Tre domande a... don Lorenzo Nacheli: un segno di fiducia per i giovani e i poveri



Don Lorenzo (primo da sinistra) e i suoi due compagni (SERMIG / NP)

Chi è?

Lorenzo Nacheli è nato a Milano il 18 agosto 1972, primo dei tre figli di Calogero e Giuseppina Schembi. Ha frequentato dall’infanzia l’oratorio della parrocchia di San Barnaba in Gratosoglio a Milano, dove ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana ed è stato responsabile di un gruppo giovanile.
Nel 1996 è entrato a far parte della Fraternità della Speranza del Sermig di Torino. Tre anni dopo è stato inviato a San Paolo del Brasile, per avviare l’Arsenale della Speranza, che, come il primo Arsenale della Pace, accoglie migliaia di poveri. Affiancato da un suo compagno, Simone Bernardi, Lorenzo ha poi seguito i corsi di Filosofia e Teologia presso il Monastero di San Benedetto (São Bento) a San Paolo, che ospita la locale Facoltà Teologica. È rientrato a Torino nell’ottobre 2014 per l’ordinazione diaconale, ricevuta nella parrocchia del Santo Volto il 15 febbraio 2015 insieme a Simone e ad Andrea Bisacchi, della medesima Fraternità. Tutti e tre saranno ordinati sacerdoti sabato 3 ottobre. Sono i primi membri del Sermig a diventare preti, completando il quadro delle vocazioni da lì sorte e che comprendono laici e laiche consacrati (o meglio “monaci”), ma anche coppie di sposi.

Cosa c’entra con me?

Nel corso della mia vita ho spesso sentito parlare del Sermig. Quasi dieci anni fa, alcuni consacrati passarono per il mio Decanato di nascita, ma non ricordo esattamente il perché. Molti miei amici e compagni, poi, ci sono stati spesso, portando con sé come ricordo le tipiche magliette bianche con una bandiera della Pace ben diversa da quella, coi colori dell’arcobaleno, che spesso compariva fuori dai balconi delle case. Inoltre, una mia compagna d’università vi è entrata come consacrata, mentre un’altra ragazza che conosco è ospitata lì per terminare gli studi. Lo scorso 28 novembre, poi, ho potuto incontrare il fondatore, Ernesto Olivero, alla presentazione del suo ultimo libro circa la sua amicizia con dom Luciano Mendes de Almeida, vescovo di Mariana in Brasile. Il mio coinvolgimento più grosso si è però verificato come conseguenza dell’aver dovuto cambiare abitazione e parrocchia.
Nello scorso febbraio, mentre sistemavo i foglietti della Messa negli appositi scaffali della mia nuova chiesa parrocchiale, ho trovato dei biglietti di forma allungata, con la bandiera della Pace di cui parlavo prima: erano gli inviti alle ordinazioni dei diaconi Simone, Andrea e Lorenzo. Mi sono domandata cosa ci facessero lì, supponendo che li avesse lasciati qualche amico del Sermig (nella mia diocesi sono molto numerosi). Grosso modo nello stesso periodo, mia zia, che come me ha dovuto cambiare casa tre anni fa, mi ha riferito che un suo coinquilino le aveva detto che sarebbe andato all’ordinazione diaconale di suo figlio. Ho supposto che fosse un religioso, dato che i diaconi transeunti (ossia che in seguito sarebbero diventati preti) ambrosiani avevano avuto la loro celebrazione a ottobre e che quelli permanenti dovevano ancora diventarlo. Quando lei mi ha risposto che quel signore doveva andare a Torino, tutto mi è diventato chiaro.
Non molti giorni dopo, tramite le pagine di Avvenire, ho avuto la conferma definitiva: nell’articolo che annunciava le ordinazioni era chiaramente detto che il terzo diacono era originario di Milano. Non mi restava che attendere il suo passaggio dalle nostre parti per poterne raccontare la storia qui, sul giornale parrocchiale VOCI e, perché no, sul portale della Diocesi.
Il 12 aprile, nella seconda domenica di Pasqua, don Lorenzo è comparso a Messa. Presa alla sprovvista, non ho avuto il tempo di formulare le domande che volevo rivolgergli: mi sono accontentata di scattargli una foto col cellulare (venuta maluccio, in verità) mentre proclamava il Vangelo e di chiedere il permesso per gli articoli entrando in sacrestia dopo la celebrazione. Mi sono vista rispondere che avremmo potuto accordarci via Skype, ma, essendo io capace sì e no di usare la posta elettronica e la messaggistica istantanea di Facebook, ho sperato nell’aiuto di qualche suo vecchio amico.
Non c’è stato più bisogno di contatti telematici: guardando il programma della festa patronale di San Barnaba, ho appreso che sarebbe stato presente alla Messa del Corpus Domini. Quanto alle domande, mi ha risposto che avrei potuto rivolgergliele la domenica successiva, il 7 giugno, al pranzo che avrebbe seguito la Messa della patronale.
Così, dopo averlo lasciato mangiare in pace ed essermi armata di una buona dose di coraggio, mi sono fatta avanti per interpellarlo: ecco il risultato delle mie fatiche e della sua disponibilità.

Tu e i tuoi compagni siete i primi tre membri sacerdoti della Fraternità della Speranza. Per quel che ti riguarda, credi che la vocazione al sacerdozio sia sorta durante il cammino o pensi di averla avuta da prima?
È nata dall’esperienza di comunità cristiana che è vissuta nella Fraternità. Ci siamo chiesti se ci fosse la necessità di un sacerdote “nostro”, non esterno: è quindi nata col cammino, strada facendo. Nessuno mi sta obbligando: è nata col tempo e io ne sono felice.
Cosa senti di aver appreso dalla comunità parrocchiale di San Barnaba? Credi che ti risulterà utile per la tua missione di prete?
San Barnaba è stata la prima comunità che mi ha dato fiducia. Ero un ragazzino insicuro, senza particolari capacità evidenti: in questa comunità mi sono messo a disposizione e ho capito che potevo donarmi a Dio; tutti possono farlo. Il sacerdote dell’oratorio di allora, don Angelo, mi chiese di diventare responsabile di un gruppo: come potevo dirgli di no? In un certo senso, sono rimasto bambino dentro e continuo a giocare in questo posto anche dal Brasile.
Spero nella preghiera, nell’appoggio e nella collaborazione di tutti, magari con il gruppo missionario parrocchiale, così da creare un collegamento con realtà all’apparenza più complicate.
In un’intervista al mensile Jesus, Ernesto Olivero, tuo fondatore, ha dichiarato: «Il prete è un punto di riferimento, la guida spirituale, non il tuttofare. Ha il compito di portare i fedeli a Dio e di preparare i laici a fare qualcosa per Dio». Sei d’accordo con quest’affermazione? Cosa credi che farai, da sacerdote, per invitare il popolo ad agire così?
Come dicevo nella mia omelia per il Corpus Domini, non sono più le parole che danno senso a ciò che dici, ma come le dici. Se dici di essere disponibile ventiquattr’ore su ventiquattro, la gente deve vedere che lo sei davvero, se chiedi di saper perdonare devi essere il primo a farlo... Tutti dobbiamo vivere il nostro sacerdozio battesimale anzitutto: quello dell’Ordine è un sacramento in più che deve aiutare le persone a riscoprire quello che viene dal sacramento ricevuto e viverlo nella comunità cristiana. Non solo, quindi, sono d’accordo con quello che Ernesto ha detto, ma lo sono totalmente! Però non solo il sacerdote dev’essere un punto di riferimento per la comunità, ma ogni persona, uomo, donna, bambino che si mette in ascolto di Dio.

«A volte sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può immaginare», recita una frase fondamentale del film The imitation game. Don Lorenzo stesso, nel citarmela, ha ritenuto che si possa adattare perfettamente al suo caso. Auguro quindi a lui e ai suoi compagni di riuscire a farlo capire soprattutto ai giovani e ai poveri, ai quali sono particolarmente legati in base agli Statuti recentemente approvati dall’arcivescovo di Torino.

Su Internet

Articolo su IncrociNews, settimanale online della diocesi di Milano

Commenti

Post più popolari