«Dove l’ho già sentita?» – Melodie famose in chiesa e fuori, parte 2

Una simpatica santa Cecilia da colorare (fonte)

Nel settembre dello scorso anno, seguendo una puntata di Techetechetè, mi era parso di riscontrare una curiosa somiglianza tra una canzone poco nota di Miguel Bosé e il canto mariano Mira il tuo popolo. Avevo quindi elencato alcuni brani profani che mi sembravano riecheggiare canti religiosi, o per omaggi voluti, o per riferimenti involontari.

Questa volta, invece, nel giorno in cui si ricorda santa Cecilia, patrona dei musicisti, vorrei provare a presentare canti che, almeno per me, assomigliano a qualcosa di già sentito, ma alla radio o in qualche altra circostanza non ecclesiale. Purtroppo me ne sono venuti in mente solo un paio, a meno che qualcuno di voi che mi legge non me ne suggerisca altri.

Come nel primo post di questo tipo, preciso che non intendo accusare di plagio nessuno, quanto invece evidenziare similarità e assonanze.

 

Sing of the Lord’s goodness/Musica di festa/Voglio esaltare VS Take Five

 

Alcuni anni fa, mentre ero alle prese con le prove dei canti per una veglia in Duomo, che prevedevano in scaletta il canto Voglio esaltare, ho sentito i musicisti del coro passare, quasi senza soluzione di continuità, a un classico della musica jazz. Anche l’organista e uno dei chitarristi della mia attuale parrocchia, in tempi recenti, hanno notato la stessa somiglianza.

Di fatto, Take Five è un brano del 1959, composto da Paul Desmond, ma portato al successo da Dave Brubeck e il suo quartetto, nell’album Time Out dello stesso anno. È piuttosto insolito, perché ha il tempo in 5/4, mentre abitualmente la musica jazz è in 4/4 e raramente in 3/4 (mi rifaccio a quanto indicato qui).



Molti critici musicali e commentatori hanno riscontrato che Sing of the Lord’s goodness, canto composto nel 1981 da don Ernest Sands, sacerdote inglese membro del St Thomas More Group, collettivo di musicisti impegnati, negli anni ’70, a dare nuovi canti alle assemblee (e purtroppo trovato morto suicida l’11 aprile 2016, giorno in cui avrebbe dovuto deporre circa le accuse di  abusi sessuali a suo carico), è anch’esso in 5/4, tanto che l’assolo di sassofono del pezzo jazz può essere comodamente eseguito sul suo ritornello.

Nel video qui sotto, un’esecuzione dal vivo, sono effettivamente fusi insieme il canto e la parte jazzata.



Voglio esaltare è però uno dei due testi italiani basati sulla melodia del canto in inglese. A firma di Gian Piero Colombo, è comparso per la prima volta nella raccolta Insieme RED del 1991 (poinella riedizione aggiornata Nuovo Insieme RED del 1994), repertorio raccolto dall’Azione Cattolica Ambrosiana e per anni, nelle edizioni riviste e corrette, in uso negli oratori e nei gruppi giovanili della diocesi di Milano. È incluso anche nel repertorio diocesano Cantemus Domino, al numero 595; lo spartito conferma che è in 5/4.

Chiedo scusa per la scarsa qualità, anche esecutiva, dell’esecuzione nel video che propongo sotto, ma è l’unica completa che sono riuscita a trovare (non è disponibile neppure quella durante la veglia di cui facevo cenno sopra).



Era l’unico che conoscevo, prima che una mia amica mi facesse sentire Musica di festa, che, secondo le ricerche che ho compiuto per questo post, è precedente: secondo quanto indica nei commenti del video che segue lo stesso autore di questo testo, Paolo Iotti (dal cui curriculum emerge che ha insegnato inglese e che è stato allievo di padre Giovanni Maria Rossi, camilliano e musicoterapeuta, autore di un notissimo Santo e di molti altri canti), risale al 1982.



Il canto in inglese ha una struttura trinitaria: una strofa parla di Dio Padre, un’altra del Figlio, la terza dello Spirito Santo, mentre l’ultima è un invito alla lode. Musica di festa non lo traduce pedissequamente: nelle strofe mi sembra una parafrasi del Salmo 97 (98) e, come i Salmi nella Liturgia delle Ore finiscono in Gloria, termina con una strofa in cui si loda la Trinità.

Il ritornello, invece, è più ravvicinabile all’originale (indico con colori diversi le corrispondenze testuali): Come, then, all you nations, sing of your Lord's goodness, melodies of praise and thanks to God rispetto a In tutta la terra, popoli del mondo, / gridate la sua fedeltà! / Musica di festa, musica di lode, musica di libertà! (anche se sing è cantate e goodness è bontà)

Voglio esaltare, invece, come spiegato nel commento provvidenzialmente riportato da Liturgia Giovane, è una lode pasquale alla salvezza portata dalla Croce di Cristo, cui fa riferimento l’ultima strofa. Nella mia parrocchia, invece, è percepito come canto di Avvento, forse perché il ritornello inizia con Vieni o Signore.

Altri commentatori, invece, pensano che anche Everything’s alright dal musical Jesus Christ Superstar abbia un grosso debito nei confronti di Take Five, sempre per la struttura metrica.

 

 

Vieni Signore Gesù VS Ginguiser VS Tra palco e realtà

 

La coordinatrice del coro della mia parrocchia, prima che iniziasse l’Avvento Ambrosiano, ha chiesto a me e compagni di suggerirle qualche canto nuovo da imparare. A quelli che i collaboratori della sezione musicale del Servizio di Pastorale Liturgica indicano nei sussidi disponibili sull’apposita rubrica del Portale diocesano, da me proposti, sono stati aggiunti altri brani, nella speranza che le nostre assemblee, di cui fanno parte fedeli di ogni età (non abbiamo una Messa riservata a bambini e famiglie la domenica mattina), possano sentirsi ancora più coinvolte.

Eppure, quando ho ascoltato uno di questi canti nuovi, mi ha immediatamente ricordato, nell’introduzione, l’attacco della sigla di un cartone giapponese che rientra nel filone dei robottoni, ma molto meno noto rispetto, ad esempio, a Mazinga, Jeeg o Goldrake.



Vieni Signore Gesù è compreso nella raccolta di canti per l’Avvento (non una Messa che comprende anche le parti fisse, quindi) Tu vieni in mezzo a noi, pubblicata da Paoline Editoriale Audiovisivi nel 2017, con liriche firmate da don Stefano Mazzarisi, melodie di Martino Palmitessa e arrangiamenti di Fabrizio Palma.

Riguardo al testo, è meno immediato di quel che potrebbe suggerire. Infatti, contiene giochi di parole piuttosto sottili, tra incanti e cantaci dentro, insegni e segnaci dentro, ispiri e soffiaci dentro, a cui sono abbinati i titoli cristologici di Pastore, Maestro e Signore e gli inviti a gioire, amare e rivivere con Gesù che viene.

Verrebbe voglia di chiedere al compositore della musica se da piccolo non fosse uno dei pochi appassionati di quel cartone, arrivato in Italia nel 1982 su Rete 4, in cui un gruppo di ragazzi dotati di poteri magici deve cercare, girando il Giappone come illusionisti, le misteriose Sfere di Anderes, bramate dagli alieni Sazoriani, da loro combattuti con il robot componibile Ginguiser…

Curiosamente, la sigla, eseguita da I Drago (capitava spesso che venissero radunati musicisti sotto un nome specifico) e composta da P. Dossena e T. Tamborrelli, risulta inedita: il sito di appassionati Encirobot riporta che, per errore, sul 45 giri fu stampata solo la parte strumentale. Le versioni che si trovano online, quindi, derivano da registrazioni televisive.



E se invece fosse affiorato alla mente un altro ricordo musicale, quello del ritornello di Tra palco e realtà, canzone di Luciano Ligabue dall’album Su e giù da un palco del 1997? Anzi, se il cantante di Correggio si fosse rifatto lui alla sigla del cartone?


 

Considerazioni finali

 

Col passare degli anni, vivendo esperienze ecclesiali e parrocchiali diversissime tra loro, ho ampliato di parecchio il mio repertorio, rispetto a quello che avevo padroneggiato nella mia vecchia parrocchia. Lì lo stile era molto più caratterizzato da melodie classiche, da riprese della polifonia di Palestrina, Bach e Perosi specie per le occasioni più solenni, ma anche di compositori più recenti, pur non andando mai al di là del 1900 o dei primissimi anni Duemila.

Di conseguenza, ho imparato ad apprezzare anche modalità espressive che si discostavano da quelle, anche se non nell’intento. Ho ancora qualche resistenza, ma in generale sento che sia davvero positivo sapere che moltissimi continuano a comporre musica per cantare la fede, anche non in contesti liturgici: penso a coloro che ho intervistato qui, come Andrea Testa e Martino Vergnaghi, o al Gruppo Shekinah di cui faccio parte.

Non disprezzo neppure quegli strumenti che, stando a un’interpretazione restrittiva delle norme contenute nei documenti ufficiali, dovrebbero essere estromessi dall’accompagnamento dei canti nella liturgia; intendo dire che li accetto purché siano suonati in maniera adeguata.

A tal proposito, un mio vecchio conoscente aveva auspicato che un giorno potesse esserci un corso apposito per i chitarristi da parrocchia, in modo tale che potessero evitare quell’effetto simile a quello del formaggio che viene grattugiato e che non aiuta affatto la preghiera. Ebbene, dalle mie parti questa speranza è diventata realtà: il corso di formazione Te laudamus, che in questi mesi ha preso il via, comprende anche lezioni per chitarristi, oltre che, ovviamente, per organisti, più o meno esperti.

Spero di poter raccontare in un secondo momento quello che ho imparato da questo corso, anche se avverto già qualche cambiamento nel mio modo di pormi di fronte ai brani da cantare. In questo modo, conto di rispettare le raccomandazioni del mio Arcivescovo, sia quelle contenute nella Lettera agli animatori musicali, appena pubblicata, sia quelle aggiunte al testo dell’omelia pronunciata ieri in Duomo:

La politica della speranza ha bisogno non solo di propositi e di competenze, ma anche di una gioiosa fiducia capace di sfidare le difficoltà senza arrendersi; capace di saper cantare, di condividere la gioia. Credo che i cori qui radunati e quelli di tutte le nostre chiese siano incaricati non solo di dare solennità alle celebrazioni, ma di trasmettere gioia, fiducia e la capacità di guardare questo tempo come tempo adatto per sperare.

Commenti

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari