Fra Claudio Granzotto, un capolavoro di Dio
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Chi è?
Riccardo Granzotto (al Battesimo, Riccardo Vittorio) nacque il 23 agosto 1900 a Santa Lucia di Piave, in provincia di Treviso e diocesi di Vittorio Veneto, ultimo dei nove figli di Antonio Granzotto e Giovanna Scottà. Dopo gli studi elementari, interrotti al terzo anno a causa della morte del padre, lavorò come muratore accanto al fratello maggiore Giovanni, poi fu apprendista calzolaio. Frequentò anche la bottega di un falegname a Susegana, ma poi tornò a fare il muratore.
Chiamato
alle armi non ancora diciottenne, entrò nella quinta compagnia dell’undicesimo
reggimento fanteria a Forlì. Da lì passò a Roma come allievo motorista, quindi
a Napoli, per la scuola di radiotelegrafia, che gli servì per una successiva
destinazione in Albania.
Finita
la guerra, decise di dare sfogo alla sua passione per l’arte. Fu ammesso all’Accademia
di Venezia, da cui uscì con il titolo di professore di scultura e col massimo
dei voti: un anno prima del diploma, una sua opera era già esposta nella chiesa
parrocchiale di Santa Lucia, a Santa Lucia di Piave. Partecipò anche al
concorso per le opere, in stile greco-romano, destinate al Foro Mussolini di
Roma (l’attuale Foro Italico).
Intanto
continuava la sua ricerca spirituale: già sotto le armi aveva continuato a
vivere le abitudini del buon cristiano apprese in famiglia, ma sentiva di dover
andare più in profondità. L’arciprete di Santa Lucia, don Vittorio Morando, che
aveva anche assecondato la sua vena artistica, gli fece leggere le opere di san
Giovanni della Croce. Inoltre, cominciò ad accostarsi sempre più spesso alla
Comunione eucaristica.
Il 27
novembre 1933 Riccardo partì per il convento di San Francesco del Deserto a
Venezia, dei Frati Minori. Dopo due anni trascorsi a Chiampo, in diocesi di
Vicenza, dal 7 dicembre 1935 iniziò il noviziato canonico: da allora divenne
fra Claudio.
Poté
continuare la sua attività artistica, già orientata esclusivamente all’arte
sacra, ma non rifiutò i compiti dei fratelli laici: la questua, la cura dell’orto,
il servizio alla mensa del convento e la cura dei malati e dei poveri.
Nell’estate
1947, mentre lavorava a una grotta di Lourdes (la quarta) a Brognoligo, ebbe
forti mal di testa. Ricoverato nella clinica neurologica di Padova, gli fu diagnosticato
un tumore al cervello. Morì alle 2.03 del 15 agosto 1947 nell’ospedale civile
di Padova.
Fu beatificato
da san Giovanni Paolo II il 20 novembre 1994 nella basilica di San Pietro a Roma.
I suoi resti mortali sono venerati accanto alla prima grotta di Lourdes che aveva
costruito a Chiampo, località dov’era stato inviato quattro mesi dopo la vestizione:
inaugurata il 29 settembre 1935, è oggi parte, insieme all’antica Pieve e alla chiesa nuova del Beato Claudio, del Santuario
della Grotta di Lourdes e del Beato Claudio a Chiampo, in via Pieve 170.
La sua
memoria liturgica, per l’Ordine dei Frati Minori e per le diocesi di Vicenza e
Vittorio Veneto, ricorre il 2 settembre, giorno del suo Battesimo.
Cosa c’entra con
me?
Non ricordo l’anno esatto in cui ho scoperto la storia di fra Claudio, ma riesco a ricondurre quell’esperienza al percorso di riscoperta dei Santi e dei candidati agli altari che avevo avviato dopo la GMG del 2005.
Sono però sicura che il primo contatto sia avvenuto tramite un articolo della rivista Maria Ausiliatrice, a firma di Paolo Risso: il sito del santuario di Torino, su cui l’avevo letto, è stato profondamente rivisto nelle forme e nei contenuti, ma quel testo fa parte ora della scheda biografica sull’Enciclopedia dei Santi, Beati e Testimoni.
Di lui
mi aveva colpito il percorso che l’aveva condotto ad abbracciare la vita
religiosa senza però seppellire il proprio talento artistico, ma anche lo
spirito di penitenza e l’ardore eucaristico; infine, la sopportazione della
malattia che lo portò alla morte.
Mi sono
fatta bastare questo per parecchi anni, ma non ho dimenticato la sua vicenda,
che mi è tornata alla mente quando, accostandomi alla vita di Bertilla Antoniazzi,
ora Venerabile, ho appreso che lei ha ricevuto la Cresima proprio al Santuario
di Chiampo. A molti è parso come un segnale del fatto che la malattia
(un’endocardite reumatica, per la precisione) avrebbe fatto parte della sua
vita, tanto che Bertilla medesima la considerò, col tempo, il suo “lavoro” e la
sua vocazione.
Nel
2019, gli oratori della mia diocesi avevano scelto proprio le arti come tema
dell’Oratorio Estivo, adottando un Santo o un Beato per ciascuna disciplina:
tuttavia, non si trattava di personaggi che le avevano esercitate, tranne uno.
Mi
venne allora voglia di rispondere a mio modo, elencando le “belle storie” (il titolo era Bella
storia! Io sarò con te) che avrei proposto, se solo quelli della Fondazione
Oratori Milanesi avessero considerato il mio talento in campo agiografico. Dato
che c’era la scultura, non potevo che pensare a fra Claudio.
Riconosco,
anzi, lo avevo già ammesso mentre scrivevo quel post, di essere stata mossa da
un senso di rivalsa e di superbia: mi ritenevo al di sopra di coloro che,
magari a prezzo di ore e ore di discussione, erano pervenuti a scegliere quei
cinque Santi e Beati, tra l’altro assai famosi, e non altri. Lo stesso fra
Claudio, alle nostre latitudini, è un perfetto sconosciuto; eppure tra Milano e
Chiampo non passa una grande distanza. Solo molti anni dopo, quando meno me
l’aspettavo, il mio desiderio è diventato realtà, come raccontavo qui.
Avevo visto che, tempo fa, era uscita una sua biografia, ma non ricordo perché non l’avessi mai presa in considerazione, neanche nelle mie varie richieste di ordini all’editore. Alcuni giorni fa, invece, mentre mi trovavo in un deposito della mia chiesa parrocchiale, ho visto un cumulo di libri, non tutti buoni per contenuto o degni di essere venduti in qualche banco a sostegno delle spese comunitarie. Uno, però, era validissimo: Fra Claudio Granzotto – Dall’arte alla santità, promosso dalla Provincia Veneta di S. Antonio dei Frati Minori. Non ho perso tempo: l’ho infilato subito nella mia borsa, prima che andasse disperso.
Sfogliandolo,
mi sono ricordata di aver letto, al tempo della beatificazione di Giovanni
Paolo I, che fu lui, da vescovo di Vittorio Veneto, ad accettare la proposta
dei Frati Minori di aprire la sua causa, anche se sarebbe stata competenza
della diocesi di Padova, dove il frate morì. Anzi, aprì il processo informativo
diocesano il 16 dicembre 1959 e lo concluse il 16 marzo 1961, mentre sotto il
suo pontificato, nel 1978, avvenne l’introduzione della causa, ossia l’inizio
della fase romana: era infatti convinto che avesse un insegnamento particolare
per il mondo dell’arte, a cui lui stesso era molto interessato.
Soprattutto,
grazie al grande formato del libro, ho potuto esaminare da vicino l’intero
catalogo artistico di fra Claudio, già da quand’era studente dell’Accademia:
dall’impressionante diavolo che regge la conchiglia-acquasantiera nella chiesa
di Santa Lucia di Piave, fino al trittico del Volto di Cristo che intendeva
presentare a papa Pio XII, ma che rimase incompiuto a causa della sua morte
(due sono stati realizzati nel marmo; l’ultimo, quello del Cristo agonizzante,
è rimasto in abbozzo).
Sempre settimana scorsa, pochi giorni dopo aver recuperato il volume sulle opere, ho trovato fra Claudio tra le pagine del numero 6-2025 di Maria con te, precisamente dalla 16 alla 19. Su quel settimanale più volte si era fatta menzione del Santuario della Grotta di Lourdes a Chiampo, nelle pagine relative alle notizie dai santuari, ma in questo caso si parla del novantesimo dell’inaugurazione della grotta, anche se la data precisa (l’articolo non lo dice) è il 29 settembre.
Fra
Claudio lavorò per almeno due anni a quel progetto che gli era stato
commissionato dai suoi superiori, per accrescere la devozione mariana dei
“fratini” dell’allora Collegio Serafico di Chiampo (ovvero la struttura per i
potenziali candidati alla vita religiosa).
Andò
personalmente a Lourdes, ma non prese schizzi né misure: per una settimana
intera rimase a pregare, contemplando la grotta di Massabielle originale che,
tornato a Chiampo, riprodusse nelle medesime proporzioni. A quel punto, i
superiori s’interrogarono se non fosse un lavoro e una spesa eccessiva, ma fra
Claudio rassicurò che lì sarebbe venuta molta gente. Tra quanti sono stati lì
per un conforto spirituale, mi piace ricordare Laura Degan, bambina padovana,
di cui ho parlato qui:
proprio alla Grotta ricevette la sua seconda Comunione.
Anche
un artista attento come lui, però, si trovò di fronte a un ostacolo: la statua
della Madonna. Evidentemente sapeva che santa Bernadette Soubirous, al vedere
l’immagine scolpita da Jean-Hugues Fabisch, non la ritenne corrispondente a
come aveva visto la Signora della grotta, pur ammettendo che era un’opera
bella. Alle insistenze del superiore, replicava che avrebbe scolpito la statua
solo se avesse visto anche lui la Madonna.
Nell’articolo
citato, l’attuale superiore dei frati di Chiampo, padre Alfio Merlo, afferma
che un giorno fra Claudio si mise all’opera, ma non parlò mai di visioni o
altro. Invece padre Epifanio Urbani, nella primissima biografia Oltre
l’arte, attesta la risposta al padre sovrintendente ai lavori: la visione
c’era stata. Anche Paolo Risso, nel suo profilo, assicura che fra Claudio
avesse raccontato al confratello-biografo di aver visto Gesù che l’invitava a
seguirlo.
Di
fatto, la preparazione di ogni opera, per lui, si svolgeva nella preghiera, con
lunghe veglie notturne. Altrettanto certo è che usasse strumenti di penitenza,
a volte limandoli per farli penetrare meglio nelle sue carni, come quando, ancora
secolare, scolpì la Santa Lucia per la chiesa del suo paese. Proprio per questo,
presentandolo al maestro di noviziato, l’arciprete di Santa Lucia di Piave
aveva raccomandato che si vigilasse sulle sue discipline eccessive, che
comunque continuò a praticare.
Questa
è una lezione anche per me: ammetto di mettermi a pregare il personaggio di cui
scrivo solo se non riesco a trovare la chiave interpretativa giusta, o se sono
a corto d’idee, o se le persone a cui mi sono rivolta per un controllo non mi
rispondono da giorni. Allo stesso modo, sento di dover continuare a pregare
anche quando mi sembra che la vita mi colpisca più o meno duramente.
Lui
stesso ha avuto tanti colpi non da poco, a cominciare da quando l’opera che
aveva proposto per il Foro Italico, La Volata (un atleta che lancia una palla), fu inizialmente riconosciuta vincitrice, ma poco dopo respinta. Anche qui, circolano due
versioni: quella secondo cui ciò avvenne perché l’allora professor Riccardo non
aveva la tessera del Partito Fascista, né aveva mai indossato il relativo
distintivo, e quella che riconduce l’accaduto alla morte dello scultore Adolfo
Wildt, a cui si doveva il progetto originario in stile greco-romano e che aveva elogiato le opere di
Granzotto quand’era ancora uno studente.
Ha testimoniato la
speranza perché...
Fra Claudio ha voluto offrire la speranza a tutti coloro che, osservando le sue opere, si sentissero spinti a guardare verso l’alto, a mirare al Paradiso di cui anche l’arte più suprema non è che pallida imitazione.
Inoltre,
quando si trovava a distribuire la minestra ai poveri, incarico che non avrebbe
mai voluto cedere a nessuno, sicuramente dava anche qualche parola di
consolazione e d’incoraggiamento, ripensando alla sua esperienza al fronte e
alle prove di cui i superiori si servivano per saggiare, verificandola
positivamente, la sua umiltà.
Infine,
quando il tumore si fece più evidente, lo colse come un modo per prepararsi al
passaggio alla vita eterna; a quanto pare, ne ebbe alcuni presagi durante la
preghiera.
Il suo Vangelo
L’allora monsignor Albino Luciani (viene quasi da pensare che sarebbe stato meraviglioso se, da Papa, l’avesse pure beatificato, ma neanche la storia dei santi si fa con i “se”) era convinto che fra Claudio avesse un messaggio soprattutto per gli artisti in generale, ovvero far capire loro che l’arte è soggetta alla legge morale, e, più nello specifico, per quanti lavorano nell’arte sacra: a loro insegna che in chiesa si è solo ospiti, mai padroni.
In
chiesa lui trascorreva le sue veglie, in preghiere a volte lunghe otto ore di
fila, da cui traeva la luce da delineare nelle opere scultoree, ma anche riceveva
la forza per i compiti da semplice frate. In questo modo, non solo ha prodotto
capolavori materiali, ma lui stesso è diventato un capolavoro di Dio.
Tra le
sue opere più pregevoli c’è il Cristo Morto, statua in marmo di Carrara,
inaugurata il 2 novembre 1941 nella chiesa di San Francesco a Vittorio Veneto,
alla quale aveva lavorato tra il 1940 e il 1941. Padre Urbani fa risalire a
quello stesso periodo uno scambio di battute col professor Giuseppe Modolo, suo
conoscente.
Venuto
a trovarlo nel suo studio, bonariamente lo rimproverò: gli sembrava che andasse
a rilento, quasi che non volesse terminare quel Cristo. Fra Claudio replicò che
doveva anche badare al refettorio, a dar da mangiare ai maiali, a lavare i
piatti e ad altre mansioni simili. L’amico l’invitò a chiedere di esserne
esonerato, ma il frate concluse:
A me sta più a cuore
essere buon religioso che bravo artista. Sono arrivato a provare lo stesso
piacere a lavorare il Cristo che a pulire i piatti. E non perché abbia spenta l’arte,
ma perché credo d’averla superata!...
Chi si
trova da novant’anni in qua alla grotta di Chiampo, ma in generale di fronte a
ogni suo lavoro artistico, ne diventa subito consapevole, ma vale anche per chi
si accosta alla sua esperienza di fede e di arte.
Per saperne di più
Fabio Longo, Beato Claudio Granzotto ofm - Pellegrino verso le vette della perfezione evangelica, Velar 2015, pp. 48, € 5,50.
Il
racconto della sua vita, delle sue opere, della sua spiritualità.
Su Internet
Sito del Santuario della Grotta di Lourdes e del Beato Claudio a Chiampo
Pagina
del sito del Dicastero delle Cause dei Santi con un brevissimo profilo e
l’omelia per la beatificazione
Pagina
del sito della diocesi di Vicenza, col Proprio della Messa
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