Mercy Challenge: il punto della situazione
Mi ero ripromessa di documentare su queste
pagine i miei tentativi di vivere un’opera di misericordia spirituale e una
spirituale al mese, sulla scorta di quanto papa Francesco aveva suggerito ai
giovani per prepararsi alla Giornata Mondiale della Gioventù.
Purtroppo mi sono lasciata vincere dalla
pigrizia, sia per quanto riguarda il racconto, sia per la concretizzazione
delle opere. Provo quindi a compensare adesso, a una settimana dalla mia
partenza per Cracovia.
Opere di misericordia corporali
Finora, come scrivevo, mi è accaduto di
vivere solo l’opera corporale che invita a
vestire gli ignudi. Ho poi inteso, forse in maniera troppo superficiale, la partecipazione a una colletta alimentare in parrocchia come tentativo di dare da mangiare agli affamati.
A maggio, approfittando dell’invito di un cappellano
carcerario, sono andata a incontrare qualcuno di quelli che affettuosamente lui
chiama «i miei tesorucci». Non era la prima volta, visto che ero stata in
quella struttura dopo la Pasqua di tre anni fa; come allora, ero di servizio
canoro.
C’è stata però una sostanziale differenza:
dopo la Messa, infatti, io e gli altri partecipanti siamo stati divisi in due
gruppi, guidati uno dal cappellano, l’altro dal diacono permanente che lo
affianca; in ciascuno erano presenti anche alcuni detenuti. Di quelli che ho
visto ricordo soprattutto il desiderio di raccontarsi che avevano (soprattutto
uno), ma anche la tristezza per avere rapporti troncati con i familiari, in
alcuni casi.
L’ultimo giorno di febbraio ho visitato un’ammalata, la suora
cui avevo dedicato il post su santa Francesca Saverio Cabrini, sua fondatrice.
In seguito, incontrando una nostra comune conoscente, ho saputo che era morta
proprio un mese dopo il nostro ultimo incontro. Mi ha lasciato un impegno, che
ho trascinato tanto che lei, in vita, non ha potuto vederne la realizzazione.
Quando avrò il coraggio, entro un anno, lo completerò in sua memoria.
Settimana scorsa, infine, mentre ero alle
prese con un colloquio di direzione spirituale, ho notato che il sacerdote che
mi guida aveva una tosse un po’ stizzosa. Gli ho chiesto se volesse bere, così
gli ho dato la bottiglietta d’acqua che avevo con me, visto che eravamo
nell’ufficio parrocchiale. Ovviamente, visto che non avevamo bicchieri, gli ho
lasciato il resto dell’acqua e non ho ricomprato una bottiglia per me. Insomma, penso proprio di aver dato da bere a un
assetato.
Opere di misericordia spirituali
Eravamo rimasti ai miei tentativi di
consolare i miei parenti dalle perdite di due nostri congiunti e d’incoraggiare
un amico indeciso fornendogli qualche consiglio. Nel periodo non coperto dalla
mia cronaca, sento comunque di aver compiuto altre opere di questo genere.
Gli attentati terroristici di Parigi (ma
anche quello di Nizza) sono stati per me un’occasione per pregare sia per i
vivi, in particolare per i parenti delle vittime e per chi le ha uccise, sia
per i morti.
Più di una volta, invece, mi è accaduto di
fornire piccoli insegnamenti di catechesi spicciola a mia madre, o a qualche
altro mio conoscente che si consultava con me in quanto più addentro alle
questioni religiose. La sfida, in questo caso, è consistita nello spiegare come
stessero le cose senza irritarmi.
Mi è successo di
arrabbiarmi non poco, invece, quando mi sono incaricata di aiutare due sposi
che avevano chiesto al coro della mia parrocchia di cantare per loro: il loro
libretto, infatti, era davvero carente, impaginato male e scritto peggio, con
un carattere illeggibile. Sbollita la collera, mi sono data a rifarlo daccapo,
esponendo alla sposa in un file a parte le mie motivazioni. Il giorno delle
nozze, con mio dispiacere, ho riscontrato che il mio tentativo d’insegnare come
si svolgesse correttamente il rito era stato completamente disatteso.
Sulla fine dello
scorso mese, invece, ho tentato di sopportare un mio vecchio amico, che mi ha
vomitato addosso tutta una serie d’insulti rivolti a nostri comuni conoscenti.
Mi sono trattenuta finché non l’ha sparata davvero grossa, portandomi sull’orlo
delle lacrime e facendomelo superare nel giro di un attimo.
Per essere sincera,
quest’ultima opera non capisco proprio a chi faccia del bene, se alla persona
che sopporta o al molestatore. Nel primo caso, chi la compie aiuta se stesso,
non l’altro; evidentemente, quindi, dev’essere di giovamento alla seconda
persona. A parte la mia reazione, causata dal dolore per le notizie che l’amico
mi aveva riferito, credo comunque di averlo sostenuto nell’ascoltare le sue
esternazioni.
Sfida compiuta?
# MercyChallenge
|
|
Opere di misericordia corporale
|
|
dare da
mangiare agli affamati
|
x
|
dare da
bere agli assetati
|
x
|
vestire gli
ignudi
|
x
|
accogliere
i forestieri
|
|
visitare gli ammalati
|
x
|
visitare i
carcerati
|
x
|
seppellire
i morti
|
|
Opere di misericordia spirituale
|
|
consigliare
i dubbiosi
|
x
|
insegnare
agli ignoranti
|
x
|
ammonire
i peccatori
|
|
consolare
gli afflitti
|
x
|
perdonare
le offese
|
|
sopportare
pazientemente le persone moleste
|
x
|
pregare
Dio per i vivi e per i morti
|
x
|
Sì e no, mi viene da dire. Il Papa suggeriva
di compiere due opere per ciascuno dei primi sette mesi del 2016, ma mi mancano
ancora quelle di perdonare le offese e di ammonire i peccatori da una parte, di
alloggiare i pellegrini e di seppellire i morti dall’altra (a meno che i
funerali dei miei parenti non vadano considerati un’applicazione di questa).
è stato comunque un
esercizio utile, che mi ha permesso di capire come l’amore di Dio possa
incarnarsi anche attraverso di me, così da non essere qualcosa di teorico, ma
vicino, vivo e attivo. Perché fosse stata una vera challenge, forse avrei dovuto sfidare a mia volta uno dei miei
amici e invitarlo a scegliere un’opera da compiere. Potrebbe essere una buona
idea per il dopo-Cracovia, no?
Commenti
Posta un commento