Benedetta Bianchi Porro: qualcosa di grande solo grazie a Dio
Benedetta a vent’anni,
in uno scatto realizzato dal fotografo Zoli a
Forlì (fonte);
la stessa foto è stata usata
per l’immagine ufficiale della beatificazione
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Benedetta
Bianchi Porro nacque a Dovadola, in diocesi di Forlì-Bertinoro e provincia di
Forlì, l’8 agosto 1936. Era la seconda dei sei figli di Guido Bianchi Porro,
ingegnere idraulico, e di Elsa Giammarchi. Poiché si temeva per la sua vita, fu
battezzata in casa subito dopo la nascita, dalla stessa madre. Frequentò le
scuole elementari a Dovadola e poi a Forlì, dove studiò anche per le medie e il
ginnasio. Terminò il liceo a Desenzano sul Garda, perché la sua famiglia si era
trasferita a Sirmione.
Già
a tre mesi di vita, ebbe la poliomielite, che le lasciò una gamba più corta
dell’altra. Dal 1945 cominciò a portare scarpe ortopediche, a cui si aggiunse
un busto. Numerose forme reumatiche, mal di testa e febbri continue la
costringevano spesso a letto. A sedici anni cominciò ad avere disturbi
all’udito.
L’anno
successivo s’iscrisse alla facoltà di Fisica dell’Università degli Studi di
Milano, passando, pochissimo dopo, a quella di Medicina. A fatica poté dare
l’ultimo esame previsto, perché la sua sordità si era aggravata. Fu lei stessa
a emettere la diagnosi della propria malattia, trovandola sul manuale di
Patologia: neurofibromatosi, ossia la diffusione di piccolissimi tumori che, a
lungo andare, avrebbero interrotto la sua attività sensitiva e motoria. Nel
1959, due anni dopo un’operazione al cervello, perse la sensibilità nel corpo,
tranne che sul dorso della mano destra.
Continuamente
alla ricerca del senso della propria vita, lo trovò disponendosi ad accettare
tutto quello che Dio voleva per lei. Restò in contatto con gli amici conosciuti
all’università, ma anche con molte altre persone, tramite numerose lettere.
Morì il 23 gennaio 1964, a ventisette anni.
È
stata beatificata sabato 14 settembre nella cattedrale di Santa Croce a Forlì.
I suoi resti mortali, traslati il 22 marzo 1969 nell’abbazia di Sant’Andrea a
Dovadola, sono ancora venerati lì. La sua memoria liturgica cade il 23 gennaio,
giorno della sua nascita al Cielo.
Cosa c’entra con me?
Ho
vaghissimi ricordi di uno dei primi incontri del gruppo adolescenti nella mia parrocchia di nascita. Io e i miei compagni eravamo stati divisi tra maschi e femmine; a
ciascun sottogruppo era stata data una fotocopia col racconto di un ragazzo o
di una ragazza particolarmente esemplari.
A
noi femmine era stata consegnata la storia di una giovane universitaria che era
diventata progressivamente sorda, cieca e paralizzata. Non ho la certezza
assoluta, perché quella fotocopia, se è sopravvissuta al mio trasloco, è
sommersa tra altri incartamenti. Penso proprio, però, che parlasse di
Benedetta. La mia reazione fu sicuramente improntata alla meraviglia, ma una
meraviglia triste, mista a compassione, a causa delle sciagure innumerevoli che
mi sembravano piovute sul capo di quella ragazza.
Parecchi
anni più tardi, mentre gironzolavo per via San Biagio dei Librai a Napoli, mi
sono fermata a una bancarella di libri usati, molti dei quali di argomento
religioso. La copertina della prima raccolta delle lettere di Benedetta attirò
subito il mio sguardo, per la grafica coloratissima. Sentivo di doverla
comprare, in previsione della beatificazione, che prima o poi sarebbe avvenuta.
Penso che fosse il 2012 o giù di lì, perché nell’autunno di quell’anno ho
ricevuto da un amico una busta piena di santini, compreso uno di Benedetta.
Ho
iniziato la lettura: più andavo avanti, più la sfumatura triste della mia
iniziale meraviglia si faceva più tenue. In particolare, mi aveva colpita la
lettera a Natalino Diolaiti, un ragazzo che, secondo un giudizio puramente
umano, era anche sfortunato quasi quanto Benedetta: più che camminare,
strisciava aiutandosi con gli avambracci. Eppure lei gli suggeriva di non
arrendersi e di pensare che Dio era sempre con lui, come era con lei.
Un
altro elemento che fece vacillare il mio pietismo fu la menzione del sostegno
di tantissimi amici, conosciuti negli anni dell’università – la stessa che ho
frequentato io, ma in un’altra facoltà – in gran parte appartenenti a Gioventù
Studentesca. Ormai ero quasi alla fine del mio percorso di studi, ma potevo
riconoscere di avere avuto anch’io contatti con i giovani di Comunione e
Liberazione, risalenti, a dire il vero, al tempo del liceo (già ne accennavo
qui, ma
ne parlerò più diffusamente quando, a Dio piacendo, dedicherò un post a don
Luigi Giussani).
Insieme
a loro, altri universitari legati a realtà come la FUCI e la Comunità di
Sant’Egidio, o impegnati nelle loro parrocchie, mi hanno aiutata a capire come
le aule della Statale fossero il primo luogo, al di là della famiglia e della
parrocchia, dove la mia fede poteva essere messa alla prova. Anche a Benedetta
dev’essere accaduto lo stesso, a cominciare da quell’esame che non superò al
primo colpo a causa dell’incomprensione di uno dei professori.
Tuttavia,
come spesso accade, non sono andata avanti nella lettura. Temevo di ricadere negli
stessi sentimenti di quand’ero ragazzina, anche se avevo qualche strumento in
più. Peraltro, una sottile invidia aveva cominciato a farsi strada, di fronte a
una lista lunghissima di articoli su di lei (il primo già a tre anni dalla
morte) e al vedere che personalità come padre David Maria Turoldo o Enrico Medi erano rimaste
subito attratte dalla sua storia.
Ogni
tanto mi veniva voglia di riprendere il volume delle lettere e di rileggerlo,
ma trovavo altri argomenti da trattare e rimandavo. L’ho tirato giù dallo
scaffale solo quando ho saputo del riconoscimento del miracolo preso in esame
per ottenere la sua beatificazione. La scheda su santiebeati era praticamente perfetta, per cui non dovevo rivederla
troppo. Era altro il lavoro che avrei dovuto svolgere: vincere la
commiserazione e trovare la chiave di lettura giusta per accostarmi a
Benedetta.
Gli
scritti, insieme alla biografia più completa che poi mi sono procurata, sono
stati fondamentali. Mi sono trovata davanti a una bambina, poi una ragazza,
infine una giovane donna che osservava con attenzione tutto ciò che le stava
attorno e che annotava le proprie riflessioni, grazie alla lungimiranza un po’
severa di sua madre, che a cinque anni (sapeva già scrivere) le aveva regalato
il primo quaderno-diario.
Mentre
la lettura avanzava, ho capito che non dev’essere stato facile, per Benedetta,
riconoscere di non essere come tutti gli altri. Anche lei, a volte, si è
ritenuta «disgraziata»: usa proprio quell’aggettivo nel suo diario, pensando a
una rosa che aveva colto, mentre paragonava il suo ciclo vitale a quello
dell’uomo. Molti anni dopo, il giorno prima di morire, volle invece invitare la
madre a inginocchiarsi e a riconoscere che Dio, in lei, aveva compiuto grandi
cose.
La testimonianza di sua madre, contenuta in uno dei libri che segnalo più in
basso, è stata utilissima per capire gli aspetti più quotidiani della sua vita.
Un dettaglio che può apparire curioso e che costituisce un altro aspetto che me la rende affine: aveva una gran collezione di orecchini,
che erano il suo ornamento preferito, come si vede anche dalle sue tante
fotografie. Maria Grazia, una delle amiche di GS, attaccò bottone con lei
proprio con la scusa di farsi prestare quelli che aveva addosso, dato che le
sembrava molto riservata (era per via della sua sordità). Ormai prossima alla
morte, li regalò tutti, per essere più libera di andare verso il Signore.
Benedetta
non è una Beata ambrosiana in senso stretto, dato che è vissuta molto poco a
Milano. Uno di questi giorni, però, mi piacerebbe ripercorrere i luoghi dove è
passata nella mia città, immaginando di averla accanto a me.
Questo
pensiero ha cominciato a ronzarmi in testa, mentre rileggevo le pagine su di
lei, insieme a un altro: perché non conferirle la laurea honoris causa in Medicina? Ci sarebbe un altro “beato” precedente:
quello di Pier Giorgio Frassati. Il 6 luglio 2001, in occasione del centenario
della sua nascita, gli fu conferita la Laurea alla memoria in Ingegneria Mineraria
dal Politecnico di Torino (qui la sua pagina, nella sezione del sito del Politecnico
dedicata agli allievi laureati famosi, ovvero gli Alumni).
Il suo Vangelo
Come
suggerisce l’autrice del libro che contiene la testimonianza di sua madre, la
vita di Benedetta non va interpretata all’insegna del dolorismo o del
masochismo, ma dell’amore: per la vita, per i familiari, per gli amici, per Dio.
La scoperta di quell’amore nella sua vita non poteva che trasmettersi, con
risultati ben superiori ai sogni di grandezza che la presero da ragazzina,
quando aveva cominciato a portare il busto.
Un
amore che portava anche a situazioni solo in apparenza paradossali, come quella
che descrive nella lettera dell’11 gennaio 1964 (dodici giorni prima della sua
morte) all’amica Paola:
La mia vita è tristissima, Paola, ma io
ho lo stesso tanta voglia di ridere. È perché il Signore si ricorda di me, ed
io non ne ho alcun merito.
Una
consapevolezza che sarebbe bene ricordare, in ogni momento.
Per saperne di più (aggiornato al 12 febbraio 2024)
Piersandro Vanzan, Benedetta Bianchi Porro – Un cammino di luce,
Velar-Elledici 2011, pp. 48, € 4,00.
Una
breve rilettura della sua storia.
Andrea Vena, Benedetta Bianchi Porro - Biografia
autorizzata, San Paolo Edizioni 2012, pp. 208, € 13,00.
La
biografia più completa, che contiene anche un approfondimento sulle basi della
sua spiritualità.
Andrea
Vena (a cura di), Benedetta Bianchi Porro
- Nella fede la gioia, Edizioni Messaggero 2014, pp. 136, € 10,00.
Breve
profilo e antologia degli scritti, uscita per il cinquantesimo anniversario
della morte. Comprende anche lettere inedite, rinvenute dopo l’uscita degli
scritti completi.
Benedetta Bianchi
Porro, Scritti completi (a cura di Andrea Vena), San Paolo
Edizioni 2022, pp. 918, € 38,00.
Volume che riporta il diario, le lettere e altri scritti minori.
Carmela Gaini Rebora,
Oggi è la mia festa - Benedetta Bianchi
Porro nel ricordo della madre, Edizioni Dehoniane Bologna 2019, pp. 176, €
14,00.
Uscito
per la prima volta nel 1994, in occasione del quarantesimo della morte di
Benedetta, riporta una lunga conversazione di sua madre Elsa con un’amica di
famiglia. Qui una mia recensione più approfondita.
Su Internet (aggiornato al 12 febbraio 2024)
Sito ufficiale, rinnovato
in vista della beatificazione
Sezione
a lei dedicata del sito della diocesi di Forlì-Bertinoro
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