Squarci di testimonianze #31: don Gregorio Valerio e i suoi anni accanto al cardinal Martini


Il quarantesimo anniversario dell’ingresso di Carlo Maria Martini, all’epoca non ancora cardinale, come nuovo arcivescovo di Milano, è per me l’opportunità di descrivere le mie impressioni su un volume che ha suscitato un certo interesse. Il mio Martini segreto contiene infatti una serie di «istantanee» – così recita il sottotitolo – della vita del suo ultimo segretario negli anni milanesi, don Gregorio Valerio.
Per una combinazione particolare, ho conosciuto don Gregorio nella parrocchia che ha guidato fino a due anni fa, Sant’Antonio Maria Zaccaria a Milano, non molto lontano da dove abito ora (è ancora lì come residente). Solo tempo dopo, in ogni caso prima dell’uscita del libro, ho saputo del suo ruolo di segretario.
Ero sicura che prima o poi avrebbe raccontato in maniera estesa qualcosa di quegli anni, specie dopo aver assistito a una sua testimonianza dopo una proiezione di vedete, sono uno di voi di Ermanno Olmi. Mi parve tutto sommato soddisfatto sul lato tecnico, meno sull’immagine del Cardinale che veniva riferita: gli sembrava troppo cupo, quasi depresso, in ogni caso diverso da come aveva imparato a conoscerlo.
La prima cosa che ho pensato, appena ho visto l’annuncio del libro, è stata che finalmente aveva l’occasione di dire la sua in maniera ancora più palese. Mi domandavo, però, se avesse valutato attentamente l’opportunità di agire così: un segretario, per definizione, dovrebbe essere una persona riservata. Ho capito le sue motivazioni dopo aver assistito lo scorso 9 dicembre a una presentazione del volume, proprio a Sant’Antonio Maria Zaccaria.
In quella circostanza, don Gregorio ha riferito di aver cominciato a tenere un diario dopo che il 10 giugno 1963 il cardinal Montini, di lì a poco eletto papa Paolo VI, visitò i seminaristi – lui era in II Teologia – e li esortò a mettere per iscritto quanto provavano vivendo determinate esperienze.
Il suo primo incontro con Martini è avvenuto durante il pellegrinaggio a Roma del 5-6 gennaio 1980, per la sua consacrazione episcopale: ebbe una forte impressione di trovarsi davanti a un uomo eccezionale.
All’epoca era direttore di Radio A, l’emittente diocesana che, fusa con Novaradio, diede poi vita a Radio Marconi. Diventato poi responsabile dell’Ufficio Comunicazioni Sociali, fu definito dal suo diretto superiore «ipsissima vox episcopi». «Conoscendolo», commenta nella prefazione, «l’apprezzamento sarebbe potuto essere uno stimolo arguto e un po’ sornione a presentare il suo insegnamento in maniera forse un po’ più vivace». Gli chiese poi di essere il suo segretario nel febbraio 1995, quand’era parroco a Milano, a San Giovanni Crisostomo.
Il diario, nella sua stesura originale, conta sei volumi, uno per anno. Quello pubblicato è un terzo circa, ricavato dalla sintesi curata da Maria Teresa Antognazza, giornalista dei media diocesani, incontrata negli uffici dell’Impresa Tecnoeditoriale Lombarda (ITL), l’editrice della diocesi di Milano.
La pubblicazione, quindi, ha uno scopo duplice. Anzitutto, fare in modo che i lettori si avvicinino al Cardinale come aveva fatto lui nel corso degli anni. Nella prefazione scrive: «Mi piacerebbe che qualcuno s’incuriosisse di lui e gli fosse offerta l’opportunità di incontrare la sua persona, quasi prima che il suo pensiero». Il secondo è imparare come affrontare da protagonisti, alla luce della Parola di Dio, la Storia attuale.
Almeno con me, l’intento è riuscito. Da quanto scrive, fa capire efficacemente come si sentisse arricchito dal seguirlo quasi dappertutto: dalle visite pastorali (relativamente poche nella selezione, per sua stessa ammissione) ai viaggi a Roma per il Consiglio Permanente della CEI, dai pellegrinaggi e dagli incontri internazionali agli ormai famosi “giovedì del Cardinale”, con le passeggiate in montagna e le lunghe contemplazioni oranti della natura.
S’intrecciano fatti storici internazionali, come l’attentato dell’11 settembre 2001, e locali, come l’incidente di Linate dello stesso anno; l’amicizia con personalità famose come don Bruno Forte, ora vescovo; i grandi eventi ecclesiali, su tutti l’Anno Santambrosiano 1997/’98 e il Giubileo del 2000; i momenti luttuosi legati a madre Teresa di Calcutta o al giovane don Massimo Bignetti, del quale, ma non fu il solo caso, il Cardinale volle presiedere le esequie.
Sono parecchie, poi, le intuizioni sul futuro su cui Martini espresse il proprio parere. Circa l’immigrazione, che non vedeva come una minaccia totale, o sul rapporto con l’Islam, esortando a un dialogo basato sulla propria sicurezza nella fede. Lo preoccupava anche la promozione delle vocazioni, supponendo che ci sarebbero stati sempre meno giovani disposti a scegliere le vie di speciale consacrazione. Riguardo la formazione delle unità pastorali, esortava a considerarle un mezzo; il fine, invece, doveva essere la pastorale d’insieme. Più a livello globale, immaginava incontri tra vescovi diversi dal Sinodo o da un Concilio ecumenico.
Dati i trascorsi di don Gregorio nelle comunicazioni sociali, la sua sensibilità è stata sollecitata dal rapporto tra il Cardinale e la stampa. Nel diario ha parole di apprezzamento per Silvia Giacomoni, giornalista de la Repubblica, per Donatella Negri, ancora oggi al TG3, ma anche per Marco Garzonio e per Enzo Biagi, che a suo dire Martini avrebbe voluto avere come una sorta di direttore spirituale laico.
Fondamentale è stato però il coordinamento attuato da don Gianni Zappa, all’epoca portavoce e responsabile dell’Ufficio Comunicazioni Sociali. Nelle pagine del libro si assiste anche a un mutamento della diffusione del magistero episcopale: dai testi trasmessi direttamente dal portavoce all’invito a consultare il sito della diocesi, nato proprio sul finire degli anni martiniani.
L’aspetto più caloroso e personale emerge nel racconto di tanti incontri e delle molte occasioni di ascolto offerte dalla vita dell’Arcivescovo. Don Gregorio riporta gli appunti presi in molte assemblee diocesane, ma anche le impressioni dalle Messe e dalle veglie in Duomo (come quella in cui citò Lucia Roncareggi), o ancora dalle visite in Seminario e dalle domande poste dai seminaristi.
L’ascolto personale o tramite lettera – in molte annotazioni don Gregorio commenta sulla mole, fisica e di contenuto, delle missive che arrivavano al suo tavolo per essere smistate – non era trascurato: persone felici e infelici, preti in crisi irreversibili e altri che da lui hanno ricevuto incoraggiamenti, genitori che avevano perso un figlio e diaconi in vista del sacerdozio (un prete che conosco si è rivisto proprio in quelle pagine e in quelle sugli incontri in Seminario).
Se c’era una categoria di persone con cui il segretario lo vedeva particolarmente coinvolto erano i carcerati: per stessa ammissione di Martini, con loro si sentiva pienamente vescovo. Annota questo nelle non poche occasioni in cui entrò con lui nella casa circondariale di San Vittore, per Natale, Pasqua o per la Cresima di alcuni detenuti. Anche nel rapporto coi malati e con gli anziani notava una sua delicatezza speciale, unita alla riflessione sul fatto che, un giorno, forse entrambi sarebbero diventati così.
In effetti, alcune pagine sono dedicate alle malattie del Cardinale: il morbo di Parkinson, ma anche un tumore operabile e non pochi raffreddori. Questa parte può lasciare sconcertati, proprio per un tema così sensibile. Suppongo che don Gregorio abbia lasciato quei dettagli per far risaltare il modo con cui affrontò quei mali, cosicché il lettore potesse adattarli alla propria esperienza.
Un altro limite del volume è che sarebbe stato necessario, a mio avviso, un indice dei nomi e dei luoghi, per recuperare con più facilità i punti esatti in cui si parla di un certo personaggio o di una città o parrocchia in particolare.
Don Gregorio, poi, non nasconde una certa insofferenza quando vede che il popolo quasi spintona il Cardinale, ma allo stesso tempo capisce che lui vuole stare il più possibile con tutti. S’innervosisce anche quando legge l’agenda e vede che ci sono più impegni di quanti ne possa affrontare: specie nei primi tempi del suo servizio, seguiva l’Arcivescovo in tre visite in altrettante parrocchie nel giro di una sola domenica. Fatica molto di più a controllarsi quando qualcuno lo descrive come freddo, distante, incapace di comprendere la vita ordinaria di fedeli e sacerdoti.
Chi cerca aneddoti gustosi o divertenti non resta inappagato. Sono molti, infatti, i dettagli curiosi riportati nel diario, come quello di due signori che l’incontrarono sopra Menaggio e vollero una foto con lui, da far vedere al loro parroco. O anche la risposta con cui Martini commentò alcune critiche: gli facevano vivere l’ottava beatitudine, che però parla di coloro che sono ingiustamente accusati, fatto che lo conduceva a riflettere.
Ci sono almeno due o tre punti in cui don Gregorio sente di dover fare sintesi del suo rapporto con lui. Il più commovente è nella nota dell’11 settembre 2002, quando ormai Martini si è sistemato nella casa di Esercizi Spirituali dei Gesuiti a Galloro, che avrebbe dovuto essere la sua base nei ritorni in Italia da Gerusalemme. L’ormai ex segretario gli scrisse un’e-mail la sera stessa, concludendola così: «Abbiamo tanto bisogno che la grazia del Signore continui a dare fecondità alle tante e mirabili parole da lei seminate in questi anni, e di cui non potremo mai essere convenientemente riconoscenti».
Ammetto che spesso mi sono trovata a pensare cosa volesse dire vivere da giovane o da adulta durante l’episcopato di Martini. Come mi ha fatto presente don Gregorio, sono una di quei giovani che il Cardinale definiva “di seconda generazione”, ma io direi più “di terza”, dato che ho compiuto diciott’anni poco dopo la nomina del cardinal Tettamanzi come suo successore.
A volte ho sentito dipingere quel periodo come fosse un’età dell’oro, dove il Duomo rigurgitava di giovani per la Scuola della Parola, dove venivano ordinati trenta sacerdoti circa l’anno, dove l’autorevolezza di quel pastore era universalmente riconosciuta, dove venivano promosse iniziative fruttuose come il Gruppo Samuele, il cammino per i sacerdoti «E li mandò a due a due» o il percorso «Sentinelle del mattino», quest’ultimo dopo la Giornata Mondiale della Gioventù del 2000.
Le pagine di don Gregorio restituiscono un’immagine più realistica, non tacendo le frizioni e le incomprensioni con altri confratelli nell’episcopato o con certi settori dell’opinione pubblica, spesso causate da un’interpretazione parziale delle sue parole. Non celano neanche i brevi momenti di sconforto di quanti circondavano Martini o quelli, rari, in cui lui, pur amareggiato, cercava di controllare le parole con cui esprimersi.
Fu quindi tanto amato, anche osteggiato, ma poco conosciuto come persona. Un libro come questo può aiutare almeno un po’, sebbene per lui, ma per chiunque, vale quanto disse di sé san Giovanni Paolo II (menzionato anche lui, specie nelle pagine sulla visita ad limina del 2000) a George Weigel: «Cercano di capirmi dal di fuori ma io posso essere capito solo dal di dentro».

Commenti

Post più popolari