Nerino Cobianchi, il pendolare appassionato della missione e della carità
Foto di Nerino, usata per il suo ricordino funebre
e per l’immaginetta contenente notizie biografiche e la preghiera per chiederne l’intercessione |
Chi è?
Nerino Cobianchi nacque a Velezzo Lomellina, in provincia di Pavia, il 25 giugno 1945, primogenito di Agostino Cobianchi, contadino, e Dosolina Piva, operaia manufatturiera. Visse con i genitori e la sorella minore Anna a Lomello, dove frequentò i primi anni delle elementari e si accostò ai Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana: il 26 marzo 1953 la Prima Comunione e, il 19 aprile dello stesso anno, la Cresima; entrambe nella chiesa parrocchiale di San Michele a Lomello.
Nell’ottobre 1955 iniziò la quinta elementare nel Seminario di Vigevano, ma per le medie, su consiglio del suo parroco e per venire incontro alle possibilità finanziarie della famiglia, studiò nel Seminario Minore dei Padri Somaschi a Cherasco (Cuneo). Pur essendo affascinato dalla figura del sacerdote, comprese di non dover seguire quella strada: frequentò allora le Scuole Tecniche all’Istituto Robecchi di Vigevano.
Dai diciassette anni lavorò presso la ditta MAREL di Vigevano, ma durante il servizio militare venne a sapere che la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde (Cariplo) aveva indetto un concorso per impiegati: lo vinse e, a partire dal febbraio 1968, fu assegnato all’Ufficio per il Personale. Rimase nella stessa banca fino alla morte, aiutando i colleghi nelle loro difficoltà e promuovendo momenti di preghiera per loro, nel vicino santuario di San Giuseppe.
Il giorno di San Valentino del 1965 conobbe Graziella Vitulo: la sposò il 5 settembre 1970 e da lei ebbe due figli, Elena e Andrea. Nel novembre 1974 si trasferì con la famiglia a Cilavegna: s’inserì nella vita della parrocchia dei SS. Pietro e Paolo, coinvolgendo specialmente i giovani, a partire dagli scout, in iniziative caritative inedite per l’epoca e per il territorio lomellino.
La morte di suo padre, avvenuta all’improvviso e senza che nessuno ne vegliasse il cadavere, lo scosse a tal punto da impegnarsi a fare di tutto per alleviare le solitudini dei fratelli. Nei primi anni Ottanta diede vita, tra i suoi colleghi di lavoro, all’Associazione Teresio Olivelli; nello stesso periodo, in parrocchia, avviò il Gruppo di Sostegno Padre Pianzola, che dal 14 marzo 1986 si trasformò nella Caritas Parrocchiale Padre Pianzola. Entrambi gli organismi servivano per sostenere situazioni di bisogno, in collaborazione con altre esperienze caritative del tempo, attive in Italia, nel resto d’Europa e in Africa. Il 25 novembre 1989 quelle realtà si fusero nell’Associazione Pianzola Olivelli.
Nella partecipazione quotidiana alla Messa e nella preghiera del Rosario, Nerino sapeva di trovare le sorgenti del suo impegno e di quello dei volontari che l’affiancavano. Durante un’intensa preghiera presso il santuario della Madonna della Guardia a Genova, capì di non dover più raccogliere solo beni e fondi, ma di ricercare e curare i poveri, per quanto possibile.
Non smise di sostenere le attività dell’associazione neanche quando, nel gennaio 1997, gli fu diagnosticato un tumore alla testa del pancreas, inoperabile. Lo visse consegnandosi, ancora una volta, alla Provvidenza divina.
Prima della morte, sopraggiunta alle 18 del 3 gennaio 1998, poté realizzare il sogno di vedere da vicino il Papa san Giovanni Paolo II e vide inaugurata la Casa di Accoglienza per giovani, donne e bambini vittime della guerra o coinvolte nella tratta di persone.
L’inchiesta diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione su vita, virtù e fama di santità del Servo di Dio Nerino Cobianchi si è aperta nella diocesi di Vigevano, con la prima sessione celebrata il 6 giugno 2020 presso il Palazzo Vescovile; si è conclusa oggi, 2 ottobre 2021, con l’ultima, svolta nella Cattedrale di Vigevano.
Cosa c’entra con me?
Non riesco a ricordare il giorno esatto in cui ho trovato la biografia di Nerino, ma il luogo sì: era nei pressi della chiesa o più probabilmente dell’oratorio di San Francesco d’Assisi al Fopponino, a Milano. Forse era il 21 maggio 2017, giorno in cui mi trovavo lì per un incontro di preghiera, o era l’anno precedente, per la vendita di torte in collaborazione con la mia parrocchia, in vista della partenza per la GMG di Cracovia. Di certo, ricordo che ho preso il libro anzitutto perché incuriosita dal nome del soggetto biografato: mi sembrava un evidente e forse involontario ossimoro (Nerino Cobianchi… capito, no?).
Nel libro c’erano molti bollettini postali precompilati con
scritto “Associazione Pianzola Olivelli”: mi sono chiesta perché intitolata proprio
a quei due personaggi, che almeno di fama conoscevo (ma al momento qui ho
scritto solo del primo).
Perché lo leggessi avrebbero dovuto passare almeno
tre anni. Il 24 gennaio 2020, proprio quando stavano iniziando a diffondersi le
prime, allarmanti notizie relative al coronavirus, mentre scorrevo la pagina
principale di Facebook, è comparsa una notizia dalla fanpage ufficiale del
Beato Teresio Olivelli: il 31 marzo sarebbe stata aperta l’inchiesta diocesana
di Nerino.
Subito mi è tornato alla mente il libro: l’ho preso
dallo scaffale dove l’avevo posto (non a prendere polvere, ma… il sole, tant’è
che parte della copertina è leggermente sbiadita) e ho cominciato a leggerlo
mentre facevo una delle prime code per entrare da qualche parte. Precisamente,
si trattava di una filiale della Banca Intesa, che com’è noto ha assorbito da
anni la Cariplo: quando sono arrivata al punto in cui si parlava dell’assunzione
di Nerino, ho pensato che fosse una coincidenza quasi buffa.
Procedendo, ho ricordato di essere passata a mia
volta per la sede centrale della Cariplo in via Verdi, più o meno all’inizio
del mio percorso universitario, per incassare parte della borsa di studio cui
avevo diritto. In quella medesima circostanza, avevo sostato nella chiesa di
San Giuseppe, che è davvero vicinissima.
La biografia raccontava, infatti, che Nerino la frequentava quotidianamente: partecipava alla Messa delle 8 e recitava il Rosario alle 13.15, insieme ai colleghi coi quali aveva formato un gruppo di spiritualità nel quale si rifletteva anche sulla Parola di Dio. Conteneva anche una testimonianza di monsignor Giuseppe Maggioni, diventato Rettore di San Giuseppe nel 1987: Nerino lo aveva avvicinato quasi subito per chiedergli di tenere aperta la chiesa praticamente tutto il giorno, per favorire la preghiera dei dipendenti della banca.
Nelle altre testimonianze di quanti l’avevano conosciuto nell’ambiente lavorativo era citato un certo dottor Roncareggi. Anche quello era un cognome a me non ignoto: si trattava di Angelo, padre di Lucia Roncareggi, una giovane di Bresso della quale avevo letto la biografia e le poesie. Anche lui ha consegnato ai biografi di Nerino un suo ricordo, legato anche ai pellegrinaggi aziendali a Lourdes, di cui si era fatto promotore; meno male, visto che, essendo deceduto prima dell’avvio della causa, non ha potuto testimoniare.
Quanto agli aspetti del Servo di Dio che avevano suscitato
il mio interesse, oltre al modo di vivere il lavoro, c’era quello relativo alla
facilità di tessere legami tra le sue associazioni ed esperienze di carità
attive su tutto il territorio nazionale, i cui iniziatori, in alcuni casi, sono
o sono stati a loro volta oggetto di cause di beatificazione e canonizzazione.
Aveva iniziato nel 1982, coinvolgendo i suoi giovani in una visita al Rifugio voluto da fratel Ettore Boschini (la cui causa è tuttora in corso nella fase diocesana), il quale era poi venuto a Cilavegna. Nello stesso anno aveva iniziato a sostenere don Vittorio Pastori, alias don Vittorione (varesino di nascita, trasferitosi a Piacenza, poi partito per Gulu in Uganda), avviando una raccolta di riso e saponette, specie nelle scuole della Lomellina.
Il 3 febbraio 1984 promosse poi un incontro, presso il palazzo polifunzionale di Cilavegna, con don Enzo Boschetti, fondatore della Casa del Giovane di Pavia (attualmente Venerabile).
Il 1993 vide invece l’inizio della collaborazione con don Antonio Mazzi e il Gruppo Exodus: alcuni giovani di quella comunità partirono con lui per Zagabria, durante la guerra nella ex-Jugoslavia, mentre altri contribuirono materialmente all’edificazione della Casa di Accoglienza.
Perfino santa Teresa di Calcutta fu raggiunta da lui: l’incontrò a Roma il 7 dicembre 1993 per consegnarle il denaro raccolto a favore dei terremotati dell’India. Si trovarono subito in perfetta sintonia, cementata da un Rosario recitato insieme, nei viali del giardino della casa delle Missionarie della Carità.
Il suo senso di carità era, comunque, perfettamente
ecclesiale: si spiegano così i contatti con monsignor Giovanni Nervo, all’epoca
vicepresidente di Caritas Italiana, e col cardinal Alexandro do Nascimento, arcivescovo
di Luanda e presidente di Caritas Internationalis, grazie al quale l’Associazione
finanziò dei Centri d’Aiuto alla Vita in Angola e che fu tramite per un altro
incontro, quello col cardinal Carlo Maria Martini, a Milano.
Nerino, però, si sentiva in comunione con due esempi illustri della santità lomellina, confermati con le relative beatificazioni. Come ho appurato dalla lettura, lui non aveva usurpato i nomi degli allora Servi di Dio Francesco Pianzola e Teresio Olivelli, ma aveva cercato in loro dei veri esempi per la propria azione e, ancora prima, per la vita.
Mi viene da immaginare che dal primo volesse assumere una passione missionaria capace di coinvolgere anzitutto i giovani, mentre dal secondo intendesse ereditare la capacità di compiere tutto il bene possibile, arrivando anche, se necessario, al sacrificio.
Il 5 marzo 2020, in pieno lockdown, ho cominciato ad abbozzare un possibile profilo biografico da mandare a santiebeati.it, anche se, com’era facile immaginare, temevo che l’inchiesta diocesana non sarebbe stata aperta nella data prevista. Mi era venuta anche un’idea: sarebbe stato il caso d’informare anche qui in diocesi che la causa di Nerino era in corso, visto che aveva lavorato a Milano. In più, sarebbe stato ottimo avere i santini con la preghiera per chiedere la sua intercessione e lasciarne un po’ nella chiesa, anzi, nel santuario di San Giuseppe, ovviamente col permesso del Rettore.
Ho quindi telefonato all’Associazione Pianzola
Olivelli, immaginando (avevo ragione) che fosse anche la parte attrice della
causa. Mi è stato dato il numero dell’attuale presidente, il quale si è
rivelato davvero molto gentile e disponibile. Mi ha risposto che i santini c’erano,
ma ovviamente non sarebbero stati distribuiti se non dopo la prima sessione
dell’inchiesta, destinata a slittare almeno a metà aprile; anche il profilo biografico
avrebbe dovuto essere pubblicato in quell’occasione.
Per non avere problemi, mi sono rivolta anche al
postulatore, che già mi aveva aiutata al momento della beatificazione di
Olivelli, aggiornando la sua pagina di santiebeati. Anche lui mi ha
risposto quasi subito, il 23 marzo, dicendosi a favore dell’informare anche a
Milano circa la causa, mentre riguardo al profilino ha assicurato che ci
avrebbe pensato lui.
Alla fine la prima sessione è stata celebrata, come
preannunciato da una tempestiva mail dell’Associazione, il 6 giugno; i santini
mi sono stati spediti poco dopo. Tuttavia, non sono ancora riuscita a passare
per il santuario di San Giuseppe, o meglio, lo scorso anno, a luglio, ci sono
stata, ma ho trovato chiuso.
Nel frattempo, ha iniziato a emergere in me un altro pensiero: avrei potuto parlare di lui in occasione del mese missionario. Neanche a farlo apposta, l’Associazione ha inviato un’altra comunicazione, nella quale riferiva che l’ultima sessione si sarebbe svolta proprio oggi.
Cosa c’entra con san
Giuseppe?
Nerino rientra benissimo anche nel progetto che mi sono fissata quest’anno, ossia trovare nei personaggi che tratto, quando possibile, o indizi riguardanti una particolare devozione a san Giuseppe, o affinità tra il soggetto del post e lui, se non entrambi.
Questo è proprio il suo caso, a cominciare dalla
frequentazione del santuario adiacente alla sede centrale della Cariplo. Da san
Giuseppe, Nerino ha assunto anche la serietà nell’impegno sul lavoro e la
disponibilità ad ascoltare i colleghi, a cui prometteva immancabilmente che
avrebbe pregato per loro.
Anche la sua attenzione per i giovani, che non
vedeva solo come forza-lavoro per le iniziative, rientra in un aspetto del
Custode del Redentore che aveva fatto suo: memorabile era stato il suo
intervento durante una sessione del Consiglio Pastorale, nel 1997, in cui aveva
auspicato una task-force formata da collaboratori giovani, religiosi e anche da
un paio di seminaristi, per fare in modo che l’Oratorio Divina Provvidenza
diventasse la casa comune di tutti i giovani cilavegnesi.
Come padre di famiglia, invece, sentiva di dover
riservare del tempo per i suoi figli, coi quali giocava organizzando, specie in
inverno, delle gare a punti, che si concludevano con la lettura di un brano
della Bibbia adattato per i bambini. A Elena e Andrea non imponeva nulla, anzi,
li ascoltava e li lasciava liberi di decidere. Anche se il suo stipendio era buono,
faceva in modo che la famiglia non vivesse in un lusso esagerato.
Infine, anche nelle difficoltà, sapeva che Dio non avrebbe fatto mancare la Provvidenza a lui, che cercava di essere a propria volta segno di quell’amore senza limiti per chi, distante spesso chilometri, sentiva ugualmente come proprio fratello e sorella.
Il suo Vangelo
La storia di Nerino è particolarmente efficace in questo mese di ottobre, tradizionalmente dedicato alle missioni, e può valere anche come esemplificazione dell’intenzione mensile proposta alla Rete Mondiale di Preghiera del Papa da parte del Santo Padre stesso. Lui, infatti, si è sentito pienamente coinvolto nell’evangelizzazione per la missione: attraverso la vita oratoriana e parrocchiale, sul posto di lavoro, tra i suoi cari.
La figlia ha raccontato che ogni giorno, dopo essere
arrivato a Milano in treno, lui partecipava a tre Messe: una a Sant’Ambrogio,
una in Duomo e una a San Giuseppe. Altrettanti erano i Rosari, a cui invitava
anche gli altri pendolari (che coinvolgeva sovente anche nella preparazione del materiale per le campagne di raccolta fondi) e colleghi. In questa preghiera prolungata, chiedeva
a Dio di benedire i suoi progetti, il cui unico scopo era alleviare le
sofferenze dei fratelli.
La diocesi di Vigevano, nell’inchiesta che si è
conclusa oggi (al termine del paragrafo, il filmato della chiusura), si è
quindi fatta carico di verificare, con serietà, se la testimonianza di quest’uomo
avesse davvero il sapore del Vangelo. I suoi amici, destinatari della sua
ultima lettera, ne sono stati davvero convinti, altrimenti si sarebbero accontentati
di ricordarlo come una persona buona e non avrebbero investito tempo e risorse.
Proprio da quel messaggio traggo le parole che,
quasi come un testamento, il Servo di Dio lascia a chiunque voglia prendere
almeno spunto da lui:
Nessuno al mondo è mai riuscito a battere in generosità Nostro Signore e
Lui che tutto legge nel profondo del cuore, vi donerà il cento per uno su
questa terra e... a suo tempo vi verrà incontro a braccia aperte dicendo:
“Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per
voi fin dalla fondazione del mondo.
Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare...”
Per saperne di più
Don Mario Tarantola – Maria Angela Paesan, Nerino Cobianchi – Missionario della carità, Gribaudi 2009 (ristampa febbraio 2020), pp. 130, € 11,50.
Biografia uscita poco dopo i dieci anni dalla sua morte, ristampata in occasione dell’inizio della sua causa.
Franca Comeglio (a cura di), Nerino “folle” di Dio, Associazione Pianzola Olivelli 2003 (terza ristampa 2019), pp. 112.
Una sintesi della sua vita e di quella dell’Associazione, con fotografie, riproduzione di documenti e testimonianze (può essere richiesta all’Associazione stessa, come anche il primo libro).
Su Internet
Pagina su di lui del sito dell’Associazione Pianzola Olivelli
Pagina su di lui del sito della parrocchia dei SS. Pietro e Paolo a Cilavegna
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