Cardinal John Henry Newman, Dottore della Verità e dell’Amicizia in Cristo

Ritratto di Newman cardinale,
di Sir John Everett Millais,
National Portrait Gallery, Londra
(fonte)

Chi è?

John Henry Newman nacque a Londra il 21 febbraio 1801, primo dei sei figli di John Newman, banchiere, e di Jemina Foundrinier, figlia di emigrati dalla Francia per ragioni collegate alle guerre di religione. Manifestò una notevole intelligenza negli anni in cui studiò a Ealing, ma allo stesso tempo finì col convincersi che il Papa fosse l’anticristo e ad avvicinarsi al protestantesimo.

Nel 1817 iniziò gli studi universitari al Trinity College di Oxford, conseguendo il titolo di Bachelor of Arts. Cinque anni dopo fu eletto fellow del College (ossia della residenza universitaria) di Oriel, interno a Oxford, dove, dal 1826 al 1832, si occupò della formazione intellettuale degli studenti.

Il 13 giugno 1824, intanto, era stato ordinato diacono nella Chiesa Anglicana e incaricato come coadiutore della parrocchia di San Clemente a Oxford, mentre il 29 maggio 1825 era diventato sacerdote. Il 14 marzo 1828 fu nominato parroco della chiesa di Santa Maria, interna all’università di Oxford: divenne presto apprezzato per il tenore dei suoi sermoni.

Nel 1832 accompagnò l’amico Richard Hurrell Froude in un viaggio nel sud dell’Europa, durante il quale maturò l’idea che Dio voleva per lui una missione particolare. Ne divenne ancora più convinto quando, il 14 luglio 1833, ascoltò il discorso di John Keble che diede il via al cosiddetto Movimento di Oxford, in seno al quale interpretò la Chiesa anglicana come una via di mezzo tra certe esagerazioni da parte cattolica e gli errori che ravvisava nel protestantesimo.

Tuttavia, studiando i Padri della Chiesa, Newman si accorse che l’idea di questa “via mediana” costituiva un grave errore. Lasciò quindi la parrocchia per ritirarsi a Littlemore, dove aveva fondato una parrocchia insieme ad alcuni amici. Lì compose il saggio Lo sviluppo della dottrina cristiana, che però lasciò incompiuto: si era ormai convertito. Nella notte tra l’8 e il 9 ottobre 1845 fu accolto nella Chiesa cattolica da padre Domenico della Madre di Dio, passionista, che da tempo viveva il suo apostolato tra gli anglicani desiderosi di farsi cattolici (fu beatificato nel 1963).

Nel 1846, con altri amici anche loro convertiti, si recò a Roma, ma era indeciso se diventare sacerdote secolare o entrare in qualche ordine religioso. Scelse la Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, i cui membri frequentava in quel periodo, anche perché gli ricordava il clima vissuto nei suoi impegni universitari, ma con una connotazione meno severa.

L’anno seguente iniziò il noviziato con alcuni compagni, anche perché aveva chiesto al Papa di poter fondare una comunità dell’Oratorio (direttamente Oratorio per brevità) a Birmingham, non a Londra, per aiutare spiritualmente gli abitanti di quella città industriale in espansione. Ordinato sacerdote il 2 febbraio 1848, alla fine stabilì il primo Oratorio inglese nella zona residenziale di Edgbaston, appunto a Birmingham.

Per quattro anni diresse l’Università Cattolica di Dublino, ma lasciò l’incarico per divergenze con i vescovi irlandesi. Fu poi processato per diffamazione da un ex frate domenicano, Domenico Achilli, che era stato accusato di abusi, perdendo la causa.

Nel 1859 accettò la direzione della rivista The Rambler, ma il progetto fallì. Poco dopo, un suo articolo sul ruolo nei laici della Chiesa fece nutrire sospetti da parte delle massime autorità della Chiesa di Roma. Infine, Charles Kingsley, esponente del cosiddetto socialismo cristiano, lo accusò di essere indifferente nei confronti della verità. Padre Newman rispose attraverso le armi della scrittura e della dialettica, ma soffrì a lungo per quelle incomprensioni.

Tutto andò verso la soluzione a cominciare dal 1878, anno in cui il Trinity College di Oxford lo elesse come suo primo fellow onorario. Il 12 maggio dell’anno seguente, papa Leone XIII lo creò cardinale: il motto che padre Newman scelse fu Cor ad cor loquitur, “[Solo] il cuore parla [davvero] al cuore”.

Continuò a scrivere e a predicare finché le forze glielo concessero. Celebrò l’ultima Messa in pubblico il giorno di Natale del 1889; morì a Edgbaston, nella sua camera, l’11 agosto 1890.

Fu beatificato il 19 settembre 2010 al Cofton Park di Birmingham da papa Benedetto XVI, nel corso del Viaggio apostolico nel Regno Unito, e canonizzato da papa Francesco il 13 ottobre 2019 in piazza San Pietro a Roma.

Oggi, 1° novembre 2025, nella Messa per il Giubileo del Mondo Educativo in piazza San Pietro, è stato proclamato Dottore della Chiesa da papa Leone XIV, nonché co-patrono, insieme a san Tommaso d’Aquino, di tutti i soggetti che partecipano al processo educativo.

Non esistono reliquie del suo corpo, risultato naturalmente decomposto dopo la ricognizione canonica avvenuta il 2 ottobre 2008, ma quanto è stato possibile recuperare è custodito nella cappella di San Carlo Borromeo, all’interno dell’Oratorio di Birmingham. La sua memoria liturgica ricorre il 9 ottobre, giorno della sua accoglienza nella Chiesa Cattolica.

 

Cosa c’entra con me?

Chiedo perdono in anticipo se questo post non sembrerà tra i più riusciti, ma non mi andava di deludere chi si aspettava che mi occupassi di questo Santo in un giorno non casuale, quello della sua proclamazione a Dottore della Chiesa. Di fatto, era una promessa che avevo formulato già lo scorso luglio.

Credo proprio che il mio primo incontro con lui sia avvenuto sicuramente prima della beatificazione, attraverso la poesia Conducimi tu, luce gentile: da quando ho iniziato a partecipare, come semplice fedele, alla Messa per la Giornata della Vita Consacrata, nella basilica di Sant’Ambrogio, veniva eseguito in forma di canto; era la versione con le parole parafrasate da Crispino Valenziano e la musica di monsignor Giuseppe Liberto (che ne parla nel suo blog), ma in anni più recenti ho ascoltato, nella stessa occasione, quella musicata da Antonino Ortolano (a cui, chissà perché, manca la strofa che inizia con Non sempre fu così…).

Un paio di testi newmaniani sono invece stati proposti, se non sbaglio più di una volta, tra gli spunti su cui i miei compagni del Gruppo Shekinah e io venivamo invitati a meditare nella preghiera che concludeva le nostre prove (anche adesso succede).

Uno era quello che inizia con «Io sono creato per fare e per essere qualcuno per cui nessun altro è creato», una riflessione scritta il 7 marzo 1848: ricordo che, mentre lo leggevo in una di quelle circostanze, cercavo di farmi forza pensando che anche per me, pur nella situazione in cui ero, potevano valere quelle parole.

L’altro era quello in cui Newman invoca: «Gesù, aiutami a diffondere ovunque il Tuo profumo, ovunque io passi», testo attribuito anche a santa Teresa di Calcutta, la quale, invece, l’aveva solo fatto proprio. Potrò sembrare fissata, ma mi ha subito ricordato la preghiera più famosa di un certo seminarista brianzolo a me molto caro; non mi risulta però che lui, a differenza di san Filippo Neri, fosse tra le figure spirituali che quel giovane prediligeva. Anche la seconda parte dello stesso testo, «Stai con me, e io inizierò a risplendere», ora che ricordo, ci è stata indicata come preghiera di fine prove.

Quando Newman fu beatificato, avevo da tempo ripreso a interessarmi a Santi e affini, però non mi venne voglia di conoscerlo meglio. Non so il perché: forse era dovuto ai problemi scolastici che avevo avuto studiando Filosofia, l’unica materia in cui avevo rischiato ogni anno di avere l’insufficienza. Era la stessa ragione che mi aveva reso ostica, per anni, santa Teresa Benedetta della Croce, finché un articolo per la rivista dei Salesiani di Bologna non mi aveva portata a riconoscere che tra me e lei poteva esserci qualche affinità.

Di certo, sull’Enciclopedia dei Santi, Beati e Testimoni aveva già un testo valido, quindi non mi ero messa d’impegno a scrivere di lui. Nel 2013, invece, ho prodotto un testo su padre Frederick William Faber, anche lui parte del Movimento di Oxford e, successivamente, sacerdote oratoriano, nonché fondatore dell’Oratorio a Londra.

Visitando Roma nel 2016, ho fatto tappa anche a Santa Maria in Vallicella, la Chiesa Nuova della Congregazione dell’Oratorio, come raccontavo nel post su san Filippo Neri. Non ricordo se ci fosse del materiale su di lui, ma sull’immaginetta di san Filippo che avevo preso c’era una preghiera scritta proprio da Newman.

Non molto tempo dopo, ho appreso che monsignor Renato Corti, vescovo emerito di Novara e nativo della mia diocesi, prossimo a diventare cardinale (il giorno del Concistoro in cui ha ricevuto la berretta gli ho dedicato un post), aveva assunto come motto episcopale la stessa frase che Newman, a sua volta, aveva tratto da san Francesco di Sales.

L’anno dopo, mentre mi trovavo a Saronno per un matrimonio, sono passata per un negozio di libri usati. Lì ho preso una raccolta di saggi su di lui, al cinquanta per cento del prezzo di copertina di un volume praticamente nuovo: ho pensato che mi sarebbe stato utile, prima o poi.

Neanche quando fu canonizzato, due anni dopo quell’acquisto, ho però sentito l’impulso ad approfondirlo, come neanche nel 2020, quando i preti giovani della mia diocesi sono stati in pellegrinaggio a Londra, poco prima dello scoppio della pandemia (per i curiosi, ecco il testo che contiene le omelie di quel viaggio, a cura della Formazione Permanente del Clero della diocesi di Milano).

Avevo iniziato a leggere il libro di cui scrivevo prima, ma non sono riuscita a concluderlo. Sembrava quindi che tra me e lui non potesse affatto esserci nulla in comune: in fin dei conti, pensavo, non posso sentirmi affine a tutti i Santi del calendario, del Martirologio o comunque a quelli riconosciuti tali.

La notizia del titolo di Dottore, invece, mi ha condotta a riprovarci, magari approfittando della mia collaborazione con Avvenire. Ho quindi provato a contattare il Preposito (superiore) dell’Oratorio della Chiesa Nuova, ma lui mi ha indirizzata a un confratello più disponibile; non che lui fosse contrario, tutt’altro.

L’oratoriano con cui ho parlato per l’articolo (uscito solo sul giornale, non sul sito) mi ha raccontato l’emozione della sua comunità, ma non sapeva ancora dirmi se ci sarebbe stata una celebrazione solenne a riguardo; del resto, non era successo così per l’ultimo Dottore proclamato tale, sant’Ireneo di Lione. Quando gli ho chiesto perché il suo superiore avesse individuato proprio lui per l’intervista, mi rispose di avere da sempre una forte devozione nei suoi riguardi.

Col suo aiuto, ho capito anche perché avesse scelto proprio la Congregazione dell’Oratorio: aveva conosciuto alcuni dei padri quando viveva nell’abbazia romana di Santa Croce in Gerusalemme e aveva riconosciuto in loro una libertà interiore che gli parlava dell’unica libertà possibile, quella in Cristo. Forse nessuno come lui, continuava, ha incarnato il pensiero di san Filippo e lo fa tuttora: nel mondo anglofono, infatti, ci sono molte “comunità in formazione”, come si definiscono quelle aggregazioni che si preparano a diventare parte dell’Oratorio filippino.

Non mi restava quindi che riprendere daccapo la lettura del saggio preso a Saronno. Tra molte difficoltà, dovute a scadenze più urgenti, sono riuscita a concluderlo, riconoscendo che almeno in un paio di punti potevo avere qualche affinità con Newman.

Il primo consiste nell’aver imparato a riconoscere le meraviglie della Provvidenza nella mia vita, anche in quelle circostanze che potevano sembrare strane e incomprensibili. Il secondo, nell’aver preso consapevolezza che anch’io ho un lavoro da compiere, indipendentemente dalle attività più o meno professionali che mi potrebbero toccare, e che avrebbe dovuto avere la gloria di Dio come unico fine.

Ce n’è anche un terzo, ora che ci penso. Come a lui venne da scrivere, un giorno, che da quando era diventato cattolico la sua vita si era complicata, anche a me, a volte, è accaduto di pensare che mi sono cacciata in un guaio dopo l’altro, nel tentativo di far conoscere a molte più persone le storie a cui tenevo.

Quello sfogo è stato pacificato con la nomina a cardinale, per Newman, mentre a me, ora, non accade più di pensare così: ho incontrato tante persone che continuano a insegnarmi come mettere a frutto quello che, a loro dire, è un vero e proprio carisma.

 

Ha testimoniato la speranza perché…

Anche in Newman la virtù della speranza ha avuto una connotazione particolare: è stata proprio essa a spingerlo ad andare oltre quella crisi e a continuare a pensare al lavoro che Dio aveva preparato per lui.

Inoltre, è un tema che ricorre spesso nelle sue opere. Nella poesia intitolata appunto Speranza, composta a La Valletta il 5 febbraio 1833, mentre la nave su cui viaggiava era in quarantena e lui stesso era affetto da un forte raffreddore, medita su come il destino dell’uomo sia raggiungere la felicità eterna, ripercorrendo alcuni passi biblici.

Anche nei suoi sermoni invita a continuare a sperare, a fidarsi, a credere che Dio non abbandona nessuno, ma con una connotazione speciale: lo spirito di vigilanza, che nella preghiera cristiana trova compiuta realizzazione.

 

Il suo Vangelo

Nel discorso del 28 aprile 1990 il cardinal Joseph Ratzinger sentiva di associare san John Henry Newman (ribadisco il mio pensiero: nel linguaggio comune conviene usare il nome proprio in lingua inglese, ma nell’uso liturgico è meglio tradurlo, cioè “Giovanni Enrico”) ai grandi dottori della Chiesa, ovvero coloro che non insegnano solo con i discorsi, ma con la loro stessa vita, portando un modo di vivere il Vangelo ancora più particolare, ovvero l’eminente dottrina, rispetto ai Santi per così dire comuni. Ora che questo suo auspicio è diventato realtà, tutti questi aspetti trovano un’unità ancora più compiuta e, per certi versi, ancora tutta da scoprire.

Quello che caratterizza di più il novello Dottore è forse il primato della coscienza, a cui dava un’importanza tale da non essere sempre e immediatamente compreso. Da lì parte tutto il resto: la continua ricerca della verità, le proposte ardite per il suo tempo relative al ruolo dei laici nella Chiesa, la considerazione della Vergine Maria.

Nella Lettera al duca di Norfolk, scritta nel 1874, nel pieno del clima del Concilio Vaticano I e in anni in cui i cattolici, specie inglesi, venivano scherniti e a volte derisi perché ritenuti incapaci di pensare con la loro testa, dichiarava:

La coscienza è l’originario vicario di Cristo, profetica nelle sue informazioni, sovrana nella sua perentorietà, sacerdotale nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi. Se mai potesse venir meno nella Chiesa l’eterno sacerdozio, nella coscienza rimarrebbe il principio sacerdotale ed essa ne avrebbe il dominio.

Non mi risulta che, con la proclamazione di oggi, abbia ricevuto un titolo particolare, com’è accaduto a gran parte dei Dottori della Chiesa. Il padre oratoriano con cui avevo parlato mi aveva suggerito che poteva essere definito “Dottore della Verità”, oppure “Dottore dell’Amicizia in Cristo”: ecco perché ho unito nel titolo questi due ipotetici appellativi.

 

Per saperne di più

Roderick Strange, John Henry Newman. Una biografia spirituale, Lindau Edizioni 2010, pp. 240, € 23,00.

Un insieme di saggi sugli elementi fondamentali della sua spiritualità (è quello che avevo preso nel negozio di libri usati).

Giuseppe Merola, Il cuore parla al cuore - John Henry Newman e i Papi, Libreria Editrice Vaticana 2019, pp. 150, € 10,00.

Un volume uscito nell’anno della canonizzazione e che indaga il rapporto tra Newman e i Pontefici del suo tempo e del secolo successivo.

Hermann Geissler, San John Henry Newman. Dottore della Chiesa, Cantagalli Edizioni 2025, pp. 168, € 17,00.

Un testo che, nella sua precedente edizione, poneva l’interrogativo circa il dottorato da conferire a Newman, ma ora è riproposto per sottolineare l’attualità della sua vita e del suo pensiero.

Robert Cheaib, Scorciatoie verso Dio - la teologia spirituale di san John Henry Newman dottore della Chiesa, Città Nuova 2025, pp. 192, € 16,90.

Nove approfondimenti su altrettante direttrici del suo pensiero.

John Henry Newman, Apologia pro vita sua, Jaca Book 2021, pp. 424, € 28,00

Il testo per cui Newman è più famoso: contiene la difesa contro le insinuazioni di Kingsley e l’esposizione delle sue convinzioni religiose.

 

Su Internet

Pagina del sito del Dicastero delle Cause dei Santi su di lui

Sul sito dell’Oratorio di Birmingham (in inglese) c’è una sezione dedicata a lui, ma non c’è il link diretto

Versione italiana del sito del Centro Internazionale degli Amici di Newman

Sito del National Institute for Newman Studies (in inglese) 

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