Jérôme Lejeune: come i Magi, nei “piccoli” vide Gesù

 

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Chi è?

Jérôme Lejeune (al Battesimo, Jérôme-Jean-Louis-Marie) nacque a Montrouge, non lontano da Parigi, il 26 giugno 1926, figlio primogenito di Pierre-Ulysse Lejeune e di sua moglie Marguerite Marcelle. Dopo un’infanzia spensierata, dovette fuggire a Étampes, nella casa di famiglia, a causa della seconda guerra mondiale: studiò quindi in autonomia, insieme ai fratelli Philippe e Rémy. Scelse di diventare medico, sulla scia di due esempi: suo nonno paterno, veterinario, e il medico di campagna protagonista dell’omonimo romanzo di Honoré Balzac.

Si laureò in Medicina il 15 giugno 1951. Nella biblioteca dell’università conobbe una ragazza danese di ascendenze eschimesi, Birthe Bringsted, che per amore suo accettò di diventare cattolica: la sposò il 1° maggio 1952. Dal loro matrimonio nacquero cinque figli.

Tornato dal servizio militare, aveva accettato la proposta del professor Raymond Turpin, pediatra all’ospedale Trousseau di Parigi, ossia di affiancarlo come giovane ricercatore e di occuparsi dei pazienti con sindrome di Down. Dal 1953 in poi, i due medici riuscirono a mettere in rapporto i dermatoglifi (le linee della mano) con le caratteristiche tipiche di quei pazienti. Con l’aiuto delle più avanzate tecniche del tempo, scoprirono la ragione scientifica di quella malattia, cambiandole quindi nome: da “mongolismo”, com’era nota al tempo, a “trisomia 21” perché dovuta a un cromosoma in più nel ventunesimo paio.

Jérôme proseguì le ricerche sulla trisomia 21 e su altre malattie citogenetiche, con una sua équipe, all’ospedale infantile Necker. Nel 1964 divenne professore di genetica fondamentale; fu eletto membro di numerosi comitati e accademie scientifiche in molti Paesi del mondo.

Quando apprese che i risultati dei suoi studi venivano utilizzati per sopprimere durante la gravidanza i bambini con trisomia 21 e con altre malformazioni, decise di prendere apertamente le loro difese, sia in conferenze pubbliche, sia sulla stampa, sia in televisione. Questo gli costò l’esclusione da gran parte della comunità scientifica e anche l’incomprensione di alcuni esponenti della Chiesa francese.

In compenso, la sua fama di scienziato e di credente cominciò a farlo conoscere anche presso la Santa Sede. San Paolo VI lo nominò membro della Pontificia Accademia delle Scienze, mentre san Giovanni Paolo II gli diede mandato di costituire la Pontificia Accademia per la Vita, nominandolo in pari tempo suo primo presidente.

Jérôme, però, tenne la carica solo per trentatré giorni: era da tempo malato di cancro ai polmoni, la stessa malattia di cui era morto suo padre. Morì a Parigi il 3 aprile 1994, quell’anno Domenica di Pasqua.

Il 21 gennaio 2021 papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto sulle sue virtù eroiche. Le sue spoglie riposano nel cimitero di Châlo-Saint-Mars.

 

Cosa c’entra con me?

Non credo di aver mai sentito parlare di Lejeune prima del 2010 o giù di lì, quando ho iniziato a seguire con interesse il programma I Sempre Giovani, su Radio Maria, condotto dal giornalista Angelo Montonati. Per quel che ricordo, l’ha menzionato più di una volta, ma non gli ha mai dedicato una puntata intera; fatto strano, dato che la causa era al tempo ancora in fase diocesana, quindi rientrava nella linea editoriale di quella trasmissione.

Sicuramente, quando è stato dichiarato Venerabile, sapevo già chi fosse e il suo legame con la scoperta della trisomia 21, ma non andavo molto al di là di questo. Una ragione è che non mi sono interessata in maniera particolare di Testimoni che hanno coniugato scienza e fede, anche se avevo provato a presentarne brevemente alcuni, lui compreso, come se fossero ospiti fissi di un’ipotetica versione credente di SuperQuark (adesso si dovrebbe dire di Noos).

Quando ho visto che era uscita una sua biografia, curata da colei che fu la vicepostulatrice nella fase diocesana e che attualmente è invece la postulatrice, mi è sembrata un ottimo mezzo per conoscerlo meglio. Tuttavia, non mi sono decisa a comprarla per molto tempo.

Lo scorso 11 novembre mi trovavo a Roma, per il convegno di studio Non c’è amore più grande – Martirio e offerta della vita, organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi al Pontificio Istituto Augustinianum. Essendo arrivata in anticipo, mi sono messa a gironzolare per via della Conciliazione, entrando nella libreria San Paolo.

Mentre giravo tra gli scaffali del primo piano della libreria, ho visto in un angolo, dietro la scrivania, alcuni santini proprio di Lejeune. Ne ho presi cinque, aggiungendo, una volta scesa al pianterreno, la biografia che avevo scorto già entrando e che, comunque, a Milano era più che disponibile. Con mia grande meraviglia, i commessi non mi hanno fatto pagare le immaginette, dopo che, naturalmente, avevo chiesto di poterle prendere.

Non ho iniziato subito la lettura, preferendo aspettare il mio ritorno a casa. Sfogliandola, però, mi venne subito l’ispirazione sulla circostanza in cui avrei parlato del suo protagonista: più che dal centenario della nascita, che ricorre l’anno prossimo, l’ho ricevuta dal capitolo 15, intitolato «Il re magio dei tempi moderni». Torno più in basso su cosa significhi per la postulatrice, e ora anche per me, una definizione del genere.

Data la mole del volume e considerati anche i miei impegni nei giorni delle feste di Natale, temevo che non avrei fatto in tempo a leggerlo entro oggi. Invece ci sono riuscita, aiutata in questo da uno stile che non ho mai ravvisato in nessun libro di questo genere: si legge davvero come un romanzo, ma riporta affermazioni e stralci di lettere, con le date precise, in nota, quando disponibili. Anche un glossario di termini scientifici aiuta la comprensione, mentre un indice dei nomi aiuta a orientarsi (anche questo non capita di trovarlo in molte biografie, purtroppo).

Mi ha colpito il ritratto complessivo di Lejeune, descritto nel suo amore per Birthe e per i loro cinque figli (più una ventina di nipoti): nel leggere i racconti dei suoi giochi e dei suoi passatempi con loro mi è parso di ravvisare una concretizzazione di quanto papa Francesco ha spesso raccomandato ai genitori, ad esempio ultimamente, nel saluto ai dipendenti vaticani per gli auguri di Natale, lo scorso 21 dicembre.

L’amore del professore era anche per i suoi piccoli pazienti, per i quali ha accanitamente cercato una cura. Da una parte questa ancora non c’è, ma dall’altra, da sessant’anni in qua, la vita per chi ha la trisomia 21 è molto cambiata anche grazie al suo aiuto.

Oggi, infatti, ci sono uomini e donne trisomici che svolgono lavori in quanto categorie protette o alla pari con altri (penso ad esempio a quelli che fanno gli attori), che riescono ad avere una vita autonoma, che si sposano e perfino che si consacrano in congregazioni religiose o nell’Ordo Virginum. Tutto questo non sarebbe successo se i “mongoloidi”, com’erano definiti, avessero ancora avuto addosso lo stigma di essere nati sbagliati a causa di tare ereditarie o di chissà quali peccati da parte dei loro genitori.

Ho sofferto con Lejeune leggendo di come avesse appreso che le diagnosi prenatali venivano utilizzate per sopprimere i nascituri in utero, ma anche per le incomprensioni che affrontava nella società e nella Chiesa francesi del suo tempo.

Ora che ci penso, dati i suoi numerosi interventi sui media, dovrei includerlo anche tra i candidati agli altari presenti in programmi televisivi di cui ho parlato. Fosse vivo oggi e parlasse ancora in televisione, temo che sarebbe accusato di non portare la voce delle donne, anche di quelle che hanno scelto la vita del loro nascituro.

Ho poi riconosciuto i legami strettissimi che ha avuto con i successori di san Pietro, particolarmente con i Papi Santi Paolo VI e Giovanni Paolo II. Il racconto di quel che gli successe il 13 maggio 1981, giorno dell’attentato appunto a papa Wojtyła, avvenuto nel pomeriggio, poche ore dopo che era stato a Messa nella cappella del Palazzo Apostolico e a colazione da lui, avrebbe quasi del comico, ma comunque fa capire quanto gli fosse affezionato, sia come Vicario di Cristo sia come persona.

Non pensavo che avrei trovato legami con lui, essendo io laureata in Lettere, ma ne ho rintracciati alcuni, a cominciare dalla lettura dei grandi autori latini e greci, da lui portata avanti sotto la guida del padre mentre la famiglia era sfollata a Étampes.

In realtà, mi sento più affine a lui per il fatto che le mie ricerche e le mie attività in campo agiografico tendono a distrarmi da ciò che mi circonda e perché, nel mio scarso tempo libero, confeziono Rosari: i suoi erano in legno di bosso, i miei perlopiù di cordoncino.

La biografia a cui ho fatto riferimento è uscita nel settembre 2023: la postulatrice l’ha presentata in almeno un paio di occasioni, compresa un’intervista al programma Soul di TV 2000, che ripresento qui sotto.

 

 

Ha testimoniato la speranza perché…

Lejeune è il primo Testimone di cui mi occupo in un post classico, da quando è stato aperto il nuovo Giubileo. Di conseguenza, è anche il primo a cui riservo un paragrafo speciale, come avevo fatto già nel Giubileo straordinario della Misericordia e nell’Anno di San Giuseppe.

Come indica il Decreto sulle virtù, pubblicato nella pagina su di lui del sito del Dicastero delle Cause dei Santi, «La speranza animava la sua professione, nella quale considerava dovere del medico ridare salute in perfetta sintonia con i comandamenti di Dio». Non per questo illudeva i pazienti e le famiglie che ricorrevano a lui veramente da mezzo mondo: in loro, però, cercava d’infondere fiducia nel fatto che Dio li avrebbe comunque aiutati.

Anche quando capì di essere prossimo alla morte, nel pieno della sua attività, cercò di mantenersi sereno, rimettendosi nelle mani di Dio e della Madonna: così fu d’esempio anzitutto ai suoi familiari.

 

Il suo Vangelo

La definizione che la postulatrice ama su tutte, più forse di quella di “servitore della Vita”, è quella di “re magio dei tempi moderni”. Lejeune, in effetti, ha unito al desiderio e alla curiosità, tipici degli scienziati, l’umiltà di sapersi fermare di fronte a ciò che Dio ha disposto, esattamente come i Magi che scelsero di ricorrere agli esperti della Sacra Scrittura per capire dove fosse il Re dei Giudei di cui avevano visto sorgere la stella.

Anche nella genetica, a suo dire, ci voleva umiltà, cioè rispetto per ogni creatura, per non minacciarla neanche all’inizio della vita: per questo si addolorò quando apprese che la diagnosi prenatale veniva adoperata per uccidere prima i bambini ritenuti malformati, poi come leva per portare all’aborto legalizzato.

La sua missione non era puramente apologetica. Sicuramente si confrontava col Vangelo, partecipava alla Messa anche nei giorni feriali se possibile, pregava il Rosario, ma si teneva anche aggiornato sulle pubblicazioni mediche più aggiornate: riteneva, infatti, che il compito principale della medicina fosse aiutare a vivere meglio, non sopprimere le vite. Per questo voleva che i medici restassero fedeli al giuramento d’Ippocrate, secondo il quale non dovevano compiere nulla che andasse contro le leggi naturali dell’esistenza.

In un suo documento di lavoro senza data, sul tema «Fede e scienza», tornò a riflettere sulle figure dei Magi e su cosa potessero insegnare agli scienziati del suo tempo, concludendo che re Erode e tutta la sua corte non avrebbero mai visto ciò che loro, invece, avevano riconosciuto: Dio in un bambino. Commentò quindi:

Ci vuole una lunghissima pazienza per decifrare la natura. Così, facendo ognuno coscienziosamente il proprio lavoro, ascoltando l’altro senza storcere il naso, ma anche senza togliere nulla alla propria conoscenza acquisita, questa congiunzione degli sforzi condusse alcuni uomini di buona volontà alla più alta verità.

Tanti, invece, hanno storto il naso di fronte al suo grido alzato per difendere chi era senza voce. Allo stesso tempo, altri, compresi vari colleghi scienziati, gli hanno dato ascolto: sul suo esempio, hanno riconosciuto nell’embrione, nella persona trisomica, nel bambino minacciato di non nascere, un’impronta dell’amore creatore di Dio.

 

Per saperne di più

Aude Dugast, Jérôme Lejeune - La libertà dello scienziato, Cantagalli Edizioni 2023, pp. 480, € 27,00.

La sua vita, raccontata sulla base degli scritti, delle lettere e delle testimonianze raccolte durante la causa di beatificazione e canonizzazione.

Clara Lejeune, La vita è una sfida, Cantagalli Edizioni 2008, pp. 161, € 13,00.

I ricordi familiari e domestici riferiti dalla sua terzogenita.

Jean-Marie Le Méné, Il professor Lejeune fondatore della genetica moderna, Cantagalli Edizioni 2008, pp. 184, € 14,00.

Il racconto della sua attività scritto dal genero (marito della figlia Karin), nonché presidente della Fondazione.

 

Su Internet

Sito dell’Associazione Les Amis du professeur Jérôme Lejeune, attrice della sua causa

Sito della Fondazione Jérôme Lejeune 

Sito dell’Istituto Lejeune per la cura e la ricerca sulla trisomia 21 e le deficienze intellettuali di origine genetica 

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