Squarci di testimonianze #11: il nuovo umanesimo di madre Anna Fiorelli Lapini




Madre Anna Lapini in un dipinto della sua epoca
Abitualmente riservo alla rubrica “Squarci di testimonianze” un commento a fatti d’attualità ecclesiale. Stavolta faccio un’eccezione, ma non troppo: mi aggancio al Convegno nazionale della Chiesa italiana di Firenze per raccontare di una candidata agli altari, nata e vissuta proprio a Firenze oltre centocinquanta anni fa, erede e continuatrice di un cammino di carità che prosegue anche adesso.

La Chiesa italiana sta vivendo in questi giorni a Firenze il suo quinto Convegno nazionale, il cui impegnativo tema è «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo». Nello stesso luogo, centocinquanta anni fa, è vissuta una donna che ha sperimentato, come tante, le condizioni di giovane, sposa e vedova. Ha allargato il suo senso di maternità a numerose bambine povere, incarnando in prima persona le “cinque vie” su cui i partecipanti al Convegno si stanno interrogando, prese dai cinque verbi centrali nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Stiamo parlando di Anna Maria Fiorelli Lapini, fondatrice delle Suore Stimmatine.
Marianna, questo il suo nome di battesimo (ma in casa era chiamata Anna o Annina), nacque a Firenze, nel quartiere di Santa Croce, nell’attuale Borgo Allegri 15. Era la quinta degli undici figli di Giuseppe Fiorelli, la cui professione di barbiere, com’era vissuta all’epoca, gli concedeva di operare anche nelle carceri. Sua madre, Rosalinda Pecorai, faceva invece la crestaia, ossia cuciva cappellini da donna e rammendava o stirava merletti.
La carità vissuta in famiglia la portò a una prima trasfigurazione: invece di essere vanitosa come le altre ragazzine, s’impegnava profondamente nell’imparare il cucito andando a lezione dalle signorine Stagi. La forza ricevuta dal sacramento della Confermazione la condusse a interrompere quell’attività quando una compagna, non seria come lei, prese a darle fastidio. Il suo confessore, colpito dalla maturità che aveva dimostrato, le anticipò il momento della prima Comunione, che ricevette a dodici anni, mentre la Cresima avvenne quando ne aveva sette.
Il suo modo di abitare in casa era improntato alla pacificazione dei dissidi che, com’è naturale, potevano sorgere in una famiglia tanto numerosa. Si meritò presto il soprannome di “accomoda”, ossia colei che sa rimettere a posto le cose. C’erano però altri luoghi che frequentava: la basilica di Santa Croce, vicinissima a casa sua, e le abitazioni dei poveri e degli anziani abbandonati. Così, mentre pregava e studiava nella scuola del monastero di Santo Spirito, comprese di essere chiamata a diventare religiosa.
Purtroppo le porte dei monasteri cui si rivolse, una dopo l’altra, le si chiusero di fronte: la figlia di un barbiere non poteva disporre della dote, che allora era un requisito fondamentale per diventare religiosa di clausura. La reazione di Anna ha del sorprendente:
Lo troverò io un convento che costa meno!
pare abbia esclamato sul momento. Poco dopo, anche come sfogo fisico, cadde malata di tubercolosi e fu sul punto di morire.
Durante la convalescenza, le si prospettò un radicale cambiamento di vita: Giovanni Lapini, anche lui barbiere e suo dirimpettaio, chiese la sua mano. La ragazza non era affatto favorevole, come invece erano le rispettive famiglie. Si consigliò con il suo confessore, il quale le prospettò il matrimonio come una via per farsi santa e per trascinare sullo stesso sentiero il futuro marito. Le nozze furono celebrate il 18 febbraio 1833, nella chiesa di San Giuseppe.
Giovanni, raccontano i biografi, non era il classico marito malvagio che perseguita la sua sposa mettendo alla prova la sua santa pazienza. Anzi, le voleva davvero bene: in più di un’occasione affermò che stando accanto a lei imparava come moderare la sua indole, poco incline all’impegno e alla laboriosità. Anna, dal canto suo, cercava di farsi bella per lui, scegliendo con cura come vestirsi e aspettando, tutte le sere, che rientrasse dall’osteria dove trascorreva il tempo libero. Inizialmente i due coniugi vissero a casa Lapini, ma i suoceri le attribuivano l’incapacità di sapersi tener stretto il loro figlio. Quando papà Giuseppe venne a sapere che, a causa di problemi economici, avevano dovuto attingere al corredo della sposa, invitò lei e il coniuge a vivere da lui.
Nel 1839, non molto dopo la morte del padre e un nuovo trasloco, Anna si lasciò ulteriormente plasmare dalle sue buone intuizioni. Si sentì ispirata a confidarsi col sacerdote che predicava il Quaresimale in Santa Croce, raccontandogli il suo sogno infranto. A quel punto, lui le suggerì di entrare nel Terz’Ordine di San Francesco, così avrebbe potuto vivere la consacrazione religiosa senza abbandonare la sua abitazione. Dal giorno della sua professione, dunque, cambiò ancora una volta il suo modo di vivere: già aveva preso a indossare abiti sobri, ma divenne ancora più modesta, indossando sempre lo stesso abito. Una signora che la vedeva spesso in chiesa arrivò a regalarle un vestito nuovo, convinta che non ne possedesse altri.
Quando Giovanni si ammalò di polmonite, Anna gli fu sempre vicina, specie quando lui, nei deliri, la chiamava “mamma” per la premurosa attenzione che gli rivolgeva. Alla morte di lui, il 23 marzo 1842, lei aveva trentatré anni; dal matrimonio non erano nati figli. Per questo motivo, andò ad abitare da suo fratello Orlando, finché non si sposò anche lui.
Nella nuova, piccola abitazione, fuori porta San Miniato, le si prospettò un primo invito a uscire da se stessa. I contadini della zona, infatti, cominciarono ad affidarle le loro bambine mentre lavoravano nei campi; era anche un modo per aiutarla a guadagnarsi da vivere. Dopo una nuova malattia, Anna comprese che quella poteva diventare la sua nuova famiglia. Accolse quindi Giuseppina, figlia di sua sorella Caterina, poi vennero ad aiutarla Elisabetta Marrini, consorella terziaria, e la maestra Angela Becchi, pure lei respinta da un monastero per mancanza di dote. La piccola Geltrude Del Lungo e sua sorella, rimaste orfane, quando le furono portate non volevano più staccarsi da lei.
Da Casa Ducci, la dimora dove si era stabilita dopo il matrimonio del fratello, Anna passò insieme alle compagne a Casa Ciolli, più vicina al convento francescano di Monte alle Croci. Nell’agosto del 1846, traslocarono nuovamente in un edificio, “La Fantina”, preso in affitto dai Padri Scolopi. Lei lo riconobbe come il luogo che le era stato mostrato in sogno da un anziano sacerdote, che poi scoprì essere san Giuseppe Calasanzio, fondatore proprio degli Scolopi. Tempo dopo, il 29 luglio 1852, fu stabilita la Casa madre presso il convento di Santa Maria della Neve al Portico, situato accanto alla Certosa fiorentina, pur senza lasciare la Fantina.
Intanto, la buona fama di quella piccola comunità aveva cominciato a disturbare, specie per la sua opera educativa. In un volantino, intitolato «Avviso ai Toscani», era descritta come connessa ai Gesuiti, perseguitati e banditi anche dal Granducato di Toscana. Anna prese in mano la situazione, facendo presente che lei e le altre non erano “gesuitesse”, ma terziarie francescane; tutttavia, era ormai necessario che assumessero una denominazione precisa. Alla vigilia di Pentecoste del 1850, il 18 maggio, le donne vestirono il primo abito religioso vero e proprio, che non era altro che un saio smesso, a cui era unito un grosso Crocifisso; sul capo, invece, portavano un velo bianco. Il nome ufficiale fu Povere Figlie delle Sacre Stimmate di San Francesco, ma la gente del popolo le chiamò Stimmatine.
È la stessa Anna, anzi, suor Anna delle Sacre Stimmate nonché madre fondatrice, a spiegarne la ragione. In un documento ufficiale scrisse che l’orientamento di quel nuovo istituto era

Un’incisione raffigurante madre Anna
(non ha una faccia da immaginetta,
è che la disegnano così!)
ricopiare in sé, quanto a creatura umana è possibile, Gesù Cristo Crocifisso, sulle orme di san Francesco, che il Redentore rese simile a sé in modo singolarissimo, imprimendo miracolosamente sul suo corpo, l’ultimo suggello, ossia l’impronta delle sue piaghe gloriose, mediante le sacre Stimmate, che è il massimo grado di conformità di un mortale su questa terra, con l’uomo-Dio crocifisso.
Tre, invece, erano i fini principali, descritti nel suo testamento spirituale: accogliere le ragazze povere rifiutate dai monasteri, com’era successo a lei; far rinascere il genuino spirito francescano mediante la pratica dei consigli evangelici; annunciare al mondo che anche mediante la sofferenza e la penitenza si possono testimoniare la gioia e la pace.
La prima casa o “ritiro” fuori Firenze fu aperta a Borgo San Lorenzo nel Mugello, seguita da moltissime altre anche nel Regno delle Due Sicilie. Qualche suora non vedeva positivamente i viaggi di madre Anna, la quale, in una lettera da Roma del 3 aprile 1889, commentava così il suo stimolo a uscire:
Si vede che san Francesco mi vuole a spasso e se non lo provassi con l’effetto, non lo crederei neppure io, cioè, che appena partita da Firenze, mi vanno via tutti i mali e tutte l’ugge.
Durante l’ultimo viaggio, incontrò il francescano padre Ludovico da Casoria, canonizzato lo scorso anno, che l’invitò a fondare a Napoli un collegio per l’educazione delle piccole africane da lui strappate alla schiavitù; nello stesso luogo furono istruite anche le bambine povere del quartiere di Capodimonte.
Solo la diagnosi di un cancro poté fermare le sue visite, durante le quali aveva anche ricevuto l’approvazione del Papa. Nel corso di un’agonia lunga tre mesi, madre Anna chiese ripetutamente perdono alle sue figlie se, lamentandosi, non era stata loro d’esempio. La sua fine terrena giunse verso le 20.30 del 15 aprile 1860, seconda domenica di Pasqua; aveva 51 anni.
La sua causa di beatificazione è stata introdotta nella diocesi di Firenze il 23 gennaio 1918 e ha avuto un percorso abbastanza lungo, tenuto conto che è iniziata sul finire della prima guerra mondiale ed è durata per tutto il secondo conflitto (il decreto sugli scritti è stato promulgato il 3 dicembre 1944). Solo nel 1995 è stata consegnata a Roma la “positio super virtutibus”. Il 12 aprile 2003, invece, è giunto il decreto con cui san Giovanni Paolo II la dichiarava Venerabile.
Mamma Anna, come la chiamano da sempre le sue figlie, riposa a Firenze, nella chiesa di Santa Maria della Neve al Portico. Le Stimmatine si sono poi diffuse in Brasile, Spagna, Ecuador, Zaire, Bolivia e Mozambico. Particolare è la loro missione in Albania che, iniziata nel 1879, fu dispersa nel 1944 dal regime comunista; tra le aspiranti c’era la giovane Maria Tuci, inserita nel gruppo dei 40 Servi di Dio potenziali martiri di cui ha parlato anche papa Francesco nella sua visita in quel Paese. Nel 1991, dopo alcune ricerche, si scoprì che erano rimaste vive ventotto religiose, mentre prima della diaspora, tra suore e postulanti, raggiungevano le cento unità. Tutte, come altre decedute nel frattempo, erano rimaste fedeli alla loro chiamata: dopo un periodo di convalescenza in Italia, quante non avevano emesso i voti perpetui poterono riuscirci. La comunità è stata poi ricostituita, per continuare il compito che la loro fondatrice ha inaugurato e che, ancora adesso, è fonte di un nuovo umanesimo per chi ne avvicina la storia.




Su Internet

Sito del collegio universitario delle Suore Stimmatine a Milano
Sito dell’Istituto La Fantina di Firenze

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