Don Pietro Gonella: il sacerdozio come offerta per il bene di tutti
Immagine scansionata dalla copertina del libro Sacerdote di sangue |
Chi
è?
Pietro
Gonella nacque ad Antignano d’Asti, precisamente nella borgata Perosini, il 14
settembre 1931, primogenito di Pierina ed Enrico Gonella, contadini. Frequentò
le scuole elementari al suo paese, dovendo ripetere la quinta elementare perché
troppo piccolo per lavorare nei campi. Era intelligente, volenteroso e gentile.
Un
giorno, quando aveva undici anni, ricevette a scuola la visita del parroco di
Antignano, don Stefano Torchio, il quale domandò ai ragazzi se qualcuno volesse
entrare in Seminario: Pietro rispose di sì. Consigliato dai genitori, entrò
quindi nel Seminario Vescovile di Asti: lì cominciò la formazione, aiutato dal
nuovo direttore spirituale, don Angelo Fasolio.
Nel
settembre 1979, in I Liceo, Pietro svenne, ma non si preoccupò del proprio
stato di salute. Chiese aiuto solo il mese dopo, perché i suoi piedi erano
molto gonfi. Ricoverato all’ospedale di Asti, ebbe la diagnosi di nefrite
acuta; successivamente divenne nefrosi lipoidea con elefantiasi e anchilosi degli arti inferiori.
Il
28 ottobre 1979, Pietro si mise a letto: non si alzò mai più.
Desiderava guarire, ma dopo un pellegrinaggio a Lourdes, nel 1952, si dispose a
compiere al meglio la volontà di Dio, anche se questo avesse comportato non
guarire.
Trascorreva
il suo tempo leggendo testi di spiritualità, pregando col Rosario e col
Breviario, scrivendo lettere e ascoltando la radio per tenersi aggiornato sulla
cronaca civile ed ecclesiale. Continuò a restare in contatto con i suoi
compagni di Seminario, che col passare del tempo erano diventati sacerdoti.
I
precedenti di don Antonio Loi, a Iglesias presso Cagliari, e di don Cesare
Bisognin, a Torino, entrambi gravemente malati e ordinati sacerdoti con
dispensa speciale, diedero a Pietro nuova speranza. Una raccolta di firme per
ottenere la sua ordinazione fu presentata al vescovo di Asti, monsignor Nicola
Cavanna, che diede il proprio benestare. Pietro, invece, scrisse direttamente a
papa Paolo VI.
Il
23 settembre 1978, in casa propria (si era trasferito ad Asti nel 1974), fu
ordinato sacerdote. Fino alla sua morte, avvenuta nell’ospedale di Asti poco
dopo l’una di notte del 28 dicembre 1979, celebrò Messa almeno
quattrocentocinquanta volte e ascoltò, come già faceva prima, le confidenze e
le preoccupazioni di moltissimi fedeli.
Gli
amici di don Pietro hanno promosso l’avvio della sua causa di beatificazione,
ma dopo il nulla osta, datato 1° giugno 1988, non ci sono stati sviluppi.
Cosa
c’entra con me?
Don
Pietro sarebbe rimasto per me un totale sconosciuto se, dopo che alcune suore
mi parlarono di don Cesare Bisognin, non mi fossi messa a cercare
informazioni a suo riguardo. Non ricordo più dove, ma avevo trovato un articolo
in cui, appunto, a don Cesare era affiancato don Pietro.
Ho
provato a cercare anche su di lui, trovando che esisteva un piccolo libro su di
lui. L’ho ordinato quasi subito, portandolo con me nelle vacanze natalizie del
2008. La commozione mi fu favorita dallo stile dell’autore, ma anche dalle
circostanze della sua storia, in cui ebbe grande parte la devozione mariana.
Don Pietro, infatti, amava molto la Vergine Maria: sin da piccolo pregava
spesso nel santuario del Vallone di Antignano dedicato alla Madonna della
Mercede; del resto era stato battezzato il 24 settembre, giorno in cui la si
festeggia con quel titolo.
La
definizione che lui diede della propria condizione mi raggelò. Nella lettera del
15 maggio 1957 ad alcuni seminaristi di una congregazione religiosa – era a
letto già da sette anni – afferma infatti che il Signore l’aveva reso «sacerdote
di sangue». In altri casi avevo sentito parlare di «sacerdozio di desiderio»,
né più né meno di quel che si afferma quando qualcuno muore senz’aver ricevuto
il Battesimo, pur volendolo ardentemente. Si parla anche di «Battesimo di
sangue» nel caso di catecumeni che sono morti da martiri, come Xi Guizi, santo ucciso
in Cina durante la rivolta dei Boxer.
Evidentemente,
Pietro (non ancora don) intendeva paragonare il suo stato di salute a un
martirio non meno cruento. Non poteva stare in piedi e aveva le inevitabili
piaghe, anche sulle gambe. Veniva curato dai familiari, compresa la madre, che
però morì dopo il suo primo viaggio a Lourdes. In effetti, si era pensato di
ricoverarlo al Cottolengo di Torino, ma lui non voleva abbandonare i suoi cari.
Eppure, nelle sue lettere, a più riprese afferma di essere sereno, lieto,
abbandonato in Dio.
Nel
giugno 2009 ho scritto la mia prima lettera a Paolo Risso, insegnante in
pensione e autore del libro che avevo ordinato. Nel corso della nostra
corrispondenza, gli ho riferito di aver molto apprezzato la figura di don
Pietro e desideravo saperne di più.
Ho
ricevuto quindi la raccolta delle sue lettere e un altro volumetto dove si
parlava di lui, di don Cesare, di don Antonio Loi e di don Fiorenzo D’Alessandri,
il cui caso è leggermente diverso: la sera stessa della Prima Messa ebbe un fastidio
alla lingua, poi scoprì che era un papilloma molto raro.
L’amicizia
tra Risso e il seminarista è nata l’8 marzo 1976, favorita dal fatto che don
Angelo Fasolio, direttore spirituale nel Seminario di Asti, era anche
assistente ecclesiastico dell’Associazione Maestri Cattolici della stessa
diocesi. In un momento di particolare sconforto, il professore fu consolato da
lui: gli ricordò come tutti abbiamo una Mamma, sotto il cui manto doveva porsi.
Nel
corso delle mie ricerche, tra le scarne note che avevo trovato in Internet,
c’era la menzione del nulla osta per l’avvio della causa di beatificazione e
canonizzazione di don Pietro. Chiesi spiegazioni al professor Risso, tanto più
che era il segretario dell’Associazione Amici di don Pietro Gonella.
Non
ricordo le sue parole esatte, ma avevano un palese tono di rammarico:
evidentemente, l’interesse su di lui e la sua fama di santità si erano
praticamente estinti, tanto più che nessun volume che lo riguarda è più in catalogo (ma qualcosa, a cercare online, si può trovare come usato). Per questa ragione, decisi di dedicargli una scheda biografica per santiebeati.it,
inserendolo tra i Servi di Dio per via dell’esistenza del nulla osta.
Il
ricordo di don Pietro è diventato importante anche per me. Molto spesso ho
rammentato la sua definizione per cui un sacerdote è valido se le pagine del
suo Breviario sono consumate e la sua corona del Rosario cade a pezzi. Anzi, una
volta ho perfino controllato se per un prete che conosco era così, trovandomi
confermata in tal senso.
Mi
è poi venuto naturale riportarlo nell’elenco di sacerdoti diocesani ordinati con dispensa
che avevo stilato quando avevo sentito la notizia relativa a don Salvatore
Mellone. A ciascuno
avevo attribuito una definizione sintetica: lui era «quello che ha atteso più a
lungo» perché, di fatto, erano trascorsi trent’anni dall’inizio della malattia
all’ordinazione.
Col
passare del tempo, ho appurato che anche per quel sacerdote di Barletta stava
accadendo qualcosa di simile a quel che successe a don Pietro: l’uscita del
libro con le sue omelie, l’inaugurazione della pagina Facebook, l’Adorazione
Eucaristica mensile per i malati, gli interventi pubblici di parenti e amici.
Mi auguro che dalle sue parti siano più continuativi e non abbandonino il
racconto di quanto ha testimoniato.
Ho
avuto almeno un paio d’occasioni per presentare don Pietro più compiutamente da
queste parti. Anzitutto, tramite la Via Crucis dei giovani sacerdoti e
seminaristi “in Cielo”, ma poi l’ho accantonato: sia per ragioni anagrafiche
(avendo trascorso trent’anni a letto, è morto a quarantott’anni compiuti), sia
perché sentivo di dover presentare anche personaggi di nazionalità non
italiana.
La
seconda è avvenuta quando ho avuto notizia dell’ordinazione di don Michał Łos,
orionino polacco, malato di tumore in fase terminale. Mi sono però ricordata
che quest’anno sarebbe caduto il quarantesimo anniversario della morte di don
Pietro, per cui ho atteso fino a oggi. Ho comunque ricordato don Michał nel
post sul giovane camilliano Nicola D’Onofrio.
Quanto
agli aspetti in cui sento di assomigliargli, credo che siano la passione per la
lettura e l’interesse per l’attualità ecclesiale: come scrivevo nel paragrafo
di sintesi biografica, ascoltava spesso la radio; leggeva anche il quotidiano L'Italia, poi diventato Avvenire. Grazie ai suoi
corrispondenti, riceveva riviste e libri, tramite i quali scoprì di essere a
sua volta affine al suddiacono francese Joseph-Marie Girard, a santa Teresa di
Gesù Bambino e a san Gabriele dell’Addolorata.
I
suoi legami nella Comunione dei Santi toccano anche molti suoi contemporanei in
fama di santità, per non dire riconosciuti Beati o Santi: non solo i Papi della sua
vita, ma anche padre Pio da Pietrelcina e monsignor Luigi Novarese (beatificato
nel 2013), fondatore del Centro Volontari della Sofferenza, cui in spirito
sentiva di appartenere; gli scrisse più volte. Sempre tramite i suoi
corrispondenti, aveva letto alcuni piccoli libri scritti da Giacomo Gaglione, Terziario francescano casertano, malato di poliartrite dal 1912 (Venerabile
dal 2009).
La
sua spiritualità mariana si nutriva poi del Trattato
della vera devozione a Maria di san Luigi Maria Grignion de Montfort, cui a
sua volta si rifà il movimento della Legio Mariae: Pietro era membro ausiliario
del Praesidium (l’unità di base della Legio) di Asti.
Il
suo Vangelo
Don
Pietro ha innegabilmente vissuto il Vangelo con una connotazione dolorosa, ma
non doloristica. Sapeva che la sua chiamata non era più al sacerdozio esercitato, ma vissuto nel suo intimo significato: offrirsi con Gesù per il bene delle
anime.
L’ordinazione
speciale è stata un dono ulteriore, che l’ha portato a esclamare, nella lettera
del 28 ottobre 1978, il suo trentesimo «compleanno di letto» come lo chiamava
lui:
Sono immensamente felice, perché questo è un miracolo,
ogni giorno celebro la Messa qui, dal mio lettino e offro Cristo e me con Lui
per il mondo intero. C’è da sognare, c’è da scoppiare per la gioia, c’è
soltanto da ringraziare e benedire il Signore, perché Lui, oltre il nostro
niente, oltre il nostro dolore e la nostra morte, fa fiorire la speranza e la
speranza è come la primavera: fiorisce sempre.
Il
miracolo che gli fu concesso avviene anche in circostanze meno eccezionali,
ogni volta che qualcuno, più o meno giovane, riceve l’Ordine Sacro. Ricordarlo
fa bene anche a chi sacerdote non è.
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