Francescopio Poziello, un piccolo “maestro” di preghiera
Un primissimo
piano di Francescopio |
Chi è?
Francescopio Poziello nacque nella clinica Majone di Villaricca, in provincia e diocesi di Napoli, alle 14 del 6 luglio 2013, secondogenito a lungo desiderato di Luigi Poziello e Carmela Mauriello. Era l’unico bambino maschio della famiglia: per questo, oltre che dai genitori e dai nonni, era coccolato dagli zii, dalla sorella Giusy e dalle cugine Giulia e Rachele. Il suo nome (scritto senza trattini o spazi) è in onore sia di san Pio da Pietrelcina, che prima di farsi Cappuccino si chiamava Francesco Forgione, sia di papa Francesco, eletto appena quattro mesi prima.
Affettuoso
e sensibile, meravigliava i parenti per la sua capacità di entrare in empatia
con le sofferenze delle persone che gli stavano accanto. Giocava coi modellini
delle automobili, dei camion o degli aerei, che suo padre gli portava
rientrando dalle trasferte di lavoro. Iniziò a frequentare l’asilo nel
settembre 2016: era entusiasta e stava volentieri con i suoi piccoli amici.
Nell’estate
del 2017 manifestò una strana inappetenza, dimagrendo a vista d’occhio. A
ottobre dello stesso anno si lamentò per dolori alla gamba sinistra, tanto che
riprese a trascinarsi a terra, dopo che aveva da poco imparato a camminare.
La
causa di quelle condizioni venne svelata il 30 novembre 2017, durante alcuni
esami all’ospedale Santobono di Napoli, specializzato in patologie pediatriche:
un tumore alla colonna vertebrale, da operare d’urgenza, altrimenti il bambino
rischiava di rimanere paralizzato per sempre.
Rivedendo
i genitori dopo l’operazione, Francescopio fu consolato dalla madre, che gli
disse di essergli rimasta accanto. Lui, invece, affermò di non aver sentito il
suo profumo, quindi lei stava mentendo. All’improvviso, vedendo che la madre aveva
in mano un Rosario di legno chiaro, allungò la mano e lo prese.
Da
allora non se ne separò più, neanche dopo il secondo intervento, avvenuto il 13
gennaio 2018 all’Istituto Giannina Gaslini di Genova, resosi necessario perché
il tumore, precisamente un tumore rabdoide mutato, molto raro, aveva invaso la
colonna vertebrale.
Durante
quel ricovero, un giorno, chiese alla madre di pregare il Rosario, anzi, di
fare “le tante Ave Maria”, mostrando la “sua” corona. L’appuntamento col
Rosario divenne quotidiano, alle 20, solo tra lui e la madre, la quale, come
anche il marito, non era un’assidua fedele, pur avendo chiesto il Battesimo per
i loro figli. Entrambi i coniugi, quando la malattia si fece più grave, tornarono
nella parrocchia di San Giuseppe a Villaricca, chiedendo aiuto al parroco don
Giuseppe Tufo.
Francescopio
visse i suoi ultimi giorni insieme ai genitori in un appartamento messo a
disposizione da una delle associazioni a sostegno dei pazienti del Gaslini. A
volte riferiva alla madre di sentirsi accompagnato dall’ “altra mamma”, ovvero
la Madonna, o da Gesù Bambino.
Dopo la
crisi definitiva, si tentò ancora un ultimo intervento per asportare il liquido
cerebrale, visto che il tumore si era esteso a buona parte del cervello. Francescopio venne
dichiarato clinicamente morto verso le 19 del 27 febbraio 2018; avrebbe compiuto
cinque anni nel luglio seguente.
I suoi
resti mortali riposano sin dal termine dei funerali nel cimitero di Villaricca,
precisamente nella cappella di Maria SS. della Purificazione, in uno spazio messo a disposizione da una famiglia compaesana, colpita dalla sua storia.
Cosa c’entra con
me?
Domenica 1° agosto 2021, come mia abitudine, avevo acquistato il settimanale Maria con te. Già in copertina c’era un rimando a un articolo in cui parlava la madre di Francescopio, la cui vita era descritta in toni che mi lasciarono senza parole.
Dopo
aver fatto un rapido calcolo, appurai che non erano passati neanche tre anni
dalla sua morte. Già si parlava di grazie e della sua sicura intercessione ed
era stata anche aperta una pagina Facebook ufficiale. Il tutto nei riguardi di
un bambino di neanche cinque anni, perdipiù.
Questa
sorta di scetticismo, che molto spesso mi coglie quando ho a che fare con
vicende di bambini e ragazzi morti in tempi recentissimi, si accompagnò allo
stupore nel leggere che il piccolo in questione, dopo la prima operazione,
quasi strappò di mano il Rosario alla madre, pronunciando chiaramente, anche se
con un filo di voce, le parole: «Quello è mio».
Razionalmente,
mi venne da pensare che a volte i bambini piccoli attraversano una fase in cui
vogliono per sé tante cose, ripetendo «Mio, mio» continuamente. Allo stesso
tempo, pensai che probabilmente fosse stato attratto dalla forma di collana del
Rosario. Anche a me, quando avevo circa la sua età, piaceva aggrapparmi alle
collane di qualche mia parente; anzi, una volta, alla Cresima di mia sorella,
ne ho distrutta una a forza di tirare, mentre ero in braccio a mia zia.
Comunque
mi appuntai mentalmente di tornare su quella vicenda: avrebbe potuto essere un
buon soggetto per la mia rubrica sul periodico degli Amici del Venerabile
Silvio Dissegna, su bambini, ragazzi e (in misura minore) giovani che hanno
vissuto da cristiani la sofferenza e che potevano avere qualche collegamento
con la vita, appunto, di Silvio Dissegna.
Ho
lasciato cadere la questione, ma il 27 aprile dello scorso anno don Francesco
Rivieccio, delegato vescovile delle Cause dei Santi nella diocesi di Napoli, mi
ha messa in contatto con Giuseppe Di Micco, avvocato, che ha seguito quello che
un tempo era lo Studium delle Cause dei Santi e ha ricevuto il mandato dal
parroco di San Francesco a Villaricca di raccogliere le testimonianze su
Francescopio e le attestazioni di presunte grazie.
Gli ho
subito scritto, apprezzando il fatto che si stessero raccogliendo e custodendo
i segni a lui attribuiti, ma raccomandando un’estrema prudenza. Giuseppe
concordava con me, tanto più che bisognava capire se Francescopio avesse
raggiunto, come si dice, l’età della ragione, requisito indispensabile per
capire anche se le sue azioni possano essere ritenute moralmente giuste.
Gli ho
promesso che avrei realizzato un profilo per l’Enciclopedia dei Santi, Beati
e Testimoni –sezione Testimoni, ovviamente – ma anche un articolo per la
rivista del Venerabile Dissegna e un post qui.
Tuttavia,
mi serviva del materiale più cospicuo da adoperare come fonte, al di là degli
articoli che avevo trovato. Mi fu inviato praticamente subito tutto per posta
elettronica: un libretto di ricordi della mamma in PDF, un altro libretto e una
sintesi biografica.
Come mi
era accaduto leggendo il primo articolo, ho avuto un’iniziale reazione
distaccata: evidentemente, i genitori cercavano di compensare una perdita così
dolorosa. Non è passato molto perché iniziassi ad avere qualche sano dubbio: ho
pensato alle occasioni in cui una mia zia, quella della collana di cui parlavo
sopra, ha visto, nel reparto di Oncologia dell’ospedale dov’è paziente suo
marito (mio zio acquisito, mentre lei è sorella di mia madre), bambini
piccolissimi e già malati di tumore.
Ho
anche ricordato un’altra zia, cognata di mia madre, che ha lavorato
all’ospedale Santobono: dovrei chiederle, prima o poi, se si ricorda di lui, ma
potrebbe darsi di no, con tutti i piccoli che ha assistito nella sua lunga
carriera.
Infine,
è sorta in me una domanda: e se Dio non si fosse servito del bambino per riportare
i genitori a una fede più convinta, pazienza se lui è vissuto quattro anni e
poco più? E se stesse continuando a fare lo stesso con altri? Non doveva
comunque essere compito mio giudicare, ma presentare quella vicenda nel miglior
modo possibile.
Mi sono
forse presa troppo tempo, dimenticando che poteva essere un’ottima occasione il
giorno del nono anniversario della nascita di Francescopio, come mi ha fatto
notare Giuseppe. Incalzata da lui, mi sono data alla stesura del profilo,
inviandoglielo dopo una settimana e ottenendo il benestare suo e dei familiari
del bambino. La pubblicazione è infine avvenuta il 1° agosto 2022.
A
ottobre dello stesso anno, mentre partecipavo al convegno La santità oggi
a Roma, ho rivisto don Francesco, che mi ha presentato un altro collega
postulatore e fatto conoscere di persona Giuseppe. Quest’ultimo mi ha a sua
volta fatto conoscere il parroco di Villaricca, anche lui lì presente: gli ho
rivolto le mie congratulazioni per come sta cercando di rendere questa vicenda
una ricchezza per la sua comunità.
Un
esempio in tal senso è il Rosario comunitario la sera del martedì: prima della
morte del bambino veniva già tenuto, ma da quando i suoi familiari hanno
iniziato un percorso di fede più serio è diventato un appuntamento in cui si
prega anche tenendo presente il suo esempio.
Pur
mantenendo la mia cautela, ho continuato a ipotizzare altri modi per far conoscere
la vicenda di Francescopio. Uno mi è venuto in mente a febbraio di quest’anno,
durante uno scambio di messaggi con Giuseppe per un’altra questione: dato che
mancava poco all’anniversario della morte, non sarebbe stato male proporre una
presentazione nel programma di Padre Pio TV, Verso gli Altari, a cui ero
già intervenuta.
Il 9
maggio scorso, invece, ho compiuto la seconda parte della mia promessa,
componendo l’articolo per il numero 96 di Amici del Venerabile Silvio
Dissegna.
La terza, invece, è quella che avete sotto gli occhi.
Prima
di esaminare quale, secondo me, è il messaggio universale che ho ricavato dalla
storia di Francescopio, ecco la puntata del 25 febbraio 2023 di Verso gli
Altari, nella quale hanno parlato i suoi genitori (dal minuto 12:36).
Peraltro, ho ricevuto il ringraziamento del conduttore in diretta!
Il suo Vangelo
La vicenda di Francescopio può costituire un’occasione per riflettere sull’attaccamento, anche fisico, alla preghiera. Spesso si dice che pregare dev’essere come respirare, tanto che ci sono forme di preghiera cristiana che si accompagnano al respiro: tuttavia, se per molti respirare è un atto automatico, non lo è altrettanto pregare. Quando però avvengono fatti che sconvolgono la vita, allora chi non prega sente come se gli mancasse qualcosa.
Dev’essere
successo lo stesso anche ai signori Poziello: in famiglia non pregavano insieme
prima che il bambino si ammalasse, però lui sapeva le preghiere basilari perché
gliele avevano insegnate all’asilo. Paradossalmente, è come se avessero
imparato loro da lui, non viceversa, ripartendo dalle basi.
Pregare,
però, è fondamentalmente un entrare in relazione con Dio, approfondire la
consapevolezza che non ci si è fatti da soli. Francescopio aveva iniziato a intuire
questo e ha avuto il tempo sufficiente per insegnarlo prima a quelli di casa
sua, poi a quanti riusciva ad avvicinare, specie nelle degenze in ospedale, anche
molto lontano.
Sua
madre ha poi riferito che lui diceva di vedere Gesù Bambino, oppure che sognava
la Madonna. Di fatto, a casa, facevano il presepe, più per tradizione che per
rendere presente il mistero dell’Incarnazione.
Non è mio
compito pronunciarmi su questi racconti, ma sono probabilmente un ulteriore
strumento della relazione con il Cielo, di cui quel bambino si è fatto
portavoce, e che vale anche senza visioni o segni eccezionali.
C’erano
però dei momenti in cui i dolori diventavano particolarmente intensi. Anche
allora lui invocava il Signore, senza dubitare della sua presenza, ma non
riuscendo immediatamente a percepirla:
Gesù dove sei? Gesù
aiutami!
Un
grido del cuore che affiorava sulle sue labbra e che può, anzi, deve diventare
preghiera per chiunque, anche per chi si sente davvero abbandonato.
Su Internet
Pagina Facebook Francescopio Apostolo di Maria e del Rosario
Commenti
Posta un commento