Padre Giuseppe Ambrosoli, il “grande dottore” dal cuore fiducioso

 


Padre Giuseppe in un momento di vita pastorale (fonte)


Chi è?

Giuseppe Ambrosoli (al Battesimo, Giuseppe Umberto Gaspare) nacque a Ronago, in provincia e diocesi di Como, il 25 luglio 1923, settimo degli otto figli di Giovanni Battista Ambrosoli, proprietario di un’azienda specializzata nella produzione di miele e caramelle, e Palmira Valli, di famiglia benestante. A diciotto mesi rischiò la vita per una grave malattia intestinale, ma si riprese anche dopo che sua madre aveva invocato per lui l’intercessione di santa Teresa di Gesù Bambino.

Frequentò le elementari in paese e le medie a Como, ma per il ginnasio si trasferì all’Istituto Calasanzio di Genova-Cornigliano, dove recuperò le lacune degli anni precedenti, specie nelle materie scientifiche. A sedici anni continuò gli studi al liceo Volta di Como; di pari passo, era socio dell’Azione Cattolica. Concluse gli studi nel 1942, ma senza sostenere l’esame di maturità, a causa della seconda guerra mondiale. Poté comunque iniziare gli studi di Medicina all’Università degli Studi di Milano e, dato che aveva già due fratelli sotto le armi, essere esonerato dal servizio di leva.

Mentre Como era occupata dai nazisti, Giuseppe riuscì a far espatriare molti ebrei e perseguitati politici. Lui stesso cercò di rifugiarsi in Svizzera, dopo che la Repubblica Sociale di Salò aveva reso la leva obbligatoria, anche se sapeva di essere ricercato dai tedeschi.

Decise di rientrare in Italia, ma venne arrestato e destinato al campo di smistamento di Fossoli. Alla fine, però, venne stabilito di destinarlo ai servizi di sanità della Repubblica di Salò: prima all’ospedale militare di Baggio, poi nel campo di addestramento di Heuberg-Stetten, in Germania.

Un giorno rivelò ai commilitoni un desiderio su cui andava riflettendo: avrebbe voluto laurearsi in medicina, specializzarsi in malattie tropicali e diventare sacerdote missionario. Di fatto, conosceva i Figli del Sacro Cuore di Gesù (come si chiamavano al tempo), ovvero i Missionari Comboniani, e andava spesso a trovarli nella loro casa di Rebbio. Venne poi inviato in Italia, ma non sparò mai contro nessuno; rientrò a Como con mezzi di fortuna.

Terminata la guerra, Giuseppe aderì al Cenacolo, un’associazione con sede nella pieve di Uggiate Trevano, guidata da don Silvio Riva, assistente diocesano dei giovani di Azione Cattolica. Per un breve periodo, fu anche impegnato nell’amministrazione comunale di Ronago.

Si laureò il 18 luglio 1949, con un punteggio di 108 su 110. Subito dopo, iniziò a frequentare l’ospedale di Como in qualità di volontario tirocinante. Nella stessa estate del 1949 si presentò dai Comboniani di Rebbio, prima di partire per il «Tropical Institute», specializzato appunto in malattie tropicali.

Il 18 ottobre 1951 entrò in noviziato, nell’allora sede di Gozzano. Compì la vestizione nella Messa di mezzanotte del 25 dicembre 1951, mentre professò i voti temporanei il 9 settembre 1953. Subito dopo, intraprese gli studi teologici nella comunità comboniana di Venegono Superiore; contemporaneamente, cominciò a far pratica chirurgica nell’ospedale di Tradate.

Il 9 settembre 1955 compì la professione perpetua, ma i suoi superiori avevano deciso di ordinarlo sacerdote al termine del quarto anno di Teologia: padre Alfredo Malandra, infatti, lo voleva come successore nell’opera sanitaria che aveva avviato a Kalongo, in Uganda. Fratel Giuseppe fu quindi ordinato sacerdote il 17 dicembre 1955 nel Duomo di Milano, per l’imposizione delle mani del cardinal Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, futuro papa Paolo VI e Santo.

Il 1° febbraio 1956 padre Giuseppe partì per l’Uganda. Completò gli studi teologici nel Seminario di Lacor, mentre già operava nel dispensario e nel reparto di maternità della missione di Kalongo. Di fatto, costruì da zero un nuovo ospedale, dove arrivavano uomini, donne, bambini e anziani delle popolazioni Acholi e Karimojong, vale a dire da tutto il nord dell’Uganda. Nel 1956 promosse l’apertura della scuola di formazione per ostetriche «St. Mary Midwifery training school».

La gente lo chiamava “Ajwaka Madid” (“lo stregone bianco”) o “Doctor Ladit” (“il grande medico”). Padre Giuseppe riusciva a vivere in modo equilibrato sia la professione medica, sia il ministero sacerdotale, dando grande importanza alla preghiera personale e comunitaria.

Tornò più volte in Italia, ma trasformava i periodi di riposo – come quello a cui avrebbe dovuto attenersi nel 1973 a causa di una lombosciatalgia discale – in occasioni per tenersi aggiornato sulle tecniche mediche e per raccogliere fondi per l’ospedale. Nel 1982 gli fu diagnosticata una pielonefrite cronica, vale a dire che gli funzionava un solo rene e non per molto tempo ancora.

Quattro anni dopo, a causa del succedersi delle varie dittature militari in Uganda, padre Giuseppe si sentì di rimandare in patria il personale europeo. Il 30 gennaio 1987 fu decretata l’evacuazione totale, che di fatto avvenne il 13 febbraio seguente.

Ormai sempre più grave, padre Giuseppe si preoccupò di mettere in salvo le studentesse e il personale della scuola per ostetriche. Il 20 marzo, durante la celebrazione della Messa, si sentì male: due giorni dopo si mise a letto, consapevole di essere alla fine. Fu dichiarato clinicamente morto alle 13.50 di venerdì 27 marzo 1987, pochi minuti prima che arrivasse l’elicottero che avrebbe dovuto trasportarlo al Lacor Hospital di Gulu.

Padre Giuseppe è stato beatificato a Kalongo, precisamente nel polo medico di un’antica missione dell’East Acholi, il 20 novembre 2022, sotto il pontificato di papa Francesco. I suoi resti mortali sono venerati nel cimitero di Kalongo (vicino allospedale che fu riaperto nel 1986 e dedicato a lui), dov’erano stati traslati il 9 aprile 1994 rispettando le sue ultime volontà, mentre la sua memoria liturgica ricorre il 28 luglio, vigilia del suo Battesimo, perché il 29 ricorre la memoria obbligatoria dei santi Marta, Maria e Lazzaro.

 

Cosa c’entra con me?

I miei primi ricordi riguardo padre Giuseppe rimontano al 17 dicembre 2015, data del decreto sulle virtù eroiche. Avevo subito riconosciuto che lui era della stessa famiglia delle caramelle al miele che, come membro di due cori, ho consumato in molte occasioni. Al di là di quella nota di colore, però, non mi sono sentita di approfondire la sua conoscenza.

Ho però cambiato idea più o meno un paio d’anni dopo, quando, passando per la chiesa di San Gottardo al Corso qui a Milano, ho trovato un libro su di lui e uno sul Servo di Dio fra Daniele Natale, del quale ho scritto qui. L’ho letto con molto interesse, anche se sono rimasta colpita dal cumulo di sciagure che l’avevano portato ad abbandonare l’ospedale.

Altri due anni dopo, nell’ottobre 2019 e non ricordo per quale ragione, mi venne in mente di aggiornare e correggere la scheda biografica di santiebeati.it relativa a padre Ezechiele Ramin, anche lui Comboniano. Contattando la Postulazione generale, ricordo di aver chiesto quali fossero i libri migliori per integrare il profilo di padre Giuseppe: mi fu risposto che anche la prima biografia andava bene.

Ero sicura che fosse presente nella nutrita biblioteca del Pime di Milano, ma quando un anziano sacerdote che conosco ha dismesso la sua collezione di libri e ne ho trovato ben due copie, me ne sono tenuta una, decidendo di leggerla a ridosso della beatificazione, che era già stata rinviata per via della pandemia da nuovo coronavirus (mi era venuto spontaneo pregare padre Giuseppe perché ci fossero meno contagi possibile almeno a Kalongo).

Il 15 novembre 2021 ero sul punto di cominciare la lettura, ma una mia conoscente e fedele lettrice mi avvisò che la beatificazione era stata rimandata ancora una volta. Mi sembrava l’ennesima disgrazia relativa a padre Giuseppe, che quindi diventava l’ultimo candidato da beatificare, tra quelli i cui decreti sul miracolo o sul martirio erano stati promulgati prima dell’emergenza sanitaria.

A fine ottobre dell’anno seguente, quando ormai la data del 20 novembre 2022 appariva quella definitiva, ho preso in esame sia la prima biografia (scritta peraltro da don Palmiro Donini, fidei donum della diocesi di Brescia, arrivato a Kalongo nel 1963), sia quella che avevo trovato a San Gottardo.

Quella volta non mi fecero impressione tanto le sciagure, ma la determinazione con cui aveva portato avanti i suoi progetti e dal mirare in alto per garantire un’assistenza sanitaria al massimo delle possibilità.

Questo avveniva anche attraverso l’impegno a formare medici locali: era il suo modo di salvare l’Africa con l’Africa, secondo la celebre espressione del suo fondatore, ma anche sulla scia di quello che faceva il Venerabile Marcello Candia, più o meno negli stessi anni, in Brasile, ma da semplice battezzato non legato ad alcuna congregazione, associazione o movimento (ma aveva molti amici al Pime, tra i Camilliani e in Comunione e Liberazione).

Quando ormai la beatificazione è stata sicura, ho rifatto la scheda. Mentre lavoravo su quel testo, mi sono accorta che il futuro Beato era uno di quei Testimoni vissuti, anche se per breve tempo, nella diocesi di Milano.

Oltre a includerlo nella mia lista pubblicata qui, ho quindi pensato bene di contattare i Comboniani sul mio territorio diocesano e verificare se ci fossero incontri o celebrazioni a ridosso del grande giorno. Ho fatto confluire tutto in questo articolo per il nostro Portale diocesano, che ho prontamente segnalato alla segreteria della Fondazione Dr. Ambrosoli Memorial Hospital, che ancora oggi segue l’ospedale di Kalongo.

Avevo quindi una mezza idea di scrivere di lui anche qui sul blog, ma non ce l’ho fatta per mancanza di tempo. Mi sono però annotata che oggi cadeva il centenario della nascita, ma avrei dovuto in pari tempo concludere i preparativi per la partenza verso la GMG di Lisbona; meno male che i post si possono programmare!

Un collegamento tra questi due fatti c’è, a volerlo trovare. Padre Giuseppe, infatti, nella giovinezza ha attuato le scelte importanti per la sua vita: quella degli studi di Medicina, ma anche quella di aiutare quanta più gente possibile durante la guerra e, infine, quella che aveva annunciato ai suoi compagni durante l’addestramento paramilitare. Certo, era il novizio più anziano, con i suoi ventott’anni, ma per noi è un’età ancora giovanile.

Infine, lo scorso 4 febbraio, di ritorno da un concerto, un mio conoscente, oltre a farmi i complimenti per l’intervento che avevo tenuto nel programma Verso gli Altari di Padre Pio TV quella mattina stessa, mi ha chiesto se nei miei articoli mi occupo anche di Beati. Gli ho risposto di sì, meravigliandomi poco dopo: ho scoperto che il mio interlocutore è imparentato con gli Ambrosoli delle caramelle da parte di madre, quindi anche con padre Giuseppe. Mi ha poi chiesto come si fa per proclamarlo Santo, ma sono arrivata a destinazione proprio quando ero nel bel mezzo della mia spiegazione.

Lo scorso ottobre, prima della beatificazione, mi sono annotata che le Pontificie Opere Missionarie avevano pubblicato per quel mese missionario un filmato su di lui: lo ripropongo qui sotto.

 

 

Il suo Vangelo

 

Padre Giuseppe ha annunciato il Vangelo della dedizione totale, del sacrificio, dell’amore alla Croce anche quando questa porta il segno dei fallimenti umani. L’aveva imparato dal suo fondatore, san Daniele Comboni (all’epoca ancora Servo di Dio), ma anche da san Giovanni della Croce, uno dei suoi autori spirituali preferiti insieme a san Charles de Foucauld: la preghiera più famosa di quest’ultimo è stata trovata tra i suoi effetti personali, ricopiata a mano, ma soprattutto, a giudicare dai suoi collaboratori, fatta propria, fino quasi all’ultimo respiro.

Oggi l’ospedale di Kalongo è ancora un polo dove vengono curate migliaia di persone. Quando è stato devastato, nessuno s’immaginava che avrebbe potuto risorgere, invece è successo: non solo grazie ai fondi e ai benefattori, ma anche, e soprattutto, grazie a quello che il “Doctor Ladit” aveva insegnato nel corso degli anni.

Lui stesso nutriva questa speranza in cuore, anche in quel momento così doloroso per lui e acuito dalla malattia che ormai non gli lasciava che pochi giorni di vita. Lo si vede dalla lettera che scrisse a padre Manuel Albert Grau, anche lui Missionario Comboniano e medico, che operava in Zaire; è databile al 13 febbraio 1987, data della partenza forzata da Kalongo.

In questo momento vedo fiamme di fuoco che s’innalzano e distruggeranno tutto. Il fuoco e le armi dei potenti consumeranno tutto e di questo ospedale rimarranno solo pochi mattoni. Ma nessuno potrà distruggere quello che ho costruito nel cuore della gente.

In queste parole si legge una fierezza basata non sulle certezze terrene, ma sull’infinita fiducia in Dio; senza di essa, davvero, padre Giuseppe sarebbe stato un filantropo e un benefattore, pur sempre benemerito, non un autentico Testimone.

 

Per saperne di più

Aurelio Boscaini, Il grande dottore – Vita di Giuseppe Ambrosoli, Editrice Missionaria Italiana 2010, pp. 128, € 9,00.

Una biografia sintetica ma completa, raccontata anche dalla voce di chi l’ha conosciuto.

 

Giovanna Ambrosoli, Elisabetta Soglio, Chiamatemi Giuseppe - Padre Ambrosoli, medico e missionario, San Paolo Edizioni 2017, pp. 168, € 13,00.

Il racconto della sua vita e della sua eredità, scritto a quattro mani da una giornalista e dalla nipote nonché presidente della Fondazione Dr. Ambrosoli Memorial Hospital.

 

Su Internet

Sul sito istituzionale dei Missionari Comboniani ci sono molti articoli su di lui, ma non c’è un link diretto per vederli tutti: cercando “Ambrosoli” nel motore di ricerca interno, invece, compaiono.

Sul sito della Fondazione Ambrosoli, invece, c’è una sezione su di lui, ma non ha un link univoco: c’è il rimando alla biografia in forma di linea del tempo, al racconto del miracolo per la beatificazione, all’iter della causa, agli scritti, alle testimonianze, alla preghiera per chiedere la sua intercessione, alle celebrazioni e iniziative in Italia e alle modalità per sostenere la Fondazione con la propria azienda.

Pagina su di lui del sito del Dicastero delle Cause dei Santi, con la biografia, il decreto sulle virtù e il decreto sul miracolo 

Pagina su di lui del sito Sui loro passi, dedicato ai Testimoni e ai Santi della diocesi di Como 

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