Squarci di testimonianze #34 – L’abbandono in Dio di don Alessandro Porciatti

In questi giorni di vacanza avrei voluto cercare di scrivere qualcosa di più leggero o distensivo, ma non volevo lasciar passare troppo tempo per ricordare un anniversario non importante a livello mondiale o nazionale, ma collegato a una promessa che avevo fatto, in memoria di un incontro avvenuto in modalità inconsuete.

Nel marzo 2015 vidi, nella vetrina della libreria San Paolo di Milano, un libro dalla copertina rosa, su cui spiccava un bonsai. Più che il titolo, A un passo da te, mi colpì il sottotitolo: Viaggio di don Alessandro tra malattia e rinascita. Dopo aver letto la sinossi, mi fu chiaro che si trattava, ancora una volta, dell’esperienza di un sacerdote giovane, colpito da una malattia grave: nel suo caso, leucemia linfoblastica acuta. A differenza di altre storie che conoscevo, però, era subito messo in chiaro che il protagonista era vivente.

Per l’ennesima volta, mi trovai combattuta se comprarlo o meno. Da una parte volevo saperne di più, dall’altra venivo scoraggiata dal pensiero che dovevo smetterla d’interessarmi ai preti giovani, specie a quelli malati.

Alla fine mi decisi: comprai il libro e lo lessi nel giro di poco tempo. Col procedere nella lettura, mi venne da gioire per i progressi nelle cure, da sperare insieme ai comparrocchiani e agli amici che pregavano per lui, da arrabbiarmi quando il trapianto di midollo osseo sembrava non aver attecchito. Credo che proprio il sentirsi accompagnato l’abbia salvato dallo scoraggiamento.

Qualche tempo dopo, iniziai a pensare di scrivergli per raccontargli le mie impressioni. Avevo avuto lo stesso pensiero nei confronti di don Salvatore Mellone, ma nel suo caso avevo preferito ricorrere all’Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, per evitare di metterlo in imbarazzo o di risultare importuna.Per don Alessandro, invece, pensavo che la questione fosse leggermente diversa, se non altro perché aveva avuto un risalto mediatico assai inferiore: di lui si era occupata solo Padre Pio TV, con un'intervista all’autore del libro.

Ho trovato quel filmato iniziando le mie ricerche. Dalla mia avevo pochissimi indizi: il titolo del libro, il nome e il cognome dell’autore, Giovanni Gennai, e il soprannome del sacerdote. Non era il solito “Ale”, “Alex” o “Sandro” con cui si abbrevia Alessandro, ma “Dando”, come il gerundio presente del verbo “dare”. Ho sempre avuto una simpatia per quel modo verbale indefinito, specie quando indica un’azione che avviene durante quella espressa dal verbo della proposizione principale.

Così mi feci coraggio e misi insieme i dati. Uno dei primi risultati, se non il primo, fu sul sito della diocesi di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino. Lì scoprii che di cognome faceva Porciatti, che era nato a Poggibonsi il 26 novembre 1983 (quindi era poco più grande di me) e che era stato ordinato sacerdote l’11 giugno 2010. C’erano perfino il suo indirizzo di casa, il numero di telefono e l’e-mail.

Appuntai quei dati sull’ultima pagina del mio libro, poi abbozzai il testo della mia lettera. Aprii la posta elettronica e gli scrissi, alle 18:49 del 25 luglio 2015; ho riportato quasi integralmente le mie riflessioni nel quarto paragrafo.

La sua risposta, arrivata alle 16:43 del giorno dopo, fu inaspettata sia nella rapidità sia nel contenuto:

 

Carissima Emilia, la ringrazio per la sua mail,

Le rispondo molto velocemente perché purtroppo in questo periodo mi trovo ancora a lottare con radioterapie e chemioterapie per una recidiva della malattia e non sto tanto bene!

Le chiedo di pregare per me, perché sia fatta sempre la volontà di Dio e io mi possa abbandonare a Lui!

        

La benidico [sic] in comunione di preghiera!  Don Alessandro

 

Rimasi sbigottita a leggere quelle parole: ancora una volta, mi sembrava che il solo essere entrato in contatto con me aveva portato un guaio nella vita di un giovane prete. Immediatamente, scacciai quel pensiero tremendo: tenni invece fede al mio impegno, specie il giorno del suo onomastico, il 26 agosto.

In quel giorno, o comunque in quelli immediatamente successivi, volli controllare se c’erano notizie a suo riguardo. Non erano buone: don Dando era morto nella notte tra il 15 e il 16 agosto, quindi dieci giorni prima.

Un’altra pagina, quella di Open Church, un’iniziativa di Adorazione Eucaristica notturna che si svolgeva in quella stessa chiesa (se tanto mi da tanto, doveva essere una sua idea: in uno dei primi capitoli del libro se ne descrive una, risalente al primo ricovero), presentava il suo testamento spirituale del sacerdote, che ripropongo così come l’ho trovato:

Per qualche giorno mi domandai se fosse il caso di dedicargli almeno un post, se non un profilo biografico. Dato che la storia del già citato don Salvatore era relativamente fresca e non volevo annoiare i miei lettori con una molto simile, lasciai perdere. Feci però una promessa sulla memoria: non avrei dimenticato neppure don Alessandro e, a cinque anni dalla sua morte, magari con qualche riferimento in più, avrei scritto di lui.

Cinque anni sono passati ed eccomi qua. Ho riletto A un passo da te, anche se il mio solito detrattore interiore voleva convincermi a cambiare nuovamente idea: in fin dei conti, tra Milano e Poggibonsi, il «paese dal buffo nome» come lo chiama Gennai, c’erano chilometri di distanza. Inoltre, forse avrei fatto meglio a riprendere la ricerca dei canti eseguiti da cori virtuali, tanto più che il Governo ha recepito le richieste della Conferenza Episcopale Italiana, ammettendo il ritorno dei cori nelle celebrazioni liturgiche.

Quando ho letto che don Dando ha avuto le prime avvisaglie della LLA durante il Triduo Pasquale del 2012 e, ancora di più, che il suo ricovero è avvenuto il giorno di Pasqua di quell’anno, ho avvertito che il legame con me c’era, eccome: sul finire di quello stesso giorno avevo pubblicato il mio primo post

Già durante i giorni della quarantena, quando sentivo parlare di medici e infermieri, pensavo a quelli che si erano presi cura di lui, come il libro riferiva. Rileggendolo, ho sentito la sua esperienza ancora più vicina, se non altro per le precauzioni che ora dobbiamo prendere tutti, tra mascherine, igiene personale e domestica e distanza dai nostri amici.

E poi non posso tacere che, nella descrizione dei suoi momenti in ospedale, compresi quelli più delicati, ho trovato consonanza con gli scritti di un altro Alessandro che porto nel cuore (mi spiace non averglielo fatto conoscere): anche lui era malato nel sangue e desideroso di far capire che Dio non lascia solo nessuno.

Tramite Facebook, ho scoperto che alle 21.30 di stasera, nella chiesa dello Spirito Santo a Poggibonsi, il vescovo di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino, monsignor Augusto Paolo Lojudice, presiederà la Messa in suffragio di don Alessandro.

In spirito ci sarò anch’io, che domando scusa a tutti i suoi amici se mi sono intromessa in questa vicenda. Come scrive Giovanni Gennai – sarebbe bello che ora gli dedicasse un altro libro, raccontando la vita del suo amico sacerdote prima della malattia e, magari, anche i suoi ultimi giorni – ci sono storie che non vanno nascoste né dimenticate: ecco, penso che la sua sia una di queste.

Nelle mie ultime ricerche ho trovato il video di una testimonianza che don Dando ha offerto in occasione di un viaggio a Lourdes: se ho capito bene, era molto legato all’Unitalsi Toscana. Concludo con questo e con le parole della sua Lettera Aperta ai Giovani, datata 2014, incluse nel post con cui si annunciava la Messa di questa sera:

Sono diventato prete per cercare di non porre nessun limite alla mia considerevole sete di Amore per gli altri, per questo la mia casa è sempre aperta per due parole, una preghiera, un caffè, un gelatino, un po' di lacrime e tanti sorrisi, perché in fondo essere cristiani vuol dire essere felici insieme...

Vi prometto che nelle mie preghiere sarete sempre tutti presenti.

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