Matteo Farina – Vivere in pienezza e con gioia (Cammini di santità #9)

Matteo Farina in una foto 
risalente al suo diciottesimo compleanno
(un tempo era nella galleria fotografica
del suo sito ufficiale)
Quando all’inizio dell’anno il direttore della rivista Sacro Cuore VIVERE mi ha presentato la lista di personaggi da trattare nella mia rubrica, ho notato che c’era un nome a me non del tutto sconosciuto: quello di Matteo Farina, un 19enne di Brindisi.
La prima volta che l’ho sentito è stata guardando i nuovi arrivi di siticattolici.it, però ammetto che non gli ho prestato grande attenzione: mi sembrava che la sua storia fosse simile a quella di tanti altri bambini e ragazzi nella cui vita è entrata una forte sofferenza, accolta con fede e con amore.
Tuttavia, ho deciso di ordinare un piccolo libro dove si parlava sia di lui, sia di altre vicende analoghe, così da scoprirne di nuove. Come in altri casi, mi sono stupita del fatto che venisse descritto come un autentico testimone della fede, se non di un potenziale candidato agli altari, sebbene fossero trascorsi appena due anni dalla sua morte.
Parecchio tempo dopo, in una puntata di Bel tempo si spera su TV 2000, ho appreso che si stava per aprire la fase diocesana del suo processo di beatificazione e che in questo ha giocato un ruolo importante la madre del Servo di Dio Carlo Acutis, la quale ha esposto il caso alla postulatrice della causa del figlio, la dottoressa Francesca Consolini, appunto ospitata in quella trasmissione (il filmato è alla fine del post, se v’interessa).
Incuriosita dal racconto e dal modo originale di vivere la fede da parte di Matteo, ho accettato di parlare di lui. Per questo motivo, ho pensato bene di contattare l’associazione che si è resa attore del suo processo (ossia che si occupa di raccogliere testimonianze, di facilitare il lavoro del Tribunale ecclesiastico e, dettaglio non trascurabile, di ricevere fondi per i lavori della causa) e ho ricevuto una valanga di materiale, preziosissimo per il mio lavoro.
Per tutta una serie di circostanze editoriali, la pubblicazione dell’articolo su di lui, inizialmente prevista per marzo, è slittata ad aprile. Ci ho trovato un elemento provvidenziale: alle 18 di oggi, nell’ottavo anniversario della morte di Matteo, nella cattedrale di Brindisi si svolge l’ultima sessione della fase diocesana del suo processo.
Ma bando alle ciance e spazio all’articolo vero e proprio. Penso proprio che vi conquisterà, anzi, che vi contagierà, com’è successo a me.

* * *

In una tranquilla casa di Brindisi, due ragazzi, Erika e Matteo, fratello e sorella, sono seduti vicini, a pregare il Rosario. Lui ha un tumore al cervello, per il quale ormai non ci sono più cure e ne è cosciente. Erika, a un certo punto, ammutolisce a vedere suo fratello sorridere. Matteo nota l’espressione triste sul volto di lei e l’incoraggia: «Sorridi, Erika, possiamo pregare con gioia, i cristiani sorridono sempre, sorridi!». Era orgoglioso di chiamarsi Matteo come l’Evangelista e, per quanti l’hanno conosciuto, è stato davvero un “dono di Dio”, come indica il significato del suo nome.

Un sogno a nove anni, come don Bosco

Nato ad Avellino il 19 settembre 1990, Matteo è figlio di Paola e Miky, bancario con la passione per la musica. Cresce buono e vivace, desideroso d’imparare sempre qualcosa di nuovo, sia a scuola sia al catechismo, che frequenta con vero entusiasmo.
Poco prima della sua Prima Confessione, nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 2000, fa un sogno che marca in maniera significativa la sua vita, quasi come accadde a un certo Giovannino Bosco. Gli sembra di vedere una figura a lui nota, san Pio da Pietrelcina, che gli affida un compito speciale: «Se sei riuscito a capire che chi è senza peccato è felice, devi farlo capire anche agli altri, in modo che potremo andare tutti insieme, felici, nel regno dei cieli».
Inizia subito a prendere sul serio quella consegna: si fa aiutare da padre Antonino Colasanti, uno dei Cappuccini che reggono la sua parrocchia, e lo sceglie come guida spirituale. Nella Quaresima del 2000, s’impegna poi a leggere per intero il Vangelo secondo Matteo, il “suo” evangelista. Si prepara quindi alla Prima Comunione, a cui si accosta il 9 giugno 2000: quello stesso giorno, quando il celebrante chiede ai bambini se qualcuno vuole farsi prete o suora, si fa avanti.
Nell’attesa di capire bene cosa significhi una scelta del genere, partecipa tutte le domeniche alla Messa e prega quotidianamente il Rosario. Si iscrive anche all’Apostolato della Preghiera, impegnandosi alla Comunione riparatrice nei primi venerdì del mese. La sua devozione non ha niente di ammuffito o stantio, ma è limpida e sincera e incoraggiata dai suoi familiari.

L’incontro con la malattia

Nel settembre 2003, pochi mesi dopo aver ricevuto il sacramento della Cresima, Matteo accusa i sintomi di quella che pare un’allergia agli occhi. Esami clinici più approfonditi dimostrano, invece, che si tratta di qualcosa di più serio. «In quel momento», ha testimoniato la madre, «diventa il più forte di tutti. È lui che ci dà la forza, è lui che mi dice: “Mamma, non ti preoccupare, perché lo sa il Signore perché sta succedendo questa cosa; stai tranquilla”». Intanto si iscrive all’Istituto Tecnico, ma una risonanza magnetica svela cos’abbia di preciso: un tumore cerebrale di terzo grado.
Ricoverato in un centro specializzato di Hannover, dov’era già stato in precedenza, diventa il beniamino dei degenti italiani: non solo per la sua giovane età, ma perché va a cercarli e prega con loro e per loro, specie nell’imminenza delle operazioni chirurgiche.
Il ritorno in ospedale lo abbatte, ma un pomeriggio, aiutato da un sacerdote, capisce il modo giusto con cui affrontare quello che gli è accaduto. Scriverà più tardi: «Vorresti gridare al mondo che faresti tutto per il tuo Signore, che sei pronto a soffrire per la salvezza delle anime, a morire per Lui, che avrai modo di dimostrargli il tuo amore…».

“Infiltrato” di Dio tra i suoi coetanei

A causa delle sue condizioni, Matteo accantona l’idea di entrare in Seminario, ma non smette d’interrogarsi su cosa Dio effettivamente voglia da lui. Intanto conduce una vita ordinaria, fatta di studio, di uscite con gli amici, della sua passione per lo sport e per la musica. I suoi compagni, bonariamente, gli danno del “moralizzatore” per come li invita a evitare discorsi sconvenienti o parolacce, ma apprezzano anche il suo stile di disponibilità verso chiunque fosse in difficoltà.
Lucidamente e tramite la sua conoscenza diretta, individua due motivi per spiegare la fuga di tanti ragazzi da Dio: da un lato, una «grande debolezza» che li porta a rifugiarsi nel fumo o nella droga perché non riescono ad andare controcorrente; dall’altro, una mancanza di attenzione da parte degli adulti. Per questo non se la sente di dare la colpa tanto ai suoi coetanei, quanto a chi non riesce a esternare la fede verso gli altri.
Quanto a lui, è persuaso che «... solo un giovane può riuscire a parlare ad un altro giovane, o comunque può farlo meglio di un adulto». E lui si impegna a farlo: «Medito… e intanto osservo chi mi sta intorno, per entrare tra loro silenzioso come un virus e contagiarli di una malattia senza cura: l’Amore!».
Una delle prime a essere contagiata dal suo stile è Serena, la ragazza con cui si fidanza nell’aprile 2007. La ama ed è ricambiato; anche la partecipazione insieme alla Messa diventa occasione per stare più vicini. E proprio in quei momenti Serena ha modo di scorgere un’emozione speciale negli occhi di lui, come pure quando prega il Rosario o contempla la Croce.

L’eredità di un giovane

Dal febbraio 2009, Matteo non riesce più a camminare. Le sue parole non sono mai deprimenti, anzi, spesso ripete: «Dobbiamo vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, ma non nella tristezza della morte, bensì nella gioia di essere pronti all’incontro col Signore». Quel momento arriva, per lui, dopo l’ultimo ricovero, quando i medici consigliano ai genitori di riportarlo a casa. È il 24 aprile 2009, poco dopo che la madre, accanto a lui, ha terminato di recitare la Coroncina alla Divina Misericordia.
Pur essendo giovanissimo, Matteo ha un’eredità che è stata raccolta anzitutto dai suoi familiari, poi dal gruppo dell’Apostolato della Preghiera di Brindisi, che si è reso attore della sua causa di beatificazione: la fase diocesana si è aperta il 19 settembre 2016 e si è conclusa il 24 aprile 2017, proprio nell’ottavo anniversario della sua nascita al Cielo. Anche i suoi scritti sono diventati un veicolo per diffondere il “virus” dell’Amore di Dio: «Mio Dio ho due mani, fa che una sia sempre stretta a te, sicché in qualunque prova io non possa mai allontanarmi da te, ma stringerti sempre più; e l’altra mano, ti prego, se è tua volontà, lasciala cadere nel mondo… perché come io ti ho conosciuto per mezzo di altri così anche chi non crede e gli altri giovani possano conoscerti attraverso me. Voglio essere uno specchio, il più limpido possibile, e, se è la tua volontà, riflettere la Tua luce nel cuore di ogni uomo».

Originariamente pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 3 (2017), pp. 16-17 (sfogliabile qui)


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