Tre domande a… don Giuseppe Corbari: una mostra per far rivivere i ragazzi e i giovani amici di Gesù
Il prospetto generale della mostra (per concessione dell'autore) |
Chi è?
Don
Giuseppe Corbari, ordinato sacerdote nel 2005 a Milano, dal 2020 è vicario
parrocchiale nella Comunità Pastorale San Paolo di Giussano, in diocesi di
Milano.
Proprio
durante il primo lockdown ha avuto un’idea che ha fatto veramente il giro del
mondo: ha chiesto ai suoi parrocchiani di mandargli le fotografie dei loro
volti e le ha collocate in chiesa, in corrispondenza dei posti a sedere, finché non è
stato possibile celebrare di nuovo la Messa con la presenza del popolo.
Cosa c’entra con
me?
Venerdì
scorso ho ricevuto un messaggio in un gruppo WhatsApp: riguardava il video di
presentazione di una mostra a pannelli, intitolata Gesù e l’amico. Dato
che ero sul punto di scendere dal tram su cui viaggiavo, ho pensato di vederlo
con più calma a casa, tanto più che, dall’anteprima, mi sembrava l’ennesimo
repertorio di storie di ragazzi e giovani Testimoni a me già note, più volte
lette sia sul web che sulla carta stampata.
Mai
pregiudizio fu più errato: come vedrete voi stessi nel video, che incorporo qui
sotto, ci sono nomi ormai imprescindibili, ma anche altri che ignoravo
completamente e uno della cui inclusione, se mi seguite da tempo, potrete
facilmente immaginare quanto sia stata felice…
Nella descrizione del video erano indicati i contatti a cui richiedere la mostra, ovvero l’e-mail di don Giuseppe, che si presentava come “sacerdote ambrosiano”. Già il fatto che avesse avuto quell’idea me lo rendeva affine, ma vedere che era della mia stessa diocesi mi spingeva a saperne di più. Gli ho quindi mandato un’e-mail per concordare un’intervista telefonica, che si è tenuta la sera stessa di venerdì 19.
Don
Giuseppe si è dimostrato molto disponibile, dandomi anche qualche consiglio
utilissimo per alimentare ancora di più la mia passione per i veri amici di
Gesù, specie quelli più dimenticati e dei quali, forse, la Chiesa non
s’impegnerà mai a valutare l’effettiva esemplarità.
Immagino
che la mostra sia nata per comunicare ai suoi fedeli, e poi a quanta più gente
possibile, la scoperta che ha fatto di queste storie di bambini, ragazzi e
giovani. Mi può raccontare in breve la genesi del progetto?
Da
sempre ho una certa sensibilità per quello che riguarda la fede dei ragazzi e
dei giovani: anzitutto perché, quand’ero ragazzo, parlavo coi miei amici di
oratorio, facevo scambi sulla fede, pregavamo insieme. Mi ha sempre affascinato
questo modo di relazionarci alla figura di Gesù. Alcuni miei amici poi sono
morti giovani, quindi mi sono sentito affascinato da queste persone che sono
state strappate alla vita, in modo a volte anche traumatico, e da come hanno
vissuto quest’esperienza.
Diventando
prete, mi sono imbattuto in alcuni libri che parlavano di figure di questo
genere. Dato che amo molto comunicare attraverso le immagini – spesso nelle mie
omelie faccio riferimento a opere d’arte, che stampo in gigantografie per poter
dialogare con i fedeli – mi ha fatto pensare che riprodurre sui pannelli le
storie di questi ragazzi potesse essere un modo per rispondere all’invito che
Gesù fa nel Vangelo di Matteo (Mt 10,8), quando invia i Dodici: «Guarite gli
infermi, risuscitate i morti».
Mi sono
sempre domandato cosa significasse: per come noi abbiamo la possibilità,
significa tenere viva la memoria di coloro che hanno lasciato un segno nella
loro giovane età e, visto che la morte li ha portati via così prematuramente, è
come non darle la soddisfazione di lasciarli nell’oblio.
L’obiettivo
fondamentale è mettere in evidenza la loro relazione con Gesù nel momento della
loro sofferenza, decisiva nella loro vita e anche nella loro morte. Mi vengono
in mente tante espressioni dette da loro: «Comunque la mia vicenda ha due bei
finali: o guarisco o incontro Gesù» scritta [non sono queste le sue testuali
parole, ndr] da Giulia Gabrieli, per esempio. Oppure Luca Bertola, che chiede
alla madre, in una situazione di malattia molto avanzata: «Se io non avessi
fatto la Cresima, come avrei potuto sopportare tutto questo?»; vuol dire che
l’ha ricevuta credendo proprio di ricevere lo Spirito Santo. O ancora, Gianluca
Firetti, quando per Natale non chiede un paio di pantaloni o un CD, ma di poter
fare la Comunione. Nella loro semplicità, l’amicizia con Gesù è stata
fondamentale perché potessero affidarsi anche nel momento della prova. Senza la
fede, sarebbero morti disperati.
Io
avevo iniziato con dodici ragazzi: l’idea era quella di partire da Gesù con
dodici apostoli, poi ne ho aggiunti tre e sono diventati quindici più un
pannello introduttivo. Se ne possono aggiungere altri, ma poi diventa un po’
impegnativo. L’utilizzo della mostra è gratuito, quindi più gira tra le
parrocchie e gli oratori, più vengono conosciuti questi ragazzi.
Qual
è stata la reazione dei suoi ragazzi, o comunque della gente della sua comunità
che ha visto i pannelli e che magari conosceva sì e no Carlo Acutis, Chiara
Badano e pochi altri?
Ho
messo la mostra in chiesa prima della Settimana Santa, proprio per aiutare la
gente a vivere la Risurrezione attraverso la risurrezione di questi ragazzi. Dai
più giovani non è che abbia avuto tante reazioni, sinceramente, perché di fatto
fanno un po’ fatica a mettersi a leggere i pannelli e sono sempre un po’ di
fretta. Gli adulti invece tendenzialmente si ponevano una domanda: «Ma io, al
suo posto, come avrei agito, cos’avrei detto, cos’avrei fatto?». Di fronte a
testimonianze così profonde, a parte la commozione, qualcuno mi ha detto: «Io
mi vergogno perché non sono così».
Cosa
può dirmi, invece, dei giovani poco noti che ha voluto inserire?
Una è
Valeria Radaelli, una ragazza dell’oratorio di Monza dov’ero prima, che era una
mia educatrice, una ragazza veramente d’oro. Si è sposata – io ho benedetto le
sue nozze – ma, un anno dopo il matrimonio, ha avuto un sarcoma ed è morta.
Un
altro è Alberto Frigerio, della mia parrocchia di adesso, che è morto in un
incidente in montagna. Ho parlato con i suoi genitori, perché qui è ricordato
bene: anche lui era un ragazzo di fede, sempre disponibile, sorridente. Alla
Messa di mezzanotte, a Natale, regalava un cioccolatino a tutti quelli che
uscivano dalla chiesa. I colleghi di lavoro a Milano lo vedevano spesso dare da
mangiare ai barboni: lui era un matematico, aveva l’ufficio in piazza Duomo,
però non disdegnava di scendere e aiutare i senzatetto a mangiare.
Ho
voluto metterli per far capire che anche nelle parrocchie ci sono queste
storie: se si parla di “santità della porta accanto”, da lì si può partire.
Per agevolare la diffusione della mostra, indico a mia volta l’e-mail di don Giuseppe: d.gc@libero.it. Qui invece si può ordinare il catalogo della mostra.
I pannelli sono in materiale plastico (80x60 cm) e sono provvisti di fori per
essere facilmente agganciati.
Dall’11 maggio saranno esposti nella parrocchia di San Giuseppe
Artigiano a Brodano Vignola, mentre dal 5 al 10 giugno faranno tappa all’oratorio
San Luigi di Lecco.
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