Signore, tendici la tua mano

Manuel Cagide,
Cristo de la mano tendida,
1950, Furelos, chiesa di San Giovanni
Fonte: sito del Capitolo lombardo
della Confraternita di san Jacopo di Compostela


Oggi, per la prima volta, ricorre la Giornata nazionale di preghiera della Chiesa italiana per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili. È un tema che mi addolora molto e contribuisce a far sentire in me la vergogna di cui papa Francesco ha parlato nei saluti dell’Udienza generale del 6 ottobre scorso, riguardo il rapporto promosso dalla Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa in Francia.

Il dolore è tanto più forte perché questa giornata mi ricorda che, dei casi recentissimi avvenuti nella mia diocesi, la maggior parte di essi riguarda sacerdoti con cui ho avuto a che fare.

Il primo è stato a lungo in una parrocchia vicino a dove abitavo e gli ho parlato più volte. Il terzo, invece, l’avevo incontrato in occasione della Settimana pastorale, in cui i seminaristi visitano alcune comunità parrocchiali; ero stata felice, anche per la sua ordinazione, perché veniva dalla parrocchia dov’era stato destinato, da prete novello, un mio vecchio amico. Quanto al secondo, sono ancora oggi in pena perché non ho rispettato la promessa che gli avevo fatto.

Quando ho visto su Fiaccolina, la rivista per ragazzi edita dal Seminario di Milano, il racconto della sua vocazione, mi era sembrato sereno, luminoso, convinto di perseguire la via del sacerdozio per essere felice come il suo parroco. Il giorno della sua ordinazione c’ero anch’io, per festeggiare altri suoi compagni. Ricordo che la tifoseria dei suoi parrocchiani era una delle meglio organizzate e delle più festose. Lui, però, non l’ho visto.

Qualche tempo dopo, ero di passaggio per la parrocchia dove aveva ricevuto il primo incarico. Speravo proprio di poter trovare almeno la sua immagine della Prima Messa e ci sono riuscita. Neanche il tempo di prenderla in mano, che il don in persona è comparso di fronte a me. Quasi vergognandomi, gli ho chiesto di poter tenere il santino. La sua risposta è stata che, quando prendo il ricordino di un novello sacerdote, la mia preghiera per lui dev’essere doppia. Ho promesso che sarebbe stato così e me ne sono andata.

Circa un anno dopo, ho saputo che aveva già cambiato parrocchia. Ho provato a chiedere a qualche suo compagno se ne sapesse la ragione, ma le risposte sono state molto vaghe. Dello stesso tenore sono state quelle che mi hanno dato quando ho appreso di un altro suo trasferimento. Nella maggior parte dei casi, però, se un giovane sacerdote viene riservato per gli studi, significa semplicemente che è più portato per insegnare che per stare in oratorio.

Poi la notizia del processo, insieme al racconto con dovizia di particolari dell’azione da lui compiuta e del danno psicologico subito dalla sua vittima. Ho iniziato a colpevolizzarmi semplicemente perché avevo preso il suo santino e gli avevo parlato una volta soltanto.

Ho seguito quindi le fasi del procedimento giudiziario. Il tribunale della mia coscienza, però, continua a rimproverarmi di non aver agito in tempo né pregato abbastanza per lui.

Non so neanche più cosa fare perché nessuno dei seminaristi e dei preti che conosco finisca in guai del genere, visto che se li avvicino li danneggio, mentre se prego per loro o se non lo faccio non c’è alcuna differenza, visto che possono rendersi ugualmente colpevoli.

Poco dopo la notizia del processo, ho ripreso in mano il ricordino del don, la cui immagine mi aveva colpita immediatamente. Riproduce un Crocifisso la cui mano destra è staccata dalla Croce e protesa verso il basso. Lo chiamano “Cristo de la mano tendida” (“della mano tesa”) o “Santo Cristo del brazo desenclavado” (“del braccio schiodato”): è conservato nella chiesa di San Giovanni a Furelos, lungo il Cammino di Santiago.

Sull’origine di questa rarissima raffigurazione, non della statua in sé, circolano varie leggende, ma hanno tutte un comune fondamento: il Crocifisso si sarebbe animato e avrebbe teso la propria mano per assolvere, al posto di un sacerdote spazientito, un penitente che commetteva sempre lo stesso peccato o che si confessava senza essere davvero pentito.

Prego quindi che il Signore tenda la mano a tutte le persone coinvolte in fatti di questo genere. Anzitutto alle vittime, perché arrivino un giorno a perdonare o almeno a trovare pace. Ai loro familiari, specie a quelli che continuano a volere giustizia. Quindi alle persone accusate, perché non arrivino a disperarsi e a togliersi la vita. Alle comunità parrocchiali, le quali mai avrebbero nutrito sospetti verso quelli che erano stati incaricati di proteggere, non di ferire, bambini e ragazzi.

Infine, a me, perché eventi come questo mi rafforzino nella consapevolezza che i preti non vanno lasciati soli né devono considerarsi tali. Lo ripeto sempre più spesso, a tutti quelli che conosco: se hanno dei problemi, di ogni tipo, devono chiedere assolutamente aiuto, anche ricorrendo a professionisti o specialisti delle scienze umane.

Oggi pomeriggio sarò in Duomo, per l’Adorazione e la Messa presieduta dall’Arcivescovo. Sono sicura che anche lui, come i confratelli d’Oltralpe, s’inginocchierà per chiedere perdono, ma allo stesso tempo inviterà i fedeli a sentirsi corresponsabili di quelle colpe che altri, invece, vorrebbero addossare esclusivamente su di lui, sui suoi predecessori o sui vicari e collaboratori.

Commenti

Post più popolari