Cecilia di Roma, la vergine fedele che cantava a un unico Sposo

Stefano Maderno, Santa Cecilia,

statua in marmo, 1500, basilica di Santa Cecilia in Trastevere

(fonte)


Chi è?

 

I dati certi su santa Cecilia sono quasi inesistenti. Il suo nome è lo stesso di un’antica famiglia romana, quella dei Cecilii, quindi è molto probabile che lei stessa ne facesse parte. Una «Passione» risalente al 500 fa risalire la sua vita e il suo martirio all’epoca dell’imperatore Marco Aurelio e al pontificato di Urbano I, quindi tra II e III secolo.

Il testo la descrive come figlia di nobili, i quali organizzarono per lei le nozze con un giovane, Valeriano, senza sapere che lei aveva consacrato la propria verginità al Signore. Le nozze furono celebrate, ma la sera della prima notte da marito e moglie, Valeriano scoprì la scelta della sua sposa. Col suo aiuto, aderì alla fede cristiana e si fece battezzare; da allora in poi, rispettò la sua verginità.

Anche suo fratello Tiburzio divenne cristiano: insieme a lui, cominciò ad aiutare i fratelli nella fede, soprattutto seppellendo i loro corpi. Quando furono sorpresi, vennero condotti davanti al magistrato Almachio, quindi condannati a morte.

Cecilia, rimasta vedova, venne insidiata dallo stesso magistrato che aveva messo a morte suo marito e suo cognato, il quale intendeva impossessarsi dei suoi beni. Visto che i suoi inviati non riuscirono a persuaderla, Almachio stesso la convocò: le risposte della vergine causarono anche a lei la pena di morte.

Dapprima fu rinchiusa nel calidarium di casa sua (la stanza termale con acqua calda) perché vi morisse per asfissia, ma ne uscì indenne. Infine, il carnefice procedette alla decapitazione: dopo tre tentativi, la testa non le fu tagliata, anche se il collo fu gravemente ferito. Cecilia morì dopo tre giorni di agonia, dando disposizione per distribuire ai poveri i suoi beni.

La Chiesa di Roma ha onorato Cecilia come santa fin dai tempi antichi: il Liber Pontificalis indica che la sua memoria liturgica era già celebrata, nell’anno 546, il 22 novembre. Nell’821, papa Pasquale I depose i suoi resti mortali sotto l’altare della basilica di Santa Cecilia in Trastevere, che era stata dedicata a lei già dal V secolo. Dopo la ricognizione avvenuta nel 1599, le reliquie vennero poste nella cripta della stessa basilica. Una tradizione tardiva l’ha resa patrona di chi si dedica alla musica e al canto sacro.

 

Cosa c’entra con me?

 

Ogni tanto è bene che io racconti cosa sento di entrarci non solo con personaggi di recente beatificazione o canonizzazione, ma anche con altri, venerati da tempi più antichi, la cui testimonianza è giunta fino a me. Quello di santa Cecilia è proprio uno di questi casi.

Ho vaghi ricordi di aver ripetutamente sfogliato, in casa di una delle mie cugine di Portici, un’edizione del romanzo Fabiola del cardinal Nicholas Wiseman, ormai ridotta a brandelli. In una delle illustrazioni era raffigurato un corteo di vergini, tra le quali spiccava una ragazza bellissima, ma con gli occhi privi di luce: era proprio Cecilia. L’autore, infatti, faceva risalire l’etimologia del suo nome, in modo non saprei dire quanto fantasioso, dal latino caecus, “cieco”.

Non molto tempo dopo, avevo acquistato il primissimo libro della collana Fiori di Cielo delle Edizioni Paoline, poi passata sotto San Paolo Edizioni, su santa Lucia, anche lei vergine e martire dei primi secoli. In un’altra visita in un santuario mariano campano, probabilmente quello di Pompei, convinsi i miei familiari a comprarmi il libro della stessa collana che parlava di santa Cecilia.

Il racconto mi conquistò immediatamente: la prosa scorreva rapidamente, facendomi respirare quasi la stessa aria dei cristiani delle catacombe (anni dopo avrei appreso, invece, che quelli erano luoghi di sepoltura, non di celebrazioni).

Mi meravigliai, inoltre, a leggere che Valeriano aveva scoperto il proposito di verginità della sua sposa dopo che lei gli aveva raccontato che un angelo l’aiutava a preservarsi per Dio e che, solo dopo il Battesimo, lui stesso poté vedere quella presenza accanto a lei (per un racconto più vivace, rinvio a questo post di Lucia Graziano su Una penna spuntata). Non meno meravigliosa mi parve la costanza di Valeriano, Tiburzio e Cecilia di fronte al magistrato, insieme ai prodigi che rinviarono di poco il martirio di quest’ultima.

Insomma, quasi come nel Canone Romano o Preghiera Eucaristica I, Lucia, Cecilia e un’altra vergine e martire, sant’Agnese, divennero quasi mie amiche inseparabili. Anzi, più volte, nelle mie preghiere, chiedevo a Dio di farmi morire da vergine, magari a dodici anni come sant’Agnese. Ovviamente ero piccola e sapevo sì e no come nascono i bambini, ma pensavo che sarebbe stato un bel modo per finire la mia vita.

Ho poi compiuto dodici, tredici, quattordici anni, e ancora non era successo quello che speravo. Intanto, però, non avevo smesso di frequentare la mia parrocchia di nascita, oltre all’oratorio (anche se solo per il catechismo) e di andare a Messa ogni domenica.

Proprio partecipando all’Eucaristia, una delle suore Figlie della Carità di san Vincenzo de’ Paoli che seguivano l’oratorio femminile mi propose di entrare nel “coretto” dei bambini. Anche la mia catechista era dello stesso parere.

Forse entrambe pensavano che così avrei evitato di prendere il sopravvento sugli altri miei compagni di catechismo, durante le prediche-quiz del don assistente degli oratori (non sapevo che fosse una pratica da aborrire: la vedevo come un gioco, anzi). Sta di fatto, però, che nel “coretto” sono entrata solo quando la suora ha avuto un altro incarico.

Ho iniziato allora a frequentare l’oratorio anche nel primo pomeriggio del sabato, per partecipare alle prove del “coretto”, cui spesso si affiancava il coro “dei grandi”, del quale faceva parte la mia catechista. In quel modo ho iniziato a sentire parlare di don Luciano Migliavacca e delle sue composizioni, che spesso sentivo nelle Messe più solenni, quando noi bambini non eravamo ammessi a cantare in coro.

Ormai superata l’età del catechismo, mi domandavo perché non venissi ammessa nel coro “dei grandi”. Non ricordo con esattezza quando sia successo, ma a vent’anni ne ero già parte. Di certo sapevo che santa Cecilia era considerata patrona di chi pratica il canto sacro, ricordando quanto avevo letto in quella biografia per ragazzi.

Anche quando sono entrata a far parte del Gruppo Shekinah ho continuato a vivere l’impegno musicale, in un senso ancora più ampio. Nei miei quindici anni di veglie, concerti-meditazione, prove anche fino a tarda sera, registrazioni di canti originali o composti da altri autori, ho trovato uno dei modi con cui potevo vivere la responsabilità a cui Dio mi chiamava, insieme alla passione per la comunicazione e per il racconto della Chiesa e dei suoi Testimoni.

Come ho ricordato nel corso del ritiro vissuto a Chiavenna, nel quale ho approfittato per conoscere meglio suor Maria Laura Mainetti, di lì a poco beatificata, cantare in quel Gruppo – che non è solo un coro – ha per me lo stesso effetto di quello prodotto dalla cetra di Davide sul re Saul: lo spirito del male mi abbandona, annientato dallo Spirito di luce che invochiamo con uno dei nostri canti.

Col trasloco nella nuova casa, avvenuto proprio in questi giorni di dieci anni fa esatti, ho subito cercato dove fosse la parrocchia sotto cui cadeva il mio condominio. Dopo un mese di osservazione, nel quale sono stata molto attenta al coro e al repertorio eseguito (ammetto che non conoscevo molti canti, mentre altri li cantavo con cadenze e tonalità diverse), mi sono presentata al parroco.

Quando lui mi ha chiesto quali fossero i miei impegni nella mia parrocchia di nascita, sono arrivata a rispondere solo: «Cantavo nel…»: subito mi ha presa per mano e mi ha condotta dal direttore e dall’organista. Domenica dopo ero puntuale all’orario delle prove, pronta a rifarmi una vita ecclesiale anche lì.

In questi anni molto è cambiato, ma sento che i miei comparrocchiani continuano a volermi bene come nel nostro primo incontro. Posso solo ricambiare, aiutando a mia volta l’assemblea guidandola col gesto della mano e migliorandomi di continuo, sia per conto mio, sia con la partecipazione a incontri di formazione (purtroppo, per altri impegni concomitanti, quest’anno non sto seguendo il corso Te Laudamus).

Nella mia vita non ho conosciuto molte persone di nome Cecilia, a parte una ragazza che, per qualche tempo, ha recitato nella compagnia teatrale dei ragazzi del mio oratorio di nascita insieme alla propria sorella gemella.

Recentemente, ho conosciuto un’altra Cecilia, una ragazza della comunità Casa di Maria. In realtà, avrei dovuto scrivere oggi il post su di lei, ma ho desistito: l’anno prossimo, proprio il 22 novembre, ricorrerà quello che sarebbe stato il suo trentesimo compleanno. Uso il condizionale perché lei non è più tra i viventi dal 2009, ma, come ha assicurato ai suoi cari, è presente tra loro in un altro modo.

 

Il suo Vangelo

 

L’idea di strutturare i miei post, almeno quelli dedicati a figure precise, dedicando il terzo paragrafo al modo in cui il soggetto che tratto ha incarnato alcuni aspetti del messaggio cristiano, mi è venuta proprio ricordando i Fiori di Cielo: ogni testo si conclude proprio con un capitolo intitolato, nel nostro caso, Il vangelo di Cecilia.

L’autrice di quel volumetto sottolineava, tra i vari spunti di riflessione lasciati al lettore, come Cecilia avesse scelto per sé un cuore libero, non attaccato a beni o ad amori passeggeri: solo Gesù aveva come sposo, perché Valeriano le era stato imposto; poteva amarlo come un fratello prima solo in umanità, poi anche secondo la fede.

Avrebbe dovuto essere così anche per molti, giovani e meno giovani, che inizialmente hanno proclamato, anzi, cantato a squarciagola il proprio amore per Dio, ma poi hanno lasciato entrare troppo nelle loro vite altri uomini o donne, o hanno ceduto al dolore o a passioni terrene, dopo aver cercato di volgerle e di volgersi al sommo Bene.

Anch’io, molto spesso, resto sconvolta di fronte a notizie che riferiscono queste scelte, di certo non prese a cuor leggero, ma che feriscono tanti. Più che a loro e a quanti, con maggiore coerenza, continuano a dichiarare quello stesso amore tramite la musica o i nuovi mezzi di comunicazione, vorrei tornare a guardare alle vergini dei primi secoli, ma in modo diverso rispetto all’ingenuità della mia infanzia e prima adolescenza.

Come santa Cecilia, vorrei continuare a cantare in cuor mio, e con la voce quando necessario, a Dio solo. In questo modo spero di poter realizzare quanto ha scritto per Roma Sette del 20 novembre 2005 monsignor Marco Frisina, che tra le altre cose è rettore della basilica di Santa Cecilia:

La leggenda della santa musicista nacque dal fraintendimento di alcune parole della sua «passio» da cui era stata tolta l’espressione «in corde suo»: «Cantantibus organis in corde suo soli Domino decantabat» (mentre gli organi cantavano ella cantava nel suo cuore al Signore). Ma ogni martire canta con la sua vita al Signore innalzando a Lui il suo canto d’amore, come Cecilia vergine e sposa di Cristo.

 

Per saperne di più

 

Agnese Benvenuti, Cecilia, San Paolo Edizioni 1998, pp. 110, € 4,65

Quello che ho io e che me l’ha fatta conoscere. Riprendendolo oggi, vedo tutti i suoi limiti (ad esempio, descrive le catacombe come luoghi di raduni per celebrazioni e catechesi guidate sui loro simboli), ma sono troppo affezionata a esso per non consigliarlo.

 

Antonino Governale, Santa Cecilia - Con il suo sangue un inno al Dio vivente, Velar-Elledici 2011, pp. 48, € 3,50.

Un’agile presentazione della sua leggenda e degli aspetti del suo culto.

 

Heinrich von Kleist, Santa Cecilia ovvero La potenza della musica (Una leggenda), Edizioni Dehoniane Bologna 2017, pp. 52, € 7,00.

Racconto ambientato all’epoca delle azioni iconoclaste compiute da alcuni calvinisti nei Paesi Bassi nel 1566. Vede come protagonisti tre giovani che intendono distruggere le immagini della chiesa di Santa Cecilia ad Aquisgrana: tuttavia, il giorno del Corpus Domini, mentre sono mescolati alla folla che partecipa alla Messa, avviene un fatto che li cambia per sempre, legato alla musica e alla protezione della Santa.

 

Su Internet

 

Sito del monastero delle Benedettine di Santa Cecilia a Roma, situato in collegamento con la basilica dove sono venerate le spoglie della Santa.


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