Suor Kinga della Trasfigurazione: per l’Amore più grande
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NOTA
PREVIA: abitualmente, quando si tratta di religiosi o di religiose non
italiani, traduco nella nostra lingua solo il nome di religione. Nel caso di
suor Kinga, dato che ormai è nota col nome religioso in ungherese, lo lascio
così.
Chi
è?
Judit
Büki nacque il 15 agosto 1973 a Budapest, in una famiglia numerosa, di ceto
modesto, molto religiosa. Da bambina e da ragazza fu molto introversa e
silenziosa. Dai dieci ai diciotto anni prestò servizio volontario, durante
l’estate, tra gli anziani e i disabili.
Alcune
delusioni amorose la portarono a domandarsi se non ci fosse in vista, per lei,
un amore ancora più grande di quello che si può provare per un uomo. Frequentò
il liceo “La Patrona” retto dalle Suore Scolastiche di Nostra Signora, passando
poi alla facoltà di Matematica dell’Università degli Studi Eötvös Loránd di
Budapest.
Una
sera, mentre era al quarto anno, stanca dopo una giornata di studio, le accadde
di trovare in televisione La settima
stanza, su santa Teresa Benedetta della Croce. Il film era già iniziato, ma
volle vederlo lo stesso. L’impressione che le lasciò fu tale che, durante la
notte, sentì dentro di sé la certezza che anche lei, come la protagonista del
film, sarebbe diventata una monaca Carmelitana.
Cominciò
allora a essere più attenta ai piccoli segni che Dio le metteva sulla sua
strada, ma si lasciò distrarre durante il periodo che trascorse in Canada, per
preparare la tesi di laurea. Nel 1988 discusse la tesi; nello stesso anno,
entrò nel monastero delle Carmelitane Scalze di Pécs.
Pochi
mesi dopo il suo ingresso, morì suor Élisabeth della Trasfigurazione, la
maestra delle novizie. Accanto al suo letto di morte, Judit comprese che quella
monaca aveva sofferto al posto suo: si sentì chiamata, quindi, a proseguirne
l’opera. Di lì a poco, scoprì di avere una malattia autoimmune, la sindrome di
Raynaud.
Il
15 ottobre 1999 compì la vestizione religiosa, assumendo il nome di suor Kinga
della Trasfigurazione. Il 26 agosto 2001 emise la prima professione dei voti e,
il 6 agosto 2004, i voti solenni. Nella comunità (che poi si trasferì a
Magyarsék) fu sarta, sacrestana e pittrice di icone.
Nell’agosto
di due anni dopo, a trentatrè anni appena compiuti, a suor Kinga fu
diagnosticato un tumore al seno. Offrendo ancora di più la propria vita per la
sua comunità religiosa, affrontò le terapie e i momenti di sconforto. La prima
domenica di Avvento del 2008 la Madre Priora, suor Mirjam, le chiese di
scrivere la propria autobiografia. Morì il 24 agosto 2009.
Cosa
c’entra con me?
Nel
mese di giugno dello scorso anno mi ero messa d’impegno a scrivere un profilo
biografico della Beata Maria Giuseppina di Gesù Crocifisso, Carmelitana Scalza,
vissuta a Napoli nel 1900. Il 6, mentre cercavo dettagli che mi permettessero
di arricchire l’articolo, mi sono imbattuta nella storia di un ragazzo,
Riccardo Visioli, malato di epidermiolisi bollosa. Tra gli articoli che avevo
trovato, uno segnalava l’uscita di un libro sulla sua esperienza tra fede e
malattia, presente sul sito della Provincia Veneta dei Carmelitani Scalzi.
Non
ricordo come né perché, ma ho notato un altro articolo interessante tra gli
ultimi inseriti. Si trattava di una riflessione sulla Esortazione apostolica Gaudete et exsultate e su come l’offerta della vita, di cui tratta, sia centrale nello stile carmelitano. L’autore, in una nota, menzionava suor Kinga.
Ormai avevo deciso di accantonare sia la prima, sia la seconda ricerca: mi
sembrava, pur non sminuendo gli altri due, che in lei ci fosse qualcosa di
meritevole d’attenzione.
Anche
in un altro articolo dello stesso sito, stavolta relativo al Motu proprio Maiorem hac dilectionem, si faceva
riferimento a suor Kinga. L’autore, fra Iacopo Iadarola, era lo stesso
dell’altro pezzo. Proseguendo la ricerca, ho trovato un saggio su di lei,
ancora a firma dello stesso religioso. A quel punto, non mi restava altro che
contattarlo direttamente, come avevo fatto anche per l’autore del libro sul
giovane Riccardo.
Dopo
qualche mese, il 18 ottobre 2018, con un giro di telefonate, sono riuscita a
rintracciare fra Iacopo. Volevo chiedergli una consulenza per scrivere un
profilino anche di suor Kinga, ovviamente con la necessaria cautela che applico
nei confronti di quei personaggi che non sono nemmeno Servi di Dio. Fu molto
dispsaonibile anche nel rispondere alla mia curiosità maggiore, ovvero quale
fosse il suo legame con lei. La ragione, mi spiegò, risiedeva nel fatto che le
monache di Magyarsék gli passarono la bozza della traduzione italiana
dell’autobiografia, che in Ungheria era già arrivata alla terza edizione,
mentre in Francia era alla seconda.
Sempre
riguardo a questioni di traduzione, mi sono anche domandata perché non sia
stato tradotto il nome proprio da religiosa. Kinga corrisponde a “Cunegonda” in
italiano: almeno, così è stato reso nel Martirologio Romano in riferimento a
Kinga della dinastia degli Arpadi, già regina di Polonia, poi vedova e monaca
clarissa, canonizzata nel 1999.
Ricevendo
proprio lei come patrona, Judit si è sentita spinta a conoscerla meglio, al di
là dell’aspetto che più l’aveva quasi sconcertata la prima volta che sentì
leggere la sua vita: la scelta di vivere in castità col marito Boleslao, il
quale, del resto, è passato alla Storia come “il Pudico” o “il Casto”.
Ho
quindi atteso l’uscita anche in italiano dell’autobiografia, avvenuta a
dicembre 2018. Mi sono procurata una copia a scopo di recensione, ma dal 30
gennaio 2019, il giorno in cui mi è arrivata, sono passati parecchi mesi prima
che la prendessi in mano. Non che l’interesse fosse venuto meno, ma sentivo che
non fosse prioritario parlarne.
Con
l’avvicinarsi della festa della Trasfigurazione del Signore, ho deciso di
affrontare la lettura. L’ho cominciata mentre mi stavo avviando a visitare il
Sancarlone di Arona, trovando subito degli spunti su cui riflettere nelle
pagine in cui suor Kinga parla della sua relazione con i membri della Chiesa
militante, sofferente (o purgante) e gloriosa (o trionfante). Rispetto a lei,
però, mi risulta ancora difficile chiedere aiuto, per non dire intercessione, a
qualcuno che è morto ma non è in cammino verso gli altari, fatto salvo qualche
rarissimo caso.
Il
paragone con la Storia di un’anima di
santa Teresa di Gesù Bambino mi è venuto quasi immediato. Non solo per le
circostanze compositive di entrambe le autobiografie, ma anche per la
descrizione della vita comunitaria, dei momenti di aridità, delle consolazioni
ricevute da Dio più che dagli uomini. Eppure, tra suor Kinga e santa Teresina
ci sono secoli di distanza: si sente più che altro nel confronto con la Parola
di Dio, che all’epoca della seconda non era ancora a portata di mano per tutte
le monache.
Anche
a me, poi, ha colpito molto La settima
stanza. Per molto tempo ha costituito la mia principale fonte sulla storia
di santa Teresa Benedetta della Croce, che ho approfondito (ma devo ancora fare
del tutto mia) solo quando mi è stato chiesto di scrivere di lei per Sacro Cuore VIVERE.
Le
pagine sulla malattia mi hanno effettivamente messo addosso un senso di
preoccupazione per la sua sorte, anche se, tecnicamente, sapevo già com’era
andata. Non mi pare di aver letto prima che, oltre al cancro al seno, avesse
avuto una malattia autoimmune. La conclusione mi ha rincuorata, però avrei
voluto sapere qualche dato in più sul momento della sua morte: se era da sola o
con qualche monaca, se ha pronunciato qualche parola speciale... Penso che
siano solo mie curiosità peregrine, in fin dei conti.
Come
è evidente, alla fine non sono riuscita a scrivere di lei in tempo per la
Trasfigurazione. Non ho neppure portato il libro con me in vacanza, in quanto
avevo deciso di rimandare ogni aggiornamento del blog, fatto salvo un post più
vacanziero, al mio ritorno a casa. Tanto più che ero convinta che il decimo
anniversario della morte di suor Kinga fosse oggi, non cinque giorni fa.
Riprendendo il libro, mi sono accorta con rammarico di aver perso la circostanza,
ma di essere ancora in tempo per adempiere (almeno in parte: non ho ancora
messo mano al profilo biografico) la promessa che avevo fatto a fra Iacopo.
Il
suo Vangelo
L’incarnazione
del Vangelo in suor Kinga passa di necessità per la scelta di offrire la
propria vita per la comunità carmelitana in cui viveva. Come spiega fra Iacopo
nel suo saggio, ora pubblicato come postfazione dell’autobiografia, dal momento
preciso in cui ha emesso l’offerta lei si è impegnata a vedere negli altri il
Servo del Signore di cui parla il profeta Isaia. Per questa ragione si è
prestata in mille servizi, anche non appariscenti, anche quando si sentiva
debole. Scrive infatti:
Non è stato facile. Mi sono sentita tante volte quasi
svenire per lo sfinimento, ma questa era per me l’unica strada possibile. Stavo
donando la mia vita per Cristo. Goccia dopo goccia. Non so quanto il mio
sacrificio gli sia stato gradito, ma spero che lo sia stato. Non sono stata io
a scegliere questa offerta, ma mi è stato chiesto e io mi sono sforzata di
accogliere questa richiesta. Lui mi ha chiamata al Carmelo, Lui mi ha scelta,
Lui mi ha chiesto di donargli la mia vita.
Nelle
situazioni in cui si trovava, suor Kinga ha quindi trovato altrettante
occasioni per trasmettere la gloria di Dio irradiata nel mistero della
Trasfigurazione, ma resa concreta nel dolore della Croce.
Per
saperne di più
Kinga della
Trasfigurazione, Non mi sono tirata
indietro, Edizioni OCD 2019, pp. 256, € 16,00.
L’autobiografia
di suor Kinga, iniziata nell’Avvento 2008 e conclusa pochissimo prima della
morte.
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