Madre Maria Candida Casero, un invito alla gioia e alla perseveranza
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| Madre Maria Candida tiene in mano i volumi della Liturgia delle Ore appartenuti all’arcivescovo Montini, dono del suo ex segretario monsignor Pasquale Macchi (immagine ritoccata attraverso Gemini AI) |
Bice Luigia Casero nacque a San Vittore Olona, in provincia e diocesi di Milano, prima dei tre figli (unica femmina) di Giulio Casero e Candida Oggioni, proprietari di un’osteria. Crebbe in una famiglia sana e in una parrocchia attiva, quella dei Santi Vittore e Sebastiano a San Vittore Olona, dove ricevette i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana e frequentò l’oratorio femminile, entrando nell’associazione delle Figlie di Maria.
Dopo tre anni alle Scuole Tecniche “Carlo Dell’Acqua”
di Legnano, trovò subito lavoro come impiegata, prima nel calzaturificio “Umberto
Uboldi” della sua città, poi a quello denominato “Sanvittore”. Il suo tempo
libero era riservato alla preghiera, alla vita in parrocchia e in famiglia e al
dialogo con le amiche.
Appassionata di musica, non si accorse che il
suo maestro di violino aveva attenzioni speciali per lei, finché alcuni compaesani
non glielo fecero notare: troncò subito le lezioni, perché il suo ideale era un
altro. Lo cementò entrando nel Terz’Ordine Francescano, che aveva conosciuto
tramite i padri Cappuccini del convento di Cerro Maggiore, dove andava a
confessarsi, e come membro della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, impiantata
nella sua parrocchia nel 1930.
Leggendo la Storia di un’anima di
santa Teresa di Gesù Bambino, si sentì orientata alla vita contemplativa, ma era
anche cagionevole di salute. L’incontro con don Giacomo Renoldi, che divenne il
suo confessore fisso, l’orientò più decisamente verso quella via.
Nel 1933 don Giacomo l’accompagnò al
monastero delle Romite Ambrosiane a Santa Maria del Monte sopra Varese: dopo un
dialogo con l’abbadessa, decise che sarebbe entrata lì. I familiari rimasero
perplessi di fronte alla sua scelta, ma alla fine l’appoggiarono.
Il 25 maggio 1935, quindi, Bice entrò nel
monastero del Sacro Monte di Varese. Prese l’abito monacale il 16 aprile 1936, cambiando
nome in suor Maria Candida, in onore della Madonna e di sua madre. Nonostante
la salute le causasse qualche problema, arrivò alla professione semplice, il 24
aprile 1937; tre anni dopo, celebrò la professione solenne.
In quegli anni, al monastero del Sacro Monte
era collegato un educandato, con scuole di avviamento professionale, scuole
elementari e di “cultura libera”. Suor Maria Candida fu incaricata dall’abbadessa,
madre Maria Vittoria Nebuloni, di seguire le
educande sia come insegnante di disegno e galateo, sia nelle ore di
ricreazione. A quarant’anni fu eletta vicaria, ossia come primo sostegno dell’abbadessa,
mentre dall’ottobre 1959 e per quattro anni fu maestra delle novizie.
Nel mezzo di quegli impegni, suor Maria Candida aspirava a una vita puramente contemplativa, come alle origini delle Romite Ambrosiane, fondate da Caterina Puricelli da Busto e Giuliana Morigi da Pallanza (entrambe venerate come Beate), le cui Costituzioni risalivano al 1375 e la cui regola era quella dell’Ordine di Sant’Agostino; con lei, altre monache condividevano la stessa aspirazione, mentre il resto della comunità era contento della vita che conduceva.
Suor Maria Candida fu aiutata ad attuare quel
progetto dall’arcivescovo di Milano, monsignor Giovanni Battista Montini, e
da monsignor Ettore Pozzoni, vicario moniale della diocesi (oggi diremmo “vicario
episcopale per la vita consacrata contemplativa femminile”; attualmente è un
ruolo che compete al vicario episcopale per la vita consacrata).
Lo stesso Montini, nel frattempo creato cardinale, individuò la sede del nuovo
monastero in una struttura risalente al 1628 sul colle della Bernaga, a La
Valletta Brianza, precisamente nella frazione di Perego: l’8 settembre 1962, lui, le autorità religiose civili, i proprietari del monastero e tre monache,
compresa suor Maria Candida, effettuarono un sopralluogo. Sei mesi dopo, fu
eletto Papa e prese il nome di Paolo VI (canonizzato nel 2018): non dimenticò la nuova comunità,
stanziando di tasca propria l’intero ammontare per l’acquisto del monastero.
Il 14 settembre 1963 suor Maria Candida e
nove religiose iniziarono la loro nuova vita. Per tre anni lei fu ancora una
volta vicaria e maestra delle novizie, finché, il 5 aprile 1967, con le prime
elezioni, fu eletta abbadessa; fu riconfermata di triennio in triennio, fino
alla morte.
Il 25 marzo 1974 accompagnò nove monache nel
nuovo monastero di San Giuseppe ad Agra, in provincia di Varese, che fu
canonicamente eretto il 15 settembre 1977; rimase lì per tre anni come
responsabile, restando contemporaneamente abbadessa dell’altro monastero. Una
terza comunità fu aperta a Revello, in diocesi di Saluzzo, il 7 aprile 1986,
dietro invito di monsignor Antonio Fustella, ambrosiano d’origine (precisamente
di Merate, Lecco).
Madre Maria Candida lavorò per ottenere l’approvazione
canonica della sua istituzione: il 7 dicembre 1981 fu emesso il decreto con cui
la Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari approvava le
Costituzioni e assegnava il nuovo nome di Monache
Romite dell’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus, giuridicamente indipendenti dalle
Romite Ambrosiane del Sacro Monte di Varese.
Da tempo sofferente per un tumore alla cistifellea, affrontò tre operazioni chirurgiche molto delicate. Continuò a lavorare per il
bene delle sue Romite, concordando le loro Costituzioni con il nuovo Codice di
Diritto Canonico del 1983. La Congregazione dei Religiosi confermò nuovamente
le Costituzioni il 25 aprile 1990.
Madre Maria Candida morì alle 22.04 del 26
ottobre 1989 nel monastero della Bernaga; fu sepolta nel cimitero interno al
monastero.
Cosa
c’entra con me?
Non posso negare che la mia conoscenza di madre Maria Candida passa per la storia di san Carlo Acutis: avevo infatti letto, nella sua primissima biografia, che lui aveva celebrato la Prima Comunione nella chiesa del monastero della Bernaga il 16 giugno 1998, a sette anni appena compiuti, non solo perché ritenuto in grado di distinguere il Pane consacrato da quello comune (requisito fondamentale anche per i bambini in età più abituale), ma perché appariva pronto e consapevole di un segno simile, oltre che desideroso di entrare in profonda comunione con Gesù.
L’ho
scoperta del tutto tramite un piccolo libro uscito nel 2011, il cui sottotitolo
mi ha colpita immediatamente, perché la definiva «Fondatrice delle Monache
Romite dell’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus». Una denominazione che mi
lasciava perplessa: sapevo da tempo, infatti, che le Romite Ambrosiane riconoscevano
come fondatrici le Beate Caterina e Giuliana.
La
lettura di quel testo mi ha portata a capire che si trattava di una realtà
giuridicamente autonoma e distinta, ma che in quelle due monache del 1400 trovava
la comune origine, che a dire il vero rimonta a sant’Ambrogio medesimo.
Nella
ricerca spirituale della giovane Bice Casero ho rivisto un po’ anche la mia: ci
accomunano la partecipazione alla vita della parrocchia e dell’oratorio, seppur
con forme leggermente diverse data la sua epoca, insieme all’amore per la
musica e l’arte e all’attrattiva per figure di Santi che avessero un messaggio
particolare.
Ho già
citato santa Teresa di Gesù Bambino, ma anche a lei, come a me, era cara Bartolomea Capitanio, all’epoca non ancora Santa, fondatrice delle Suore di Maria Bambina
con suor Vincenza Gerosa, canonizzata nella stessa celebrazione, ma spesso presentata alle giovani cattoliche come esempio: nel libro è
riportata la foto di un dipinto realizzato da lei, in cui Bartolomea ha sullo
sfondo il lago d’Iseo ed è circondata da gigli, simbolo di purezza verginale
(una sua biografia è intitolata Il giglio del Sebino, ossia il nome antico di
quel lago).
Mi domandavo
però come mai lei avesse voluto separare la sua comunità da quella del Sacro
Monte. La risposta risiede nelle vicissitudini storiche di quel monastero: dopo
la caduta di Napoleone, le Romite Ambrosiane furono obbligate da Giuseppe II,
imperatore d’Austria, ad accettare di aprire un educandato per mantenersi in
vita; quella struttura era ancora aperta negli anni ‘30 del secolo scorso,
quando Bice arrivò per la prima volta lì, accompagnata dal suo confessore.
La sua
capacità di attrarre e conquistare le ragazze e le giovani, già messa in campo
tra le Figlie di Maria e nell’Azione Cattolica, per la gioia dei suoi parroci e
dei loro vicari, fu subito impiegata in quel senso anche dall’abbadessa, prima
con le educande, poi con le novizie e con le probande.
Tuttavia,
suor Maria Candida non era arrivata lì per quel genere di vita, ma perché
anelava alla clausura più rigida che la sua fragile salute potesse reggere,
così da non pensare ad altro che a Dio. Solo l’intervento di monsignor Montini, poi cardinale e Papa, uomo giusto al momento giusto, poté permetterle di realizzare quell’aspirazione.
Le
testimonianze che ho letto attestano che avesse una capacità speciale di stare
con le ragazze più giovani, quindi anche con le novizie. Si era lasciata il
mondo alle spalle, ma non l’aveva chiuso fuori: accoglieva su di sé le ansie
della società e della Chiesa, anche per quanto riguardava il rinnovamento della
vita consacrata, e cercava di farle proprie.
La vita
delle Romite Ambrosiane e delle Monache Romite dell’Ordine di Sant’Ambrogio ad
Nemus ha poi una particolarità: sono le uniche comunità contemplative dov’è in vigore
il Rito Ambrosiano e ha grande valore il canto fermo, ossia il canto tipico
della liturgia ambrosiana.
La sua
storia mi è tornata alla memoria ieri, quando ho letto, sul Televideo Rai, la
notizia dell’incendio che ha reso inagibile il monastero della Bernaga,
avvenuto sabato scorso e andato avanti per tutta la notte.
Ammetto
che il mio primo pensiero è stato che avevo appreso la notizia nel giorno della
nascita al Cielo di san Carlo Acutis (non della sua prima memoria liturgica
dopo la canonizzazione, essendo appunto il giorno del Signore), ma ho subito
iniziato a ragionare sul fatto che, a differenza sua, madre Maria Candida è
quasi una perfetta sconosciuta.
Lo è
anche suor Maria Raffaela Forni, una monaca del suo stesso ordine, morta nel
1977 a trentatré anni: madre Maria Candida chiese aiuto al cardinal Martini su
come fare per avviarne la causa di beatificazione (che non è stata aperta; comunque,
ora credo che le monache abbiano altro a cui pensare).
Alla
fine ho pensato di scrivere di madre Maria Candida, ma per tutto il pomeriggio
di ieri ho cercato di ricostruire cosa legasse il nostro nuovo san Carlo a lei,
che non l’ha conosciuto essendo morta circa due anni prima che lui nascesse. Ho
fatto confluire le mie ricerche in questo articolo, fresco di pubblicazione sul
Portale della diocesi di Milano.
Mentre seguivo le notizie circa l’incendio, mi sono domandata cosa succederà ora alle Monache Romite dell’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus. La loro nuova sistemazione non potrà essere ad Agra, perché la comunità è stata chiusa e il 12 gennaio 2025 le monache hanno salutato definitivamente la città e la parrocchia; da quello che ho capito, invece, quella di Revello esiste ancora (a meno che la pagina delle comunità religiose sul sito della diocesi di Saluzzo non sia da aggiornare). [AGGIORNAMENTO 23/10/2025: il sito della Diocesi riferisce che sono temporaneamente ospitate nella Casa estiva delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Cassina Valsassina, in provincia di Lecco].
Inoltre,
mi domandavo quando sia stato chiuso l’educandato annesso al monastero del Sacro
Monte e quindi anche lì sia tornata la clausura papale: da questo articolo
risulta che sia avvenuto nel 1969, quando ormai madre Maria Candida aveva preso
un’altra strada.
Sarebbe
allora lodevole, ma non so quanto praticabile, che i due rami ritornino alla
medesima sorgente: fuor di metafora, che le ventuno monache un tempo alla
Bernaga entrino nella comunità del Sacro Monte.
Ha testimoniato la
speranza perché…
Madre Maria Candida incarna secondo me la speranza anzitutto perché non ha mai smesso di cercare il proprio posto nel mondo e nella Chiesa, rispettando i limiti previsti al tempo per le donne e senza cercare prevaricazioni. Quando l’ha trovato, però, non ha ravvisato in esso quel che si aspettava, a causa della presenza dell’educandato: non per questo ha lasciato perdere, ma ha cercato di compiere al meglio il suo ruolo di educatrice e di maestra delle novizie.
Ha
continuato a sperare negli anni in cui le autorità diocesane avevano iniziato a
recepire il suo desiderio e anche quando l’elezione di papa Paolo VI è sembrata una battuta d’arresto. Infine, nel tempo della malattia, si è
aggrappata fino all’ultimo alla richiesta di approvazione da parte della Santa
Sede, arrivata però dopo la sua morte.
Il suo Vangelo
La testimonianza di madre Maria Candida può essere riassunta nelle parole che l’ancora per poco cardinal Montini affidò alla sua comunità nel giorno del sopralluogo. Contrariamente al parere di altri monsignori, che immaginavano una destinazione diversa per il monastero, diede a lei e alle consorelle il compito di essere «testimonianza viva della preghiera e della penitenza».
Da quel
che ho capito di lei, ha fatto del suo meglio per restare fedele a quel mandato
e per trasmetterlo alle religiose che affluivano al monastero. La sete di radicalità,
come scrivevo prima, non le impediva di fare proprie, in pieno stile
conciliare, le gioie e le speranze, i dolori e le angosce di cui veniva a
conoscenza.
Per
questo poteva invitare le consorelle a incarnare quello che noi ambrosiani
abbiamo ascoltato nel Vangelo di ieri:
La vita monastica non
può che essere un’irradiazione di gioia. Gioia di amare; gioia di donare; gioia
di offrire. Gioia che si legge negli occhi e nell’atteggiamento oltre che nelle
parole e che manifesta a chi ci avvicina la consapevolezza di possedere il
tesoro nascosto, la perla preziosa.
Spero
che le Monache Romite dell’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus non più alla
Bernaga continuino a farlo anche in questo momento difficile.
[ALTRO AGGIORNAMENTO 23/10/2025: ecco come contribuire alla raccolta fondi per la ricostruzione del monastero della Bernaga].
Per
saperne di più
Graziano Pesenti, Madre Maria Candida Casero - Fondatrice delle Monache Romite dell’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus, Velar-Elledici 2011, pp. 48, € 3,50.
La sua vita in sintesi (ora le foto costituiscono un materiale preziosissimo per la ricostruzione del monastero).
Monache
Romite del Monastero di Bernaga (a cura di), Il mistero eucaristico nella
spiritualità di Madre Maria Candida Casero, Cantagalli Edizioni 2013, pp.
160, € 12,00.
Una
raccolta di sue riflessioni per le consorelle sul mistero dell’Eucaristia.
Monache Romite del Monastero di Bernaga (a cura di), Nel nome dello Sposo - Madre Maria Candida nel respiro della grande tradizione monastica, Velar 2019, pp. 448, € 28,00.
Un approfondimento sui cardini dell’esperienza della vita monastica riletta attraverso le indicazioni di madre Maria Candida alle monache.
Luigi
Stucchi (a cura di), Madre, come si sente Dio! - Madre Maria Candida Casero
nella memoria del “dies natalis”, Marna 2014, pp. 184, € 16,00.
Raccolta
delle omelie, intrecciate ad altri brani degli scritti di madre Maria Candida, che
monsignor Luigi Stucchi, già Vicario episcopale per la Vita Consacrata
femminile della diocesi di Milano, ha tenuto negli anniversari della morte. La
frase «Madre, come si sente Dio!» fu esclamata dal cardinal Montini appena
arrivato al colle della Bernaga per il sopralluogo.


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