Benedetto Giuseppe Labre, pellegrino della Provvidenza e Santo nuovamente “di moda”
Forse il ritratto più famoso di san Benedetto Giuseppe è quello realizzato da Antonio Cavallucci, conservato al Museo delle Belle Arti di Boston (fonte) |
Chi è?
Benoît-Joseph
Labre nacque ad Amettes, nel nord della Francia e in diocesi di
Boulogne-sur-Mer, il 26 marzo 1748, primo di quindici figli. I genitori,
contadini e piccoli commercianti, lo mandarono a studiare in vista del
sacerdozio da uno zio, parroco a Érin, quindi, alla morte di lui, da un altro
zio prete, vicario a Conteville.
Sentendosi
però attratto dalla vita monastica, Benoît-Joseph bussò alla porta della Certosa
di Val-Saint-Aldegonde a Longuenesse: venne però respinto, perché un incendio
impediva di accogliere novizi. Alla
Certosa di Neuville-sous-Montreuil gli fu risposto che avrebbe dovuto prima
studiare canto liturgico e Dialettica: dopo tre mesi d’impegni, si ripresentò,
venendo accolto. Sei mesi dopo, tuttavia, venne dimesso, perché di salute
cagionevole; in più, era preso dagli scrupoli e si dava a lunghe penitenze.
Compì
quindi un terzo tentativo alla Trappa di Soligny, ma lì non venne neppure
considerato: era troppo giovane. L’11 novembre 1769 entrò come novizio
all’abbazia cistercense di Sept-Fons, diventando fratel Urbano. Gli scrupoli e
un nuovo problema di salute, ovvero forti febbri da cui si riprese a fatica, lo
condussero però fuori dall’abbazia, dopo otto mesi.
Ormai
ventiduenne, Benoît-Joseph iniziò a percorrere le strade di Francia, Germania,
Polonia, Svizzera, Spagna. Arrivò a Roma nel dicembre del 1770, dopo essere
passato per Loreto e Assisi.
Trascorreva
le sue giornate visitando le chiese della città, specialmente quelle dove
sapeva di trovare il Santissimo Sacramento esposto. Spesso dormiva al Colosseo:
chiedeva l’elemosina non per sé, ma per quanti erano più bisognosi di lui.
Una
delle sue chiese romane predilette era Santa Maria ai Monti, nel Rione Monti:
proprio sui gradini dell’ingresso, il 16 aprile 1743, in cui quell’anno cadeva
il Giovedì Santo, si sentì male. Soccorso da Pierpaolo, figlio di Francesco
Zaccarelli, macellaio che aveva una bottega lì vicino, fu portato in casa e
sistemato sul letto di Anna, altra figlia del macellaio, da lei stessa. Ricevette
l’Unzione degli Infermi e morì la sera di quello stesso giorno; aveva compiuto
da poco trentacinque anni.
Fu
beatificato da Pio IX il 20 maggio 1860 e canonizzato l’8 dicembre 1881 da
Leone XIII. I suoi resti mortali sono venerati nella chiesa di Santa Maria ai
Monti a Roma, a sinistra dell’altare maggiore; era lo stesso punto in cui stava
in ginocchio per ore, a contemplare l’immagine della Vergine e ad adorare
l’Eucaristia. La sua memoria liturgica ricorre invece il 16 aprile, giorno
della sua nascita al Cielo.
Cosa c’entra con
me?
Ho
ricordi piuttosto nebulosi del mio primo incontro con san Benedetto Giuseppe.
Probabilmente è avvenuto tramite le pagine di un atlante della Storia della
Chiesa, comprato, come spesso mi accadeva, per festeggiare la buona riuscita di
un esame universitario. Mi aveva colpito il suo ritratto più famoso, in cui è
ritratto col volto chino e le braccia incrociate. Oppure mi è accaduto leggendo
un blog in lingua inglese, nel 2010, come attesta il file che ho ritrovato
mentre cercavo altro nel mio vecchio computer.
Si è
riaffacciato nella mia vita quando ho scoperto la storia di don Ambrogio
Grittani, prete della diocesi di Molfetta, in occasione del decreto sulle sue
virtù eroiche. Leggendo che aveva fondato delle suore a cui aveva dato come
patrono proprio san Benedetto Giuseppe, mi era venuta la curiosità di sapere
perché.
Sul
sito delle Suore Oblate di San Benedetto Giuseppe Labre ho trovato una pagina
che, purtroppo, non è più online. In sintesi, don Ambrogio, passando per Roma
«in un lontano Agosto», girò per le librerie cattoliche in cerca di una sua
biografia. I librai, però, gli rispondevano con un sorriso di compatimento e
commentando: «Non è un Santo di moda». Di fronte alla perplessità del cliente,
continuavano spiegandogli che un santo vagabondo e piuttosto sporco non poteva
attrarre in un’epoca come quella (eravamo intorno alla metà del secolo scorso).
A quel
punto, don Ambrogio provò a chiedere direttamente a Santa Maria ai Monti, ma
neanche lì seppero aiutarlo, salvo indicargli l’ex casa del macellaio;
l’inquilino del tempo, un ufficiale italiano, non aveva nemmeno idea di chi
stesse cercando.
Il
sacerdote, allora, con «ferrea decisione» – definizione sua – affermò: «Questo
santo tornerà a far sentire il suo influsso proprio in tempi raffinati,
profumati e di gran moda»; fu quindi ancora più determinato a mettere sotto il
suo patrocinio i poveri che aveva iniziato a raccogliere e a sistemare, perché
potessero almeno morire dignitosamente.
Da
quelle parole ho preso anch’io una decisione altrettanto ferrea: avrei fatto di
tutto perché, ogni volta che uscivano i nuovi Decreti del Dicastero delle Cause
dei Santi, fosse data pari dignità a tutte le storie dei candidati agli altari
in questione. Grazie al Cielo, ora questo è realtà da quando è stato
riorganizzato il sito del Dicastero delle Cause dei Santi.
Nonostante
l’auspicio di don Ambrogio, però, Benedetto Giuseppe ha continuato a essere un
Santo molto poco conosciuto, rispetto a quei suoi contemporanei che hanno fatto
la storia della Chiesa o ad altri, più o meno vicini a noi e noti per le loro
opere e miracoli. Io stessa non mi sono mai impegnata ad approfondire la sua
conoscenza, al di là di quelle scarne note che avevo letto.
Tutto è
cambiato tre mesi fa, quando mi sono trovata a tornare a Roma per un invito
veramente inatteso. Luigi Accattoli, giornalista ormai in pensione ma non fuori
attività, mi aveva chiesto già da qualche mese di aiutare lui e il collega Ciro
Fusco nella revisione del libro Nuovi Martiri, in vista del Giubileo
2025.
Inoltre,
dato il coinvolgimento della Conferenza Episcopale Italiana nel progetto, i due
autori avevano concordato un appuntamento con il Segretario Generale, monsignor
Giuseppe Baturi, e volevano che fossi presente anch’io. Il colloquio è avvenuto
martedì 27 febbraio, con esiti piuttosto buoni.
Prima
di partire, però, Luigi voleva portarmi in qualche posto di Roma che non
conoscevo. Non ricordo per quale ragione, o se la proposta non sia partita
direttamente da lui, ma la scelta è caduta su Santa Maria ai Monti.
Il 28,
con le valigie già pronte (ma rimaste al mio alloggio), ho quindi seguito il
giornalista in chiesa. Mi ha presentato il viceparroco, ma mi ha anche indicato
le memorie di tanti Santi conservate in quel luogo. I resti di san Benedetto
Giuseppe sarebbero però tornati nella loro collocazione la domenica seguente,
una volta conclusa la ricognizione dei resti mortali iniziata il 7 luglio 2023.
Nel
corso della visita, Luigi ha visto che era arrivata una donna di sua conoscenza.
Me l’ha presentata come Maria Luisa, delle Oblate Apostoliche Pro Sanctitate,
le quali custodiscono l’ex casa del macellaio, trasformata in cappella.
Al
sentire il nome dell’istituto di cui la signorina fa parte, mi sono subito
ricordata di aver già sentito parlare della Pro Sanctitate e del suo fondatore,
il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta, anche lui sepolto nella stessa chiesa.
Questa, però, è un’altra storia.
Tornando
a san Benedetto Giuseppe, Maria Luisa ha riferito a me e a Luigi che avrebbe
fatto aprire la casa-cappella apposta per noi. Ci ha ricevuto un’altra Oblata
Apostolica, Cristina, mentre lui mi ha illustrato i contenuti delle vetrine, le
reliquie, i libri trovati nella borsa del Santo quando è morto.
Già il
giorno prima, Luigi mi aveva riferito di avere in lavorazione un piccolo libro
su san Benedetto Giuseppe, a cui sarebbe stata abbinata una novena. Gli ho
promesso che me li sarei procurati, anche per dedicare un post a quella nostra
esperienza.
Poco
dopo essere tornata a Milano, ho segnalato quelle pubblicazioni a Matteo Liut,
che su Avvenire cura la rubrica Un Santo al giorno e coordina la
sezione strettamente d’informazione religiosa (avevo recensito, agli albori del
blog, il suo libro sui Santi e i Beati “in età da GMG”, e siamo rimasti in contatto).
La sua
risposta è stata che avrei potuto occuparmene io, con un articolo di 3500 spazi
inclusi. Ci ho lavorato un mese fa, limandolo per farlo stare negli spazi
indicati. Nel frattempo, non ho fatto parola dell’articolo con nessuno, nemmeno
con i miei genitori.
Mercoledì
scorso, nel pomeriggio, Liut mi ha annunciato che sarebbe uscito sul giornale
di giovedì 23 maggio. Ho resistito ancora un po’, almeno finché non ho pensato
che, forse, era già sul sito di Avvenire: in effetti, è stato pubblicato qui proprio mercoledì
22.
L’ho
diffuso a tutti o quasi i miei conoscenti, sperando che, grazie al mio
racconto, anche loro potessero fare amicizia con Benedetto Giuseppe e non si
soffermassero sul fatto che ho esordito sul quotidiano dei cattolici italiani
(che comunque è un dono in cui ormai non speravo quasi più).
Tuttavia,
proprio quando stavo per terminare di scrivere questo medesimo post e segnalare,
anche sui social, l’uscita su sito e giornale, sono stata impedita da quella
che, nell’informazione cattolica e non solo, mi è parsa la notizia del giorno
di giovedì scorso: la promulgazione del decreto sul miracolo preso in esame per
canonizzare Carlo Acutis.
Ormai,
se mi leggete da tempo, sapete quale sia il mio rapporto conflittuale con la
sua storia e per il modo in cui è stata raccontata, che ha reso la sua santità così
“di moda” ora. Ribadisco che non ce l’ho con lui come persona, anzi. La mancata
pubblicazione del post, comunque, diventava un’ulteriore ragione di collera.
A mente
un po’ più fredda, mi viene da pensare che la santità vera non passa mai di
moda, o magari alcune sue espressioni possono venire meno, ma ogni tanto
riemergono. Accanto al riemergere dell’interesse per la santità in età
infantile, adolescenziale e giovanile, di cui l’ancora per poco (speriamo)
Beato Carlo è ormai l’epitome, a me pare che questo sia il tempo per una
riscoperta della santità pellegrina e difficilmente inquadrabile in esperienze
precise.
Vale
per Charles de Foucauld, che però dalla sua ha una Famiglia Spirituale nata
dopo di lui e che ne ha perpetuato la testimonianza e l’approfondimento, ma
anche per Labre, grazie ai devoti che lasciano bigliettini sulla sua tomba (i quali
hanno ispirato ad Accattoli una nuova inchiesta su quelli che chiama “pizzini della Madonna e dei Santi”)
e alle Oblate Apostoliche Pro Sanctitate che accolgono i pellegrini nell’ex
casa del macellaio.
In realtà,
ho scoperto che anche san Benedetto Giuseppe ha una sorta di posterità: oltre
alle Oblate di don Grittani, esiste un’associazione americana, la Guild of St Benedict Joseph Labre, che sostiene le persone con malattie mentali e le loro
famiglie. Nella diocesi di Évreux, poi, esistono i Fratelli di San Benedetto Giuseppe Labre (Frères de Saint Benoit Labre), riconosciuti il 17 novembre 2008
come Associazione pubblica diocesana di fedeli.
A parte
queste considerazioni, sento di aver in comune con lui il desiderio di cercare Dio
nei suoi santuari, da quelli più frequentati a quelli misconosciuti. Devo però
imparare, sul suo esempio, a visitarli anzitutto come luoghi di preghiera,
prima ancora che di acquisto di oggetti ricordo e d’incontro, tramite le fornitissime
librerie annesse, con altre storie da raccontare.
Il suo Vangelo
Come indicavo
prima, la testimonianza di san Benedetto Giuseppe appare difficilmente
inquadrabile: non era un monaco, ma viveva come se lo fosse; non era affiliato
a nessun Terz’Ordine, ma il 20 novembre 1770, ad Assisi, aveva aderito alla
Confraternita dei Cordigeri di san Francesco d’Assisi; si sentiva a casa
propria per le strade, ma anche in chiesa.
Eppure,
proprio per questo affascina la sua continua ricerca di Dio, che passava per
momenti di riposo e altri di innegabili difficoltà. Sorprende la sua capacità
di distacco da ogni possibile bene in termini materiali e relazionali, compresi
quelli coi membri della sua famiglia.
A loro
restava comunque affezionato, come dimostra uno dei suoi pochi scritti a noi
pervenuti, ovvero la lettera ai genitori, scritta dal Piemonte il 31 agosto
1770:
Non
mancherò di pregare Dio per voi ogni giorno, vi chiedo perdono di tutte le pene
che posso avervi procurato e vi prego di accordarmi le vostre benedizioni
affinché Dio benedica i miei progetti. È per ordine della Provvidenza che ho
intrapreso questo viaggio.
Allo stesso modo, chiedo a Dio di benedire i miei
progetti e di aiutarmi ad allinearli di più col Suo volere, proprio come ha
fatto il nostro Santo pellegrino.
Per saperne di più
Mario Dal Bello, Benedetto Giuseppe Labre - La
strana storia del barbone di Dio, Città Nuova 2023, pp. 144, € 15,90.
Biografia divulgativa, ma comunque appoggiata sui
documenti della causa.
Luigi Accattoli, Benedetto Giuseppe Labre – Una santità sorprendente donata dallo Spirito attualissima oggi, Velar 2024, pp. 24, € 1,50.
Una riflessione sugli aspetti più attuali della sua
santità e spiritualità.
A cura dell’Ufficio Liturgico della diocesi di Roma, Novena a san Benedetto Giuseppe Labre, Velar 2024, pp. 24, € 1,50.
Nove aspetti della vita di san Benedetto Giuseppe
presi come spunti di meditazione, più comunitaria che personale.
Su
Internet
Sito degli Amici di San Benedetto Giuseppe Labre (in francese, ma con informazioni da tutto il mondo)
Pagina Facebook del santuario (l’ex casa del
macellaio) di San Benedetto Giuseppe Labre a Roma, in via dei Serpenti 2
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