fossi Papa (nota bene: non “se fossi il Papa”, perché non pretendo di sostituirmi all’attuale Pontefice), procederei a fare, come ho raccontato nel secondo post dedicato alle canonizzazioni che io favorirei.

Pochi mesi prima della pubblicazione di quel post, però, è avvenuto un fatto che mi ha unita a lei in un modo veramente inaspettato.

Il 27 giugno dello scorso anno sono andata a Messa nella basilica di San Lorenzo Maggiore, perché don Luigi, l’anziano sacerdote già residente nella parrocchia di San Satiro, della cui biblioteca sono praticamente diventata erede di maggioranza dopo che lui era andato a vivere in casa di riposo, si trovava a passare per Milano a causa di alcune visite mediche; avrebbe celebrato l’Eucaristia alle 9.

Sono arrivata mentre le campane smettevano di suonare, quindi con un buon quarto d’ora d’anticipo. Quando però è iniziata la celebrazione, non ho visto arrivare don Luigi, bensì un giovane sacerdote, che ricordavo vagamente.

Quando lui entrò nella cappella di Sant’Ippolito, dove si celebrava la Messa feriale a causa dei lavori in basilica, notai che portava in mano processionalmente un’icona. Anche quella mi ricordava qualcosa: dall’abito e dal cartiglio che teneva in mano la suora raffigurata, la riconobbi subito come la Beata Maria Gabriella.

Lui stesso diede la spiegazione del perché aveva portato quell’icona, dipinta da una parrocchiana di San Lorenzo come regalo per lui: era un sacerdote della Fraternità San Carlo Borromeo, fresco di ordinazione sacerdotale (mi era stato presentato quand’era prossimo al diaconato), nativo della Comunità Pastorale Santi Magi, di cui San Lorenzo fa parte come parrocchia.

Aveva vissuto gli Esercizi Spirituali, insieme ai suoi compagni di ordinazione, proprio nel monastero delle Trappiste di Vitorchiano, cui i  preti della sua Fraternità e in generale il movimento di Comunione e Liberazione sono molto legati: aveva deciso, allora, di affidare il suo futuro ministero alla Beata, prendendola quasi come sorella spirituale.

Terminata la celebrazione, ho notato che una delle parrocchiane sembrava molto interessata all’icona e a colei che la raffigurava. Ho colto l’occasione per chiederle se le sarebbe piaciuto leggere una sua biografia: ha risposto di sì, affiancata da un’altra parrocchiana. Siamo dunque rimaste d’accordo che l’indomani, dopo la Messa di don Luigi – avevo effettivamente sbagliato giorno – , avrei portato il libretto blu. Le due signore se lo sono passate, poi l’hanno consegnato al sacrestano di San Lorenzo, il quale me l’ha restituito.

Riavvicinarmi alla Beata Maria Gabriella mi ha permesso di capire in quali aspetti le sono affine e in quali, invece, sento di dovermi migliorare come lei ha fatto. Di certo, entrambe abbiamo un carattere al limite della testardaggine, specie, nel mio caso, quando sono sicura di aver ragione su qualcosa e soffro se altre persone non sono d’accordo con me.

Come lei, anch’io ho trovato una buona ragione per vivere e per pregare, ovvero la maternità spirituale verso sacerdoti e seminaristi. Tuttavia, l’aspetto di offerta, sia di malesseri fisici sia di prove morali, è quello che vivo con intensità minore, tanto da essermi spesso domandata se ne valga la pena, visto che, molto spesso, i preti per cui ho pregato si sono cacciati in guai più o meno grossi.

Si potrebbe pensare lo stesso per la nostra monaca: si è offerta per l’unità dei cristiani, ma nei quasi ottantaquattro anni dal suo transito, pur essendoci stati passi di rilievo, quel cammino non si è ancora concluso, o comunque non si è istantaneamente realizzato dopo la sua offerta.

I teologi esperti, però, assicurano che le preghiere non vanno mai sprecate: vale per me e per quel che ho chiesto per i miei fratelli spirituali, ma anche per quanti vivono, ancora oggi, l’invocazione per l’unità.

 

Il suo Vangelo

 

Anche per suor Maria Gabriella bisogna evitare il rischio tipico di vicende segnate dalla sofferenza, specialmente in età giovanile, ossia quello di considerarle solo in base al periodo di vita dove la malattia si è fatta più violenta.

È però fuori di dubbio, o almeno così mi pare, che per scegliere quale sia il suo annuncio fondamentale, anche per il nostro tempo, non si possa prescindere dalla categoria dell’offerta di sé per un grande ideale, che sorprende, se si pensa che lei non aveva grandi conoscenze delle divisioni tra le Chiese: le bastava sapere che Gesù avesse pregato il Padre perché tutti i credenti in Lui fossero una cosa sola.

Prima di convertirsi, o meglio, di essere più seria nella relazione con Dio, l’unica prospettiva che aveva era la realizzazione di sé. La vita monastica le presentò con intensità ancora maggiore quanto aveva intuito appena diventata diciottenne, ossia che la sua piena realizzazione doveva essere non egoistica, ma coincidere col dono di tutta sé stessa, che non tutti capirono, almeno nell’immediato, in paese e in famiglia.

Quando poi la tubercolosi la colpì poco dopo che la sua offerta si era fatta per così dire più mirata, continuò a essere caparbia e tenace; questa volta, però, nell’andare fino in fondo alla sua scelta, per ringraziare Dio che l’aveva scelta nonostante la propria miseria e inadeguatezza.

Ancora ricoverata all’ospedale San Giovanni, giunse a comprendere quale fosse l’insegnamento che derivava dalla sua offerta. Scrisse quindi a madre Maria Pia Gullini il 3 maggio 1938:

Prima non c’era modo di piegare il mio cuore: adesso ho capito davvero che la gloria di Dio e l’essere vittima non consiste nel fare grandi cose, ma nel sacrificio totale del proprio io. Preghi per me, perché capisca sempre di più il gran dono della croce e perché ne approfitti d’ora innanzi per me e per tutti gli altri.

In altre sue lettere ricorrono espressioni che la mentalità odierna stenta a capire, come quelle nelle quali dichiara di sentirsi una privilegiata perché il Signore le concedeva di soffrire, o nelle quali grida quasi la sua felicità perché può soffrire qualcosa per Gesù e per la salvezza delle anime.

È appunto la ragione per cui soffriva, non il soffrire stesso, che ha reso nobile e gradito a Dio il suo atteggiamento e che, a quarant’anni dalla beatificazione, continua a far parlare di lei.

 

Per saperne di più

 

Purtroppo il libretto che mi ero procurata è fuori catalogo. Non credo, poi, che le Trappiste abbiano ancora il cofanetto di cui facevo cenno sopra.

Rimando quindi agli studi pubblicati da padre Dionigi Spanu, Gesuita, docente emerito di Teologia Spirituale presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna e già Segretario generale della stessa Facoltà, anche lui nativo di Dorgali come la nostra Beata.

 

Dionigi Spanu, Artefice di unità – Profilo della beata Maria Gabriella Sagheddu, Nerbini 2009, pp. 390, € 18,00.

Raccolta di otto articoli pubblicati su riviste specializzate, uscita per il settantesimo del transito della Beata.

 

Dionigi Spanu, Beata Maria Gabriella Sagheddu – Testimone credibile del Vangelo di unità, PFTS University Press, 2014, pp. 250, € 22,00.

Ulteriore raccolta di studi, uscita nel centenario della nascita.

 

Dionigi Spanu, Il cammino di perfezione della Beata Maria Gabriella Sagheddu – Commento biblico-spirituale alle deposizioni dei testimoni al processo di beatificazione, PFTS University Press 2021, pp. 192, € 22,00.

Una rilettura delle testimonianze giurate contenute nella Positio super virtutibus in base ai riferimenti alla Scrittura e alla storia della salvezza.

 

Su Internet

 

Sito a cura delle Trappiste di Vitorchiano 

Pagina del sito del Dicastero delle Cause dei Santi su di lei, che contiene l’omelia della beatificazione

Commenti

Post più popolari