Le parole di papa Francesco che porterò sempre con me

I suoi testi magisteriali
hanno posto nella mia biblioteca
!

Questo è uno dei due giorni, nel tempo di Quaresima, nei quali posso pubblicare qualcosa qui, nel rispetto della regola che mi ero data sin dai primi tempi del blog. Oggi, però, ricorre anche il decimo anniversario dell’inizio del ministero petrino di papa Francesco.

Ho pensato allora di ripercorrere il suo pontificato basandomi sulle espressioni tratte dai suoi testi magisteriali che più mi hanno colpito. In questo senso credo di adempiere alla domanda che il mio Arcivescovo (che non gli è ostile come molti credono - in realtà è una storia vecchia quella che contrappone il Papa regnante all'Arcivescovo di Milano in carica - anzi, a ben vedere ha molti più aspetti in comune con lui di quanto si creda) ha rivolto all'intera Diocesi nel messaggio per il decimo anniversario dell'elezione.

Alcune mi hanno incoraggiata nel mio cammino, altre mi hanno lasciato un senso d’inquietudine che fatica ancora a placarsi.

In fase di bozza, avevo pensato di selezionare cinque testi dai documenti ufficiali, ovvero dalle encicliche, dalle esortazioni apostoliche o dalle lettere apostoliche, e altrettanti dalle omelie e dai discorsi pubblici; avrei corredato il tutto con un mio commento.

Alla fine, però, ho pensato di trarne in tutto dieci, dividendo però nelle due sezioni e procedendo, all’interno di ciascuna di esse, in ordine cronologico. Per aiutare a capire il contesto, nel titolo di ciascun paragrafetto inserirò il collegamento alle pagine del sito della Santa Sede col testo integrale.

 

Testi dai documenti

 

Evangelii Gaudium 6

  

Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua. Però riconosco che la gioia non si vive allo stesso modo in tutte la tappe e circostanze della vita, a volte molto dure. Si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto. Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie: «Sono rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere … Questo intendo richiamare al mio cuore, e per questo voglio riprendere speranza. Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie. Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà … È  bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore» (Lam 3,17.21-23.26).

L’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, da molti commentatori, viene ritenuta il documento programmatico dell’attuale Pontefice. Il punto che mi ha maggiormente colpita è quello che ho riportato, per varie ragioni.

Anzitutto, perché aiuta a capire che la gioia cristiana non è avere il sorriso stampato in volto, ma un atteggiamento che consola anche quando tutto sembra andare male; è un aspetto della mia vita su cui sento di dover lavorare parecchio.

In seconda battuta, consente di vivere diversamente anche la Quaresima, il tempo liturgico in cui ci troviamo ora. Rinunce e sacrifici non vanno vissuti tanto per fare, o con un atteggiamento triste: invece, occorre esercitarsi in essi per trovare il vero senso delle nostre azioni.

 

Amoris laetitia 212-213

  

La preparazione prossima al matrimonio tende a concentrarsi sugli inviti, i vestiti, la festa e gli innumerevoli dettagli che consumano tanto le risorse economiche quanto le energie e la gioia. I fidanzati arrivano sfiancati e sfiniti al matrimonio, invece di dedicare le migliori energie a prepararsi come coppia per il gran passo che faranno insieme. Questa mentalità si riscontra anche in alcune unioni di fatto, che non arrivano mai al matrimonio perché pensano a festeggiamenti troppo costosi, invece di dare priorità all’amore reciproco e alla sua formalizzazione davanti agli altri. Cari fidanzati, abbiate il coraggio di essere differenti, non lasciatevi divorare dalla società del consumo e dell’apparenza. Quello che importa è l’amore che vi unisce, fortificato e santificato dalla grazia. Voi siete capaci di scegliere un festeggiamento sobrio e semplice, per mettere l’amore al di sopra di tutto. Gli operatori pastorali e tutta la comunità possono aiutare a far sì che questa priorità diventi la normalità e non l’eccezione.

 

Nella preparazione più immediata è importante illuminare gli sposi perché vivano con grande profondità la celebrazione liturgica, aiutandoli a comprendere e a vivere il senso di ciascun gesto. Ricordiamo che un impegno così grande come quello che esprime il consenso matrimoniale, e l’unione dei corpi che consuma il matrimonio, quando si tratta di due battezzati, si possono interpretare solo come segni dell’amore del Figlio di Dio fatto carne e unito con la sua Chiesa in alleanza d’amore. Nei battezzati, le parole e i gesti si trasformano in un linguaggio che manifesta la fede. Il corpo, con i significati che Dio ha voluto infondere in esso creandolo, «si trasforma nel linguaggio dei ministri del sacramento, coscienti che nel patto coniugale si manifesta e si realizza il mistero».

Frutto del Sinodo sulla Famiglia, è uno di quei documenti che hanno destato maggiori commenti e critiche, anche aspri, di tutto il pontificato.

Io mi sono soffermata su questi due paragrafi perché mi è accaduto molto spesso di affiancare alcuni sposi nella preparazione immediata del Matrimonio, a cominciare dalla stesura del libretto per la celebrazione; li ho aiutati perlopiù a distanza, ma altre volte anche con incontri di persona.

Ho cercato più volte di guidarli nella scelta delle letture, nell’adottare canti che effettivamente parlino dell’amore tra un uomo e una donna benedetto da Dio, nell’evitare segni incongrui o gesti estranei alla liturgia. A volte mi è andata bene, altre meno, forse perché, anche nelle coppie che frequentano di più la parrocchia, può capitare che manchi, appunto, la comprensione dei segni del rito.

Resto convintissima, per questa ragione, di quanto papa Francesco ha raccomandato più volte, ad esempio nel discorso alla Rota Romana del 21 gennaio 2017, a proposito di un catecumenato per le nozze. Questa intuizione è confluita nel documento Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale, elaborato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.

La citazione tra virgolette è dalla catechesi del 27 giugno 1984 di san Giovanni Paolo II, una di quelle sulla cosiddetta teologia del corpo.

 

Gaudete et exsultate 22

 

Per riconoscere quale sia quella parola che il Signore vuole dire mediante un santo, non conviene soffermarsi sui particolari, perché lì possono esserci anche errori e cadute. Non tutto quello che dice un santo è pienamente fedele al Vangelo, non tutto quello che fa è autentico e perfetto. Ciò che bisogna contemplare è l’insieme della sua vita, il suo intero cammino di santificazione, quella figura che riflette qualcosa di Gesù Cristo e che emerge quando si riesce a comporre il senso della totalità della sua persona.

Questa esortazione apostolica è uno dei testi che più mi guida attualmente; non può che essere altrimenti, per un blog che si occupa di santità e di esemplarità. In particolare, questo estratto mi è di aiuto quando ho a che fare con figure particolarmente complesse, o quando mi viene chiesto di raccontare storie simili evitando dettagli che, invece, reputerei importanti.

Mi è anche accaduto di ricordarlo quando ho visto articoli nei quali si esaltava un certo modo di pensare contenuto negli scritti di qualche Santo, quasi fosse stato canonizzato anche quel suo atteggiamento. 

In realtà, dice il Papa appoggiandosi sulla riflessione teologica di Hans Urs von Balthasar, è più importante pensare a tutto il cammino che la tale persona ha compiuto per santificarsi, senza insistere troppo su certi suoi modi di pensare, che a volte non corrispondono a quelli della nostra epoca.

Un altro conto, poi, è se il “fiuto” del popolo di Dio e l’autorità della Chiesa hanno riconosciuto che in quella vita si rifletteva Gesù.


OMELIE E DISCORSI


Omelia della Messa con i Cardinali, 14 marzo 2013

Il giorno dopo l’elezione, ero davanti al televisore a seguire la diretta di quella Messa. Ero davvero curiosissima di ascoltare, per la prima volta, un’omelia del nuovo Pontefice, immaginando che da essa avrei capito quale indirizzo lui avrebbe voluto dare alla Chiesa.

Il tema generale delle letture, aveva spiegato, era il movimento, visto sotto tre aspetti, uno per ciascuna lettura: camminare, edificare, confessare. Già quella sintesi così efficace mi aveva convinta, ma quando è arrivato al punto del “confessare”, sono davvero saltata di gioia:

 

Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.

Mi sembrava decisamente un ottimo biglietto da visita, che non rinnegava in nulla il magistero degli immediati predecessori.

 

Omelia da Casa Santa Marta del 6 giugno 2014

Il 7 giugno 2014 un mio vecchio compagno d’università sarebbe stato ordinato sacerdote. Era stato davvero gentile a concedermi un’intervista; per quella ragione, ma anche per l’amicizia del passato, avevo deciso di preparargli un pensierino da parte mia.

Ancora non sapevo che non è bene fare regali ai sacerdoti, per ragioni di sobrietà; in ogni caso, una corona del Rosario, confezionata dalle mie mani, non mi sembrava qualcosa di troppo impegnativo.

Peraltro, tramite i media della Diocesi, avevo avuto la certezza di quanto avevo immaginato: il mio vecchio amico sarebbe stato riservato per gli studi, cioè inviato a studiare a Roma. Motivo in più, pensavo, per fargli avere qualcosa con cui manifestare che mi sentivo ugualmente in comunione con lui. Restava solo da scegliere una frase di qualche autore spirituale da inserire nel biglietto, anche quello fatto da me, sebbene tramite un semplice programma di videoscrittura.

Proprio il giorno prima dell’ordinazione, non ricordo come né perché, mi saltò all’occhio il resoconto dell’omelia che papa Francesco aveva tenuto dalla cappella di Casa Santa Marta:


Il secondo punto che emerge dal racconto di Giovanni è «l’invito: pasci, sii pastore!». Qualcuno, ha fatto notare il Papa, potrebbe forse obiettare: «Ma Signore, sai, io devo studiare perché voglio diventare un intellettuale della filosofia, della teologia, della patrologia...». A questi pensieri bisogna rispondere: «Sii pastore, dopo viene l’altro! Pasci! Con la teologia, con la filosofia, con la patrologia, con quello che studi, ma pasci! Sii pastore!».

 

Del resto, ha spiegato il Pontefice, «il Signore ci ha chiamato per questo» e l’imposizione delle «mani del vescovo sulla nostra testa è per essere pastori».

Il giovane sacerdote in questione è tornato un paio d’anni fa dagli studi romani ed è proprio docente di Patrologia; spero che ogni tanto ripensi anche lui a quelle parole, che valgono, in realtà, per ogni suo confratello.

 

Prima del Rosario a Fatima, 2017 (Benedizione delle candele alla Cappellina delle Apparizioni, prima della recita del Rosario)

Ammetto che, quando ci sono i Viaggi apostolici, non seguo proprio tutte le dirette televisive. Per quello a Fatima nel 2017, invece, ricordo di aver voluto partecipare almeno al Rosario, visto che l’indomani non avrei potuto vedere la canonizzazione dei pastorelli Francesco e Giacinta Marto.

Del discorso pronunciato prima che iniziasse la preghiera mariana ho trattenuto queste espressioni:

Quale Maria? Una Maestra di vita spirituale, la prima che ha seguito Cristo lungo la “via stretta” della croce donandoci l’esempio, o invece una Signora “irraggiungibile” e quindi inimitabile? La “Benedetta per avere creduto” sempre e in ogni circostanza alle parole divine (cfr Lc 1,42.45), o invece una “Santina” alla quale si ricorre per ricevere dei favori a basso costo? La Vergine Maria del Vangelo, venerata dalla Chiesa orante, o invece una Maria abbozzata da sensibilità soggettive che La vedono tener fermo il braccio giustiziere di Dio pronto a punire: una Maria migliore del Cristo, visto come Giudice spietato; più misericordiosa dell’Agnello immolato per noi?

Riconosco che, da quel momento in poi, il mio modo di pensare alla Madonna è profondamente cambiato, radicandosi più profondamente a quello che il Vangelo ci dice di lei. Questo non comportava, ovviamente, rigettare le tradizioni o le devozioni a cui ero abituata da piccola.

 

Circo Massimo, 11 agosto 2018

Insieme alla prima Udienza generale del pontificato, a un’altra Udienza nel corso del Giubileo della Misericordia, alla Messa con le canonizzazioni del 15 maggio 2022 e a un’altra circostanza che racconterò più avanti, costituisce una delle occasioni in cui ho ascoltato con le mie orecchie le parole del Papa.

Precisamente, quella volta ero davvero a pochi metri da lui, sul palco del Circo Massimo di Roma, come membro del mega-coro composto dal Gruppo Shekinah, dal coro dell’Istituto Diocesano di Musica Sacra di Reggio Emilia e da un coro di Bari di cui non ho mai saputo il nome.

In realtà, le avevo già citate nel secondo post in cui raccontavo la mia esperienza in quei giorni dell’incontro con i giovani italiani, però le riprendo pari pari, insieme alle mie considerazioni di allora:

Cari amici, vi siete messi in cammino e siete venuti a questo appuntamento. E ora la mia gioia è sentire che i vostri cuori battono d’amore per Gesù, come quelli di Maria Maddalena, di Pietro e di Giovanni. E poiché siete giovani, io, come Pietro, sono felice di vedervi correre più veloci, come Giovanni, spinti dall’impulso del vostro cuore, sensibile alla voce dello Spirito che anima i vostri sogni.

Nel post, dunque, scrivevo:

Mi sono sentita proprio come lui, pensando ai miei compagni di Shekinah, che in dieci anni e più di servizio ho visto crescere e progredire più di me, ma anche ai giovani che affollavano il Circo Massimo. Per loro, a differenza di me, non è troppo tardi per «rischiare un salto in avanti, un balzo audace e temerario per sognare e realizzare come Gesù il Regno di Dio», come ha affermato il Santo Padre.

Dopo quell’esperienza è nato uno dei nuovi canti di Shekinah, Ti parlerò nel sogno, che sarà incluso nel CD attualmente in lavorazione (messaggio promozionale!).

 

Omelia del 31 maggio 2020, solennità di Pentecoste

Nel tempo della prima ondata del coronavirus non ho seguito, come tanti invece hanno fatto, la diretta delle Messe da Casa Santa Marta. In compenso, ogni giorno condividevo, sulla pagina Facebook della mia parrocchia, l’intenzione giornaliera per cui il Papa invitava a pregare.

Ho seguito anch’io il momento di preghiera del 23 marzo 2020, ma di quel periodo non trattengo tanto frasi di quell’occasione o di quelle precedenti, quanto un brano dell’omelia di Pentecoste:


Veniamo a noi, Chiesa di oggi. Possiamo chiederci: “Che cosa ci unisce, su che cosa si fonda la nostra unità?”. Anche tra noi ci sono diversità, ad esempio di opinioni, di scelte, di sensibilità. Ma la tentazione è sempre quella di difendere a spada tratta le proprie idee, credendole buone per tutti, e andando d’accordo solo con chi la pensa come noi. E questa è una brutta tentazione che divide. Ma questa è una fede a nostra immagine, non è quello che vuole lo Spirito. Allora si potrebbe pensare che a unirci siano le stesse cose che crediamo e gli stessi comportamenti che pratichiamo. Ma c’è molto di più: il nostro principio di unità è lo Spirito Santo. Lui ci ricorda che anzitutto siamo figli amati di Dio; tutti uguali, in questo, e tutti diversi. Lo Spirito viene a noi, con tutte le nostre diversità e miserie, per dirci che abbiamo un solo Signore, Gesù, un solo Padre, e che per questo siamo fratelli e sorelle! Ripartiamo da qui, guardiamo la Chiesa come fa lo Spirito, non come fa il mondo. Il mondo ci vede di destra e di sinistra, con questa ideologia, con quell’altra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. Il mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per Lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico.

Non l’ho ascoltato in diretta, ma l’ho trovato in sintesi su una rivista, proprio quando mi stavo chiedendo perché certe figure, anche di Santi, vengono abbinate a una tale o una talaltra corrente politica.


Discorso del 6 ottobre 2022

Come scrivevo all’inizio del post, non ci sono state solo parole incoraggianti o consolanti, ma anche altre che mi hanno destabilizzata, se non messa in crisi. Spesso rimarcavano la necessità di ascoltare i poveri e d’immergermi tra di loro, di non essere una burocrate arida (come nel caso della «dogana pastorale» citata parzialmente in un brano che ho sbufalato) o di avere sacerdoti santi, sebbene in modo leggermente diverso da come io intendessi quel concetto.

Alcuni giorni dopo il mio ritorno dal convegno La santità oggi svolto a Roma, furono proprio alcune di quelle frasi che avevo udito di persona nella Sala Clementina, all’udienza per i partecipanti al convegno, a causarmi un sacco di dubbi:


Ai nostri giorni, l’accesso corretto ai mezzi di comunicazione può favorire la conoscenza del vissuto evangelico di un candidato alla beatificazione o alla canonizzazione. Tuttavia, nell’uso dei media digitali, in particolare delle reti sociali, ci può essere il rischio di forzature e mistificazioni dettate da interessi poco nobili. Occorre, quindi, un discernimento saggio e perspicace di tutti coloro che si occupano della qualità della fama di santità.

Ho iniziato a domandarmi se con i miei articoli, specie relativi a un Testimone in particolare, io non abbia contribuito a convincere tanti che quel tale era meritevole degli altari, quando invece la sua fama di santità è quasi nulla.

Ho riconosciuto che ero stata effettivamente mossa da «interessi poco nobili», come poteva essere l’invidia per il fatto che Carlo Acutis era arrivato alla beatificazione a meno di quindici anni dal suo transito, mentre il personaggio a cui tenevo, morto quasi venti anni fa, forse non verrà mai beatificato.

Non valeva però la pena di deprimermi, ma di riprendere a scrivere, anche su quella storia a cui sono così affezionata, correggendomi però da questo atteggiamento.

 

Parole… senza parole

Ci sarebbero in realtà altre espressioni su cui potrei soffermarmi, o locuzioni che sono entrate anche nel mio linguaggio. Preferisco concludere con lo sguardo, accompagnato da un largo sorriso e da ripetuti cenni di assenso col capo, che il Santo Padre mi ha rivolto quando è venuto il mio turno di accostarmi a lui in quella stessa udienza del 6 ottobre.

Se un giorno mi capiterà di avere di nuovo a che fare con lui, spero solo di non limitarmi a dirgli, come quella volta: «Grazie di tutto!». La gratitudine, in ogni caso, emerge dal mio cuore anche in questo felice anniversario.

Commenti

Post più popolari