Lucia Roncareggi: la festa e la danza della vita, a Natale e non solo (Corona d’Avvento dei Testimoni 2019 #2)
Fotografia ricavata dalla quarta di copertina
della vecchia edizione di Preparami la colazione
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Lucia
Roncareggi nacque a Milano il 15 gennaio 1977, figlia di Angelo, funzionario
bancario, e di Mariagrazia Breda, che oltre a lei ebbero quattro figli. Abitò con la
famiglia a Bresso, in provincia e diocesi di Milano, frequentando l’oratorio e
la parrocchia della Madonna della Misericordia.
Dopo le scuole superiori, compiute in una scuola paritaria cattolica, nell’autunno 1996 s’iscrisse alla facoltà di Economia bancaria. Dieci giorni più tardi, passò definitivamente a quella di Psicologia, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Nello stesso anno, anche a causa del lavoro del padre, cominciò a trascorrere molto tempo nella casa al mare nel paese di Tellaro, in Liguria. Fu lì che conobbe Giulio, col quale, nonostante le differenze, cominciò una storia d’amore.
In una notte di fine giugno del 1997, Lucia avvertì un piccolo rigonfiamento sulla schiena, che le dava molto dolore. Esami successivi confermarono la diagnosi emessa a fine gennaio: si trattava di una neoplasia mesenchimale a piccole cellule con componenti di rabdomiosarcoma e swannoma maligno, ovvero un tumore molto raro.
Per i primi tempi, Lucia si oppose al fatto di essere malata e cercò nella medicina la soluzione al suo problema. Fu a lungo ricoverata al Centro «Gustave Roussy» di Parigi; le cure sembrarono avere risultati soddisfacenti. Grazie alle sue poesie, che aveva iniziato a comporre nel 1996, vinse il concorso «Città di Lerici».
Il 24 ottobre 1998 ricominciò a star male: le fu trovato un tumore nell’ovaio destro. Da quel momento in poi, Lucia mise tutta la propria fiducia nel Signore, accompagnata dai suoi cari, dal fidanzato e dagli amici che formarono attorno a lei un gruppo di preghiera.
Il 6 marzo 1999, insieme ai genitori, partì per Lourdes, dove l’aspettavano la nonna, Giulio, le sorelle e le amiche Laura e suor Alda. Tuttavia, alcune ore dopo il bagno nelle piscine, perse del tutto l’uso delle gambe. Fu sottoposta a laminellectomia alla colonna vertebrale, ma senza esito.
Il 20 marzo 1999 Lucia fu di nuovo ricoverata al «Roussy», ormai in fase terminale. Morì il 24 marzo, mentre sua madre e sua sorella Emanuela terminavano accanto a lei la recita del Rosario.
Dopo le scuole superiori, compiute in una scuola paritaria cattolica, nell’autunno 1996 s’iscrisse alla facoltà di Economia bancaria. Dieci giorni più tardi, passò definitivamente a quella di Psicologia, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Nello stesso anno, anche a causa del lavoro del padre, cominciò a trascorrere molto tempo nella casa al mare nel paese di Tellaro, in Liguria. Fu lì che conobbe Giulio, col quale, nonostante le differenze, cominciò una storia d’amore.
In una notte di fine giugno del 1997, Lucia avvertì un piccolo rigonfiamento sulla schiena, che le dava molto dolore. Esami successivi confermarono la diagnosi emessa a fine gennaio: si trattava di una neoplasia mesenchimale a piccole cellule con componenti di rabdomiosarcoma e swannoma maligno, ovvero un tumore molto raro.
Per i primi tempi, Lucia si oppose al fatto di essere malata e cercò nella medicina la soluzione al suo problema. Fu a lungo ricoverata al Centro «Gustave Roussy» di Parigi; le cure sembrarono avere risultati soddisfacenti. Grazie alle sue poesie, che aveva iniziato a comporre nel 1996, vinse il concorso «Città di Lerici».
Il 24 ottobre 1998 ricominciò a star male: le fu trovato un tumore nell’ovaio destro. Da quel momento in poi, Lucia mise tutta la propria fiducia nel Signore, accompagnata dai suoi cari, dal fidanzato e dagli amici che formarono attorno a lei un gruppo di preghiera.
Il 6 marzo 1999, insieme ai genitori, partì per Lourdes, dove l’aspettavano la nonna, Giulio, le sorelle e le amiche Laura e suor Alda. Tuttavia, alcune ore dopo il bagno nelle piscine, perse del tutto l’uso delle gambe. Fu sottoposta a laminellectomia alla colonna vertebrale, ma senza esito.
Il 20 marzo 1999 Lucia fu di nuovo ricoverata al «Roussy», ormai in fase terminale. Morì il 24 marzo, mentre sua madre e sua sorella Emanuela terminavano accanto a lei la recita del Rosario.
Il
mio incontro con Lucia Roncareggi è avvenuto tra gli scaffali della libreria Àncora
di via Larga a Milano, non molto tempo dopo che avevo cominciato l’università.
Il titolo del libro m’incuriosiva e anche il soggetto, ma non mi decidevo a
comprarlo.
Quando l’ho fatto, nel 2011, ho agito solo perché temevo che finisse fuori catalogo. Le mie impressioni furono miste tra commozione, ammirazione per il coraggio di Lucia e speranza come quella che mi trasmettevano le sue composizioni poetiche. Peraltro mi venne in mente di aver già sentito parlare del «Roussy», leggendo di Silvio Dissegna, all’epoca non ancora Venerabile: anche lui, in anni diversi, fu ricoverato in quel centro specializzato.
A dire il vero, prima ancora di leggere bene il volume, ho sfogliato le ultime pagine. Lì ho trovato la menzione di Andrew Robinson, seminarista della diocesi di Birmingham, morto per un tumore al colon. Se da una parte ero spazientita perché sembrava che storie del genere capitassero tutte tra le mie mani, dall’altra sentivo di doverla approfondire a tutti i costi. Qui ho raccontato com’è andata e, finalmente, posso raccontare anche la parte che riguarda più direttamente Lucia.
Uno dei commessi dell’Àncora mi disse di aver conosciuto il signor Angelo, padre di Lucia, e mi diede il suo numero di casa. Ho provato a telefonare, ma continuava a risultare libero, senza risposta. Mi sono rassegnata, almeno finché non mi è venuto in mente che avevo un’altra pista: potevo chiedere a Giorgio Bernardelli, l’autore della biografia (poteva aiutarmi anche per Andrew).
Il 15 novembre 2013 gli ho mandato una e-mail all’indirizzo che mi aveva procurato un suo collega, ottenendo risposta dopo circa un mese. Fu molto disponibile a entrambe le mie richieste: per Lucia, mi lasciò il cellulare e l’indirizzo e-mail di sua madre.
Anche la signora Mariagrazia rispose in maniera gentile, dichiarandosi a favore dell’articolo che volevo dedicarle. Ho però lasciato perdere, presa da altre questioni e per non insistere troppo: erano passati oltre quindici anni, ma il dolore doveva essere rimasto.
Nel frattempo, avvenne anche a me qualcosa di simile a quanto accadde ai giovani presenti alla veglia in traditione Symboli del 27 marzo 1999, quando il cardinal Carlo Maria Martini lesse la lettera che Lucia gli aveva mandato. Il 16 novembre 2011 il cardinal Angelo Scola menzionò, durante gli Esercizi Spirituali serali per i giovani di Milano, la lettera di un altro ragazzo, Marco Gallo, pubblicata sul mensile Tempi. A lui, che ora è parecchio famoso, avevo dedicato il secondo post dopo quello introduttivo.
Volevo a tutti i costi che si verificasse un analogo fatto alla veglia in traditione Symboli dell’anno successivo. Il brano di Vangelo che ne costituiva il tema era l’unzione di Betania in Giovanni. Non poteva esserci occasione più propizia, credevo, perché il mio arcivescovo presentasse ai partecipanti il seminarista di Lissone Alessandro Galimberti, proprio come Martini fece per Lucia: quel brano era stata la base della sua Regola di Vita, nonché la fonte ispiratrice per una delle sue preghiere.
La mia attenzione era al massimo, ma il discorso si concluse senza che avvenisse quanto speravo. Quando il cardinale, prima della benedizione solenne, cominciò a parlare di testimoni credibili o qualcosa del genere, ho ripreso a pensare che di lì a poco avrei sentito il nome di Alessandro. In realtà e a buon diritto, si riferiva ai catecumeni che avevano ricevuto il Credo, secondo il significato dell’espressione traditio Symboli.
L’idea di scrivere di Lucia mi è tornata quando ho visto che, a giugno di quest’anno, è stata annunciata una nuova edizione del libro di Bernardelli. Ho atteso qualche mese prima di procurarmelo: quando l’ho avuto tra le mani, l’ho confrontato con l’edizione che già avevo, trovandolo ridotto in termini di pagine. Mancava del tutto la postfazione in cui era citato Andrew, con mio gran dispiacere. La prefazione, invece, era stata sostituita con quella a firma dell’attuale direttore della Fondazione Oratori Milanesi (FOM), don Stefano Guidi.
Lo scorso 5 agosto ho iniziato a sfogliarlo, partendo stavolta proprio dalla prefazione. Credevo che fosse il solito testo in cui il personaggio in questione viene salutato come «santo della porta accanto», in barba alla prudenza e al fatto che papa Francesco, nella Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, al paragrafo 7 del capitolo I, non dà questo attributo a persone decedute, ma a quanti vivono accanto a noi e riflettono alcuni aspetti di Dio.
Invece, al mio scetticismo, si sostituì una gioia esplosiva, che mi portò a saltare e a gridare benché fosse quasi mezzanotte. Non solo don Stefano affiancava Lucia e Alessandro, ma definiva quest’ultimo «un vulcano», con tanto di punto esclamativo finale. Non mi ci voleva molto a pensare che avessero potuto conoscersi in Seminario, ma forse potevano non essere tanto amici.
In effetti, concordo con lui nell’affermare che tra il seminarista brianzolo e la studentessa di Bresso ci sia un’affinità fondamentale: l’espressione della fede tramite la poesia. Negli scritti di Alessandro ritorna spesso il tema della danza, come in Danzare perché è Pasqua. Anche per Lucia la danza era importantissima, dato che la praticava prima di ammalarsi e la insegnava alle bambine del suo oratorio. Al cardinal Martini, in effetti, descrisse la propria condizione come una «danza sui fuochi ardenti del dolore e della sofferenza».
Ho poi trovato un parallelismo tra la poesia Quando morirò, dove Lucia immagina il giorno della propria morte come uno fra tanti, e il componimento L’importanza di amare. Lì Alessandro scrive che, se anche lui fosse scomparso, l’unica cosa davvero importante era che lui aveva amato. Mi sembra una sorta di risposta indiretta, o comunque il segno del fatto che tutti e due avevano riflettuto su cosa ne sarebbe stato di loro dopo una fine che sentivano imminente.
Se l’uno voleva essere come il profumo del nardo, capace di segnalare a tutti la presenza di Gesù, l’altra invece si sentiva simile a una farfalla, il cui volo a volte era affaticato, ma tendeva comunque verso una speranza più grande.
Il suo Vangelo
Il messaggio originale di Lucia passa per forza di cose dalla sua vena poetica, frutto di un carattere che la portava a osservare la bellezza attorno a lei e ad apprezzarla nei suoi più minuti dettagli, quegli stessi citati nel Breviario delle piccole cose che aveva stilato nei mesi trascorsi in ospedale.
Avevo pensato d’inserirla nella Corona d’Avvento dei Testimoni di quest’anno essenzialmente perché il suo onomastico cade proprio in questo periodo dell’anno. Riprendendo il libro su di lei, mi sono ricordata che trascorse la preparazione all’ultimo Natale della sua vita, quello del 1998, donando a tutti i suoi amici dei Bambinelli di gesso, dipinti a mano da lei stessa.
L’ultimo fu consegnato al suo parroco, don Piero Castelli. Gli scrisse anche una lettera, che lui lesse durante la Messa di mezzanotte, a cui Lucia volle partecipare nonostante facesse fatica a stare in piedi. È un augurio riportato, secondo la sua grafia originale, nelle ultime pagine della nuova edizione della sua biografia. Si legge chiaramente il suo amore verso la comunità cristiana che continuava a starle accanto e che, spero, non l’abbia dimenticata in questi venti anni dalla sua morte. Chissà se qualcuno avrà parlato di lei a monsignor Delpini, recentemente passato per Bresso in visita pastorale…
Quando l’ho fatto, nel 2011, ho agito solo perché temevo che finisse fuori catalogo. Le mie impressioni furono miste tra commozione, ammirazione per il coraggio di Lucia e speranza come quella che mi trasmettevano le sue composizioni poetiche. Peraltro mi venne in mente di aver già sentito parlare del «Roussy», leggendo di Silvio Dissegna, all’epoca non ancora Venerabile: anche lui, in anni diversi, fu ricoverato in quel centro specializzato.
A dire il vero, prima ancora di leggere bene il volume, ho sfogliato le ultime pagine. Lì ho trovato la menzione di Andrew Robinson, seminarista della diocesi di Birmingham, morto per un tumore al colon. Se da una parte ero spazientita perché sembrava che storie del genere capitassero tutte tra le mie mani, dall’altra sentivo di doverla approfondire a tutti i costi. Qui ho raccontato com’è andata e, finalmente, posso raccontare anche la parte che riguarda più direttamente Lucia.
Uno dei commessi dell’Àncora mi disse di aver conosciuto il signor Angelo, padre di Lucia, e mi diede il suo numero di casa. Ho provato a telefonare, ma continuava a risultare libero, senza risposta. Mi sono rassegnata, almeno finché non mi è venuto in mente che avevo un’altra pista: potevo chiedere a Giorgio Bernardelli, l’autore della biografia (poteva aiutarmi anche per Andrew).
Il 15 novembre 2013 gli ho mandato una e-mail all’indirizzo che mi aveva procurato un suo collega, ottenendo risposta dopo circa un mese. Fu molto disponibile a entrambe le mie richieste: per Lucia, mi lasciò il cellulare e l’indirizzo e-mail di sua madre.
Anche la signora Mariagrazia rispose in maniera gentile, dichiarandosi a favore dell’articolo che volevo dedicarle. Ho però lasciato perdere, presa da altre questioni e per non insistere troppo: erano passati oltre quindici anni, ma il dolore doveva essere rimasto.
Nel frattempo, avvenne anche a me qualcosa di simile a quanto accadde ai giovani presenti alla veglia in traditione Symboli del 27 marzo 1999, quando il cardinal Carlo Maria Martini lesse la lettera che Lucia gli aveva mandato. Il 16 novembre 2011 il cardinal Angelo Scola menzionò, durante gli Esercizi Spirituali serali per i giovani di Milano, la lettera di un altro ragazzo, Marco Gallo, pubblicata sul mensile Tempi. A lui, che ora è parecchio famoso, avevo dedicato il secondo post dopo quello introduttivo.
Volevo a tutti i costi che si verificasse un analogo fatto alla veglia in traditione Symboli dell’anno successivo. Il brano di Vangelo che ne costituiva il tema era l’unzione di Betania in Giovanni. Non poteva esserci occasione più propizia, credevo, perché il mio arcivescovo presentasse ai partecipanti il seminarista di Lissone Alessandro Galimberti, proprio come Martini fece per Lucia: quel brano era stata la base della sua Regola di Vita, nonché la fonte ispiratrice per una delle sue preghiere.
La mia attenzione era al massimo, ma il discorso si concluse senza che avvenisse quanto speravo. Quando il cardinale, prima della benedizione solenne, cominciò a parlare di testimoni credibili o qualcosa del genere, ho ripreso a pensare che di lì a poco avrei sentito il nome di Alessandro. In realtà e a buon diritto, si riferiva ai catecumeni che avevano ricevuto il Credo, secondo il significato dell’espressione traditio Symboli.
L’idea di scrivere di Lucia mi è tornata quando ho visto che, a giugno di quest’anno, è stata annunciata una nuova edizione del libro di Bernardelli. Ho atteso qualche mese prima di procurarmelo: quando l’ho avuto tra le mani, l’ho confrontato con l’edizione che già avevo, trovandolo ridotto in termini di pagine. Mancava del tutto la postfazione in cui era citato Andrew, con mio gran dispiacere. La prefazione, invece, era stata sostituita con quella a firma dell’attuale direttore della Fondazione Oratori Milanesi (FOM), don Stefano Guidi.
Lo scorso 5 agosto ho iniziato a sfogliarlo, partendo stavolta proprio dalla prefazione. Credevo che fosse il solito testo in cui il personaggio in questione viene salutato come «santo della porta accanto», in barba alla prudenza e al fatto che papa Francesco, nella Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, al paragrafo 7 del capitolo I, non dà questo attributo a persone decedute, ma a quanti vivono accanto a noi e riflettono alcuni aspetti di Dio.
Invece, al mio scetticismo, si sostituì una gioia esplosiva, che mi portò a saltare e a gridare benché fosse quasi mezzanotte. Non solo don Stefano affiancava Lucia e Alessandro, ma definiva quest’ultimo «un vulcano», con tanto di punto esclamativo finale. Non mi ci voleva molto a pensare che avessero potuto conoscersi in Seminario, ma forse potevano non essere tanto amici.
In effetti, concordo con lui nell’affermare che tra il seminarista brianzolo e la studentessa di Bresso ci sia un’affinità fondamentale: l’espressione della fede tramite la poesia. Negli scritti di Alessandro ritorna spesso il tema della danza, come in Danzare perché è Pasqua. Anche per Lucia la danza era importantissima, dato che la praticava prima di ammalarsi e la insegnava alle bambine del suo oratorio. Al cardinal Martini, in effetti, descrisse la propria condizione come una «danza sui fuochi ardenti del dolore e della sofferenza».
Ho poi trovato un parallelismo tra la poesia Quando morirò, dove Lucia immagina il giorno della propria morte come uno fra tanti, e il componimento L’importanza di amare. Lì Alessandro scrive che, se anche lui fosse scomparso, l’unica cosa davvero importante era che lui aveva amato. Mi sembra una sorta di risposta indiretta, o comunque il segno del fatto che tutti e due avevano riflettuto su cosa ne sarebbe stato di loro dopo una fine che sentivano imminente.
Se l’uno voleva essere come il profumo del nardo, capace di segnalare a tutti la presenza di Gesù, l’altra invece si sentiva simile a una farfalla, il cui volo a volte era affaticato, ma tendeva comunque verso una speranza più grande.
Il suo Vangelo
Il messaggio originale di Lucia passa per forza di cose dalla sua vena poetica, frutto di un carattere che la portava a osservare la bellezza attorno a lei e ad apprezzarla nei suoi più minuti dettagli, quegli stessi citati nel Breviario delle piccole cose che aveva stilato nei mesi trascorsi in ospedale.
Avevo pensato d’inserirla nella Corona d’Avvento dei Testimoni di quest’anno essenzialmente perché il suo onomastico cade proprio in questo periodo dell’anno. Riprendendo il libro su di lei, mi sono ricordata che trascorse la preparazione all’ultimo Natale della sua vita, quello del 1998, donando a tutti i suoi amici dei Bambinelli di gesso, dipinti a mano da lei stessa.
L’ultimo fu consegnato al suo parroco, don Piero Castelli. Gli scrisse anche una lettera, che lui lesse durante la Messa di mezzanotte, a cui Lucia volle partecipare nonostante facesse fatica a stare in piedi. È un augurio riportato, secondo la sua grafia originale, nelle ultime pagine della nuova edizione della sua biografia. Si legge chiaramente il suo amore verso la comunità cristiana che continuava a starle accanto e che, spero, non l’abbia dimenticata in questi venti anni dalla sua morte. Chissà se qualcuno avrà parlato di lei a monsignor Delpini, recentemente passato per Bresso in visita pastorale…
…e non smetto mai di
volare verso la mia Primavera. Ali non ho e ho tanta, tanta voglia di danzare.
Ma è il mio cuore che danza, danza la vita con le ali della fede e della
speranza.
E quando sono stanca e ho solo voglia di strisciare sulla terra come una larva, incontro dei bellissimi fiori in campi verdissimi su cui appoggio il mio corpicino stanco e da cui succhio tutto il nettare più dolce che hanno.
Grazie, perché in quei fiori vedo lei e tutta la nostra comunità che mi accompagnate in questo lungo, difficile ma straordinariamente ricco viaggio.
Il Natale è la festa della vita e chissà… la festa della mia Primavera, così potrò danzare non solo col cuore ma con ali grandi, forti, non conta se belle o brutte.
La vita è davvero bella, riscopriamola insieme nel Natale; questo è il mio augurio.
E quando sono stanca e ho solo voglia di strisciare sulla terra come una larva, incontro dei bellissimi fiori in campi verdissimi su cui appoggio il mio corpicino stanco e da cui succhio tutto il nettare più dolce che hanno.
Grazie, perché in quei fiori vedo lei e tutta la nostra comunità che mi accompagnate in questo lungo, difficile ma straordinariamente ricco viaggio.
Il Natale è la festa della vita e chissà… la festa della mia Primavera, così potrò danzare non solo col cuore ma con ali grandi, forti, non conta se belle o brutte.
La vita è davvero bella, riscopriamola insieme nel Natale; questo è il mio augurio.
Per
saperne di più
Giorgio
Bernardelli, Preparami la colazione. Storia di Lucia che dà del tu a Dio,
Centro Ambrosiano 2019, € 11,50.
La quarta edizione del libro che contiene il racconto degli ultimi tre anni di Lucia, inframmezzato da alcune sue poesie. Il titolo è tratto da quella intitolata Amore lontano.
La quarta edizione del libro che contiene il racconto degli ultimi tre anni di Lucia, inframmezzato da alcune sue poesie. Il titolo è tratto da quella intitolata Amore lontano.
Avevo letto sul tuo blog l'articolo su Alessandro Galimberti e la sua vita e la sua testimonianza mi avevano colpito molto, ora lo stesso con la figura di questa ragazza salita in Cielo così giovane, che era nata giusto qualche anno prima di me. Ringrazio il Signore per questo blog e per i doni che ti ha fatto a Emilia! :-)
RispondiEliminaSì, hai proprio ragione! Spero di continuare così anche l'anno prossimo.
EliminaSono passati ormai 22 anni ma ricordo come se fosse ieri la sua agonia perche'mia era ricoverata dove lavoro io e il suo funerale, Lucia era una ragazza dolcissima insegnava danza alle ragazzine delle medie e come tutta la sua famiglia aveva sempre il sorriso, ora danzera' i cielo insieme al suo caro pspa'
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