Squarci di testimonianze #45: Alessio Passiatore e Azzurra Carnelos Favero, che hanno “dato casa” alla vocazione

Fonte della prima foto / fonte della seconda

Non avevo proprio idea di che cosa scrivere per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Ho in ballo molte altre storie da raccontare, ma non mi sembravano adatte a questa circostanza. La cronaca mi è venuta incontro, con due vicende di cui sicuramente qualcuno di voi lettori si aspettava che io parlassi, se gli sono saltate all’occhio scorrendo le notizie sui social media. 


Alessio, un altro seminarista “in Cielo”? 

 

Sabato scorso, appena uscita da un matrimonio, ho ricevuto un messaggio WhatsApp in cui era contenuta la notizia della morte di Alessio Passiatore, trentunenne seminarista della diocesi di Biella, avvenuta la sera del giorno precedente. La causa del decesso è stata ricondotta a un infarto, occorso mentre il seminarista riposava nella sua camera del Seminario (che ha sede dal 2021 a Gozzano), appena tornato dalle lezioni a Novara. Originario di Viverone, proveniva dalla parrocchia di San Biagio a Novara; a breve sarebbe stato istituito Accolito. 

Ancora una volta, mi è venuto da gridare al cielo perché queste storie capitino tutte a me e perché mi arrivino in momenti che, invece, dovrebbero essere di gioia. In più, questa è capitata nell’anno in cui ricorrono il ventesimo anniversario della morte di Alessandro Galimberti, seminarista della mia diocesi (e ti pareva che non lo menzionassi, penseranno i più fedeli tra voi lettori) e del decimo di quella di Marco Zanirato, anche lui seminarista piemontese (di Acqui, per la precisione), deceduto per un incidente stradale; sono dieci anni anche dalla fine terrena di Giampiero Morettini, di Perugia, l’ultimo seminarista italiano diocesano per il quale mi consta sia stata aperta la causa di beatificazione e canonizzazione. Due anni fa, invece, è morto Andrea Sorrentino, di Napoli; proprio oggi vengono ordinati sacerdoti i suoi compagni di classe. 

Ieri, ovvero una settimana dopo la notizia, ho iniziato a setacciare la Rete alla scoperta di particolari su Alessio. Oltre all’asciutto comunicato pubblicato sul sito della diocesi di Novara, sembrava non esserci molto di più, ma avrei dovuto precisare la mia ricerca. 

Sul sito della sua diocesi di origine, infatti, sono state pubblicate l’omelia di monsignor Roberto Farinella, vescovo di Biella, un profilo biografico curato da don Paolo Boffa Sandalina, rettore del Seminario Vescovile di Biella, e un ricordo scritto da Marco Rosazza, amico da sempre di Alessio, nonché suo compagno di studi seminaristici. 

Indagando su Facebook è emerso qualcos’altro: per prima cosa, il ricordo del termine del suo tirocinio pastorale nella parrocchia di Gesù Nostra Speranza a Cossato e nell’Unità Pastorale di Mottalciata, dove gli avevano regalato un’alba, la veste liturgica bianca che ricorda la veste battesimale (chissà che non sia stato sepolto proprio con quella veste). 

Ho poi scoperto che meno di un mese fa era stato pellegrino con i suoi compagni a Napoli, visitando la chiesa dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio e incontrando, a Caivano, don Maurizio Patriciello, il quale ha affidato al proprio profilo Facebook le considerazioni dopo la notizia della morte.

Infine, monsignor Farinella (o il suo social media manager) ha pubblicato, sempre su Facebook, una foto in cui sono ritratti insieme, con un breve post in cui sottolinea le sue doti migliori.

Ammetto che, più andavo avanti a leggere, più mi sentivo invadere dal cinismo. Ormai so per esperienza che non basta morire da seminaristi per essere subito ammessi a celebrare la liturgia in Cielo. So anche che, accanto agli amici pronti ad assicurare che il giovane in questione era aperto, solare, incline a fare amicizia e a curare le relazioni, ci sono compagni convinti che il suo vero volto fosse un altro.

Pier Luigi Tolardo, giornalista per La Voce Novara e Laghi, ha dato un ulteriore contributo, sottolineando il compito che ora i seminaristi di Novara si trovano ad affrontare e che, se diventeranno sacerdoti, sono chiamati a non dimenticare.

 

Azzurra, un’altra mamma “santa”?

 

Invece, mercoledì scorso, è stato consultando il sito di Avvenire che ho letto la notizia di Azzurra Carnelos, di Oderzo, morta il 15 aprile (tre giorni prima di compiere trentaquattro anni), sposa di Francesco Favero e madre di Antonio, bambino di otto mesi: per donargli la vita ha accettato solo le cure che non potevano compromettere la sua nascita.

Anche nel suo caso, sono fioccati i pensieri di chi l’ha conosciuta. Padre Massimo Rocchi, Giuseppino del Murialdo, ha subito affidato a Facebook quello che ricordava di lei, ex allieva del Collegio Brandolini-Rota di Oderzo, di cui è rettore.

Interpellato dall’agenzia Sir, ha esteso il proprio racconto, che ha cominciato a diffondersi anche al di fuori del nostro Paese, come ho appurato quasi per sbaglio, cercando con Google Lens la foto del suo matrimonio (alla fine, come si vede, ne ho presa un’altra).

I paragoni sono scattati immediatamente: come indica Benedetta Capelli su Vatican News, molti hanno pensato a santa Gianna Beretta Molla, forse perché a breve saranno vent’anni dalla beatificazione, ma anche alla Serva di Dio (non Venerabile) Chiara Corbella Petrillo, quasi fossero le uniche mamme simili a lei con la causa in corso, o comunque delle quali si sono diffuse le storie.

Non sono mancati i commenti da parte di chi è impegnato da sempre a favore della vita nascente: quello di Paola Belletti, ma anche di Marina Casini Bandini, presidente del Movimento per la Vita Italiano.

Anche in questo caso, man mano che leggevo, non provavo né ammirazione, né vergogna perché non saprei come comportarmi in circostanze come la sua. Cresceva in me una rabbia sorda, dato che nemmeno per una madre che rifiuta le cure perché suo figlio nasca (o, più correttamente, ragiona con l’aiuto del marito e dei medici su quali terapie attuare) si può affermare, con assoluta certezza, che sia in Paradiso, e nemmeno che la sua testimonianza cristiana sia stata costantemente «una pagina di Vangelo», per usare la definizione adottata per Azzurra da monsignor Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto, sotto cui ricade Oderzo.

 

Due vocazioni totalizzanti, in ogni caso

 

Arrivata a conclusione della mia ricerca, mi sono domandata cosa potessi aggiungere io di originale su queste due storie. Tra le lacrime di rabbia, continuavo a interrogarmi se valesse la pena presentarle o meno, visto che mi avevano colta tutti quei dubbi.

Era palesemente una tentazione, come quella che, anni fa, mi aveva condotta sull’orlo di chiudere il blog, di smettere di parlare di Santi e affini e darmi a una vita più normale, per così dire. Per vincerla c’era un solo modo: scrivere ugualmente.

Ho trovato la chiave d’interpretazione che faceva per me leggendo il Messaggio per la sessantunesima Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Poco dopo l’inizio, papa Francesco scrive:

…questa Giornata è sempre una bella occasione per ricordare con gratitudine davanti al Signore l’impegno fedele, quotidiano e spesso nascosto di coloro che hanno abbracciato una chiamata che coinvolge tutta la loro vita. Penso alle mamme e ai papà che non guardano anzitutto a sé stessi e non seguono la corrente di uno stile superficiale, ma impostano la loro esistenza sulla cura delle relazioni, con amore e gratuità, aprendosi al dono della vita e ponendosi al servizio dei figli e della loro crescita. Penso a quanti svolgono con dedizione e spirito di collaborazione il proprio lavoro; a coloro che si impegnano, in diversi campi e modi, per costruire un mondo più giusto, un’economia più solidale, una politica più equa, una società più umana: a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che si spendono per il bene comune. Penso alle persone consacrate, che offrono la propria esistenza al Signore nel silenzio della preghiera come nell’azione apostolica, talvolta in luoghi di frontiera e senza risparmiare energie, portando avanti con creatività il loro carisma e mettendolo a disposizione di coloro che incontrano. E penso a coloro che hanno accolto la chiamata al sacerdozio ordinato e si dedicano all’annuncio del Vangelo e spezzano la propria vita, insieme al Pane eucaristico, per i fratelli, seminando speranza e mostrando a tutti la bellezza del Regno di Dio.

Le parti che ho indicato in grassetto mi sembrano corrispondere efficacemente ai due casi che ho raccontato. Da quello che si sa di entrambi, Azzurra e Alessio hanno fatto proprio così; importa poco che lei sia riuscita appena a sentire il suo Antonio chiamarla “mamma”, o che lui avesse iniziato le prove pratiche di ministero servendo all’altare e incontrando i fedeli. Le rispettive chiamate hanno coinvolto tutto il loro essere, al di là dei limiti fisici, personali o caratteriali.

Credo di non sbagliarmi se penso che, tempo un mese o poco più, i loro cari saranno chiamati a raccontarli e a raccontarsi sulle emittenti cattoliche, nelle trasmissioni religiose, in articoli e post. Qualcuno metterà insieme le bozze delle loro storie e ne trarrà libri pronti a finire in cima alle classifiche di settore, o comunque a trovare una certa diffusione.

Quanto a me, forse parlo anche per invidia, oltre che per rabbia. La mia vocazione a volte sembra realizzarsi, a volte meno: questa è la ragione intima che non mi porta a ringraziare completamente Dio per vicende come le loro. Quando un giorno anche io troverò il mio compimento, spero di poter essere più serena nel continuare la mia ricerca di Testimoni anche nell’oggi.

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