Squarci di testimonianze #38: Antonia Salzano Acutis e il segreto del Beato Carlo


Come immaginavo, a ridosso dell’anniversario della nascita al Cielo del Beato Carlo Acutis, nonché giorno della sua memoria liturgica, e a un anno dalla sua beatificazione, a cui ho partecipato, come ho raccontato anche qui (prima, seconda e terza parte), non sono mancate le pubblicazioni e gli articoli a riguardo.

Non intendendo mancare questa ricorrenza, mi sono data alla lettura del libro-testimonianza, uscito per le edizioni Piemme lo scorso 5 ottobre, in cui sua madre Antonia si è affidata a un noto giornalista per raccontare del figlio e di sé.

Leggendo, ho ripensato ai miei incontri con lei, a cominciare dal 13 ottobre 2008, giorno in cui la vidi per la prima volta, alla Messa di suffragio a Santa Maria Segreta. Poi alle Messe negli anni successivi, specie a quella in cui appresi che era incinta degli altri due bambini e a quella in cui m’incoraggiò a non deprimermi se mi sentivo anormale per i miei interessi, tanto simili a quelli del suo primogenito: la tristezza, dichiarò, veniva dal diavolo. Nell’occasione della conclusione dell’inchiesta diocesana, si ricordò di me come collaboratrice di santiebeati.it, mentre alla veglia la sera precedente la beatificazione non riuscii a parlarle, assediata com’era dai giornalisti.

È stato fondamentale, per me, il suo apporto per l’articolo uscito su Sacro Cuore VIVERE e per quello pubblicato sulla rivista degli Amici di Silvio Dissegna; meno per quello su Cattonerd, che comunque spero abbia apprezzato. In tutti quei casi, ho cercato di restituire un ritratto del Beato che divergesse, per certi aspetti, da quello che circola abitualmente, pur senza tradirne l’essenzialità.

Immagino che lei abbia voluto agire allo stesso modo, dando alle stampe queste pagine che devono esserle costate molto. Penso che abbia deciso di offrire quella fatica per ringraziare Dio del dono ricevuto mediante Carlo, che non sarebbe variato, se anche non si fosse deciso di avviare la sua causa.

 

* * *

 

È trascorso ormai un anno da quel 10 ottobre 2020 in cui, ad Assisi, si svolgeva la Messa con la beatificazione di Carlo Acutis. La sua figura, anzi, la sua persona ha suscitato confronti e interrogato le coscienze di tanti, mentre si sono moltiplicati i prodotti editoriali che hanno cercato di approfondirla o di adoperarla, come punto di partenza, per fare conoscere gli elementi di spiritualità che erano tanto cari a quel quindicenne milanese.


In questa linea rientra il volume appena pubblicato da Piemme in cui, dopo numerose interviste e altrettante prefazioni in vari libri, è la stessa madre del Beato, Antonia Salzano Acutis, a descrivere, con l’apporto del vaticanista de La Repubblica Paolo Rodari, quello che, secondo lei, è Il segreto di mio figlio, ovvero, come recita il sottotitolo, Perché Carlo Acutis è considerato un santo. Un’opera che, a dire il vero, presenta elementi che la distinguono nettamente dagli altri tentativi di delineare l’esperienza di fede vissuta da lui, proprio per la narrazione da parte di colei che gli è stata tanto vicina.

In effetti, uno degli aspetti più riusciti è inscindibile dal racconto autobiografico di Antonia, che riemerge a ondate e non sempre, per sua stessa ammissione e non è un demerito, in ordine cronologico. Descrive la sua nascita da una famiglia benestante, nel pieno centro di Roma, l’educazione ricevuta in un istituto di suore della Capitale (con la Cresima ricevuta il 3 maggio 1980 a Cortina d’Ampezzo, presso le Orsoline) e gli elementi di catechismo appresi. Quindi l’adolescenza e la crescita

«senza una vera vita spirituale, senza incrementare un rapporto con Dio che, oggi lo posso dire, è a mio avviso decisivo per ognuno perché ne va della personale realizzazione».

Proprio nell’estate dei suoi quattordici anni, nel 1979, avviene il suo primo incontro con la morte, ad Anzio, quando apprende dell’improvviso decesso di Claudia, un’amica di poco più grande. Anche in mezzo alla desolazione che la coglie, riesce ugualmente a proferire parole di speranza, pur senza sapere come o senza ricordare, a oggi, se ci credesse davvero.

Quindi racconta dell’incontro con Andrea, suo marito, avvenuto a Forte dei Marmi nel 1986, anno in cui avviene anche il loro fidanzamento, poi della laurea di lui in economia politica e del trasferimento a Londra per lavorare in una banca d’affari inglese, dopo il servizio militare svolto prima ad Aosta poi a Roma, tra i Carabinieri, per avvicinarsi alla fidanzata. Lei, intanto, ha seguito un master in economia aziendale e gestione delle imprese editoriali proprio a Londra, per il medesimo scopo.

Il loro matrimonio, avvenuto nella basilica di Sant’Apollinare a Roma il 27 gennaio 1990, è stata una delle tre volte in cui, in tutta la sua vita, Antonia ammette di essere entrata in chiesa, prima che il figlio la cambiasse davvero. La terza è avvenuta il 18 maggio 1991, giorno del Battesimo di Carlo, celebrato nella chiesa londinese il cui titolo, Our Lady of Dolours, ovvero la Madonna Addolorata, oggi le appare come un presagio di quello che l’avrebbe attesa quindici anni più tardi. Con tenerezza e nostalgia rievoca i primi giorni di vita del bambino, seguiti con l’aiuto di Patsy, la “maternity nurse” che le viene assegnata, ma anche con la pazienza del marito, a cui lascia volentieri il piccolo in assenza della bambinaia.

Da allora in poi, il percorso della madre diventa inseparabile da quello del bambino, che quasi subito le pare animato da

«uno spiccato desiderio di spiritualità»,

da

«una sete d’infinito».

Antonia sente che all’epoca la sua fede è ancora acerba, per cui è felice di farsi aiutare, anche su questo aspetto, da Beata, una studentessa polacca, rimasta a casa Acutis dal 1992 al 1996, poco prima del sesto compleanno di Carlo.

La svolta reale nel suo cammino è arrivata grazie all’incontro con don Ilio Carrai, un sacerdote bolognese, già barnabita, circondato da una fama non dissimile, per certi versi, da quella di san Pio da Pietrelcina. Anche Carlo, una volta cresciuto, ha eletto quel sacerdote come direttore spirituale, mentre il suo confessore fisso era un anziano prete residente a Santa Maria Segreta, la sua parrocchia, che oggi celebra la sua memoria liturgica in maniera particolarmente solenne.

La morte del ragazzo, a dire della madre, è stata improvvisa, ma non senza preparazione. Racconta più volte fatti che ora le appaiono come preannunciatori di quello che si è verificato nel giro di quindici giorni. Il primo capitolo e parte del secondo parlano proprio di quel periodo e della luminosità e dell’entusiasmo, più forti che mai, con cui il figlio li ha vissuti. La puntuale indicazione del passare del tempo, in queste pagine, avvince anche il lettore che conosce il dispiegarsi degli eventi, ma non come la donna li ha sperimentati.

Riferisce anche di aver provato a offrire, proprio come aveva dichiarato Carlo, la propria sofferenza per alcune intenzioni specifiche. Nel proprio caso, «affinché vi fosse un sempre maggiore amore verso il sacramento dell’Eucaristia nel popolo di Dio» e «affinché coloro che non avevano potuto conoscere l’amore di Gesù Cristo potessero sperimentarlo almeno una volta nella vita». In particolare, lo aveva chiesto per il popolo ebraico, di cui, da giovane, aveva ammirato la testimonianza di fede.

Sedici anni dopo quei giorni di dolore e di luce, Antonia può affermare serenamente:

«I ricordi annullano la distanza tra presente e passato e diventano un unico tempo. Ed è questo che mi è stato e continua a essere di grande conforto quando penso a Carlo. Se non ci fosse stato il passato, non ci sarebbe il presente, che, a ogni istante, diventa passato. Se oggi come oggi, se ora come ora, ci è possibile, e anche agevole, scrivere sul passato, significa che l’abbiamo trascorso, l’abbiamo costruito, l’abbiamo sfruttato».

La certezza che la Chiesa abbia emesso il proprio giudizio circa la santità di suo figlio costituisce per lei un’altra consolazione, ma non la mette totalmente al riparo dai graffi dolorosi, dal vuoto lasciato. Ha però trovato un certo metodo:

«Quando il ricordo provoca troppo dolore non lo combatto. Lascio che mi investa. Non mi oppongo e non mi difendo. Così, a poco a poco, passa e ritorna la pace».

Oltre che per ripercorrere i ricordi della sua vita con lui, ha accettato questa pubblicazione per ribadire, specie a chi non lo reputa abbastanza normale, che in Carlo erano armonicamente presenti il quotidiano e l’eccezionale, l’Infinito e il finito, il “Su” (verso cui, comunque, tendeva costantemente) e il “giù”.

Lo dimostrano anche le citazioni da alcuni appunti del ragazzo: le sue riflessioni sull’Eucaristia, contenute nell’ultimo capitolo, non figurano di fronte ai passi di san Tommaso d’Aquino e di san Giovanni Crisostomo presentati in parallelo, a cui sicuramente aveva attinto.

Da un lato era inserito pienamente nel suo tempo, da un altro appariva come se guardasse più avanti, mentre da un altro ancora poteva risultare portatore di valori desueti per tanti, anche suoi coetanei, ma non per lui.

Ai lati della sua personalità umana e spirituale che i suoi devoti riconoscono e apprezzano, si aggiungono aspetti finora mai raccontati: la sua attenzione per l’ecumenismo, l’affinità con l’architetto della Sagrada Familia Antoni Gaudí (anche per lui è in corso la causa), ma anche i libri preferiti, quali Il piccolo principe, Nati due volte di Giuseppe Pontiggia o Il gabbiano Jonathan Livingston. È anche sottolineata l’ironia con cui prendeva le distanze dal proprio ceto sociale, che trova il parallelo con la sua sobrietà concreta e col suo attaccamento più alla volontà di Dio che all’amor proprio.

Sono poi ribaditi, attraverso altri ricordi, il suo orrore per la bestemmia, a cui non era disgiunta la compassione per i bestemmiatori, specie se giovani, e il suo disinteresse per forme distorte di sessualità: non era esente da turbamenti, ma sosteneva che non fosse ancora il tempo, per lui, di seguire le abitudini di molti suoi compagni.

Possono apparire meno rilevanti i capitoli in cui vengono presentati i miracoli eucaristici di cui lui andava in cerca, o i racconti delle apparizioni mariane di Fatima o Rue du Bac (luoghi che Carlo e famiglia visitarono), o le visioni del Purgatorio e dell’Inferno, tutti oggetto di uno dei siti e delle mostre ideati da lui stesso. Sono già presenti nella prima biografia, nelle successive riedizioni o comunque in altre pubblicazioni non direttamente collegate alla sua storia.

Viene però da pensare che siano stati inclusi perché Carlo continui la missione che sentiva di aver ricevuto: far conoscere a quante più persone possibile quei segni eccezionali, così da convincerle dell’esistenza di Dio, del suo amore provvidente e presente nell’Eucaristia, ma anche della vicinanza materna della Vergine.

A proposito delle mostre, fa quasi sorridere un fatto riferito nelle primissime pagine. Poco dopo essere tornato dalle vacanze estive, nel settembre 2006, Carlo ricevette per posta un libro dedicato ai santi giovani, dono di un editore amico di famiglia. Lo prese tra le mani e dichiarò alla madre:

«Mi piacerebbe tanto fare una mostra dedicata a queste figure».

Dal 2018 lui stesso fa parte di un allestimento del genere, compreso tra i «Santi della porta accanto» selezionati dal Centro Culturale San Paolo di Vicenza in occasione del Sinodo sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Il suo vecchio sito ufficiale, poi, aveva una sezione intitolata “Scopri quanti amici ho in Cielo”, dedicata proprio a bambini, ragazzi e giovani in fama di santità.

Nell’anno trascorso dalla beatificazione, continuano a circolare, specie sui social media, gli indizi della sua continua intercessione e della diffusione, sempre più globale, del suo culto. Pagine come quelle compilate da sua madre e dal giornalista servano, dunque, a ricordare che i mezzi per santificarsi – infatti, un conto è essere riconosciuti ufficialmente come esempi per la Chiesa, un altro è mirare alla santità, anche se a volte i due aspetti coincidono – sono offerti a tutti, proprio come il Beato Carlo indicava in quella sorta di decalogo citato nel libro e presentato ai bambini dei quali era stato aiuto-catechista.

 

Originariamente pubblicato sul sito de «La Croce Quotidiano» il 12 ottobre 2021, ora non più online 

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