Suor Maria Troncatti, la Santa missionaria dal cuore materno e dalle mani preziose

 

Fonte

Chi è?

Maria Troncatti (al Battesimo, Maria Benvenuta) nacque il 16 febbraio 1883 a Pisogneto di Corteno (dal 1956, Corteno Golgi), in provincia e diocesi di Brescia, seconda dei sei figli sopravvissuti all’infanzia di Giacomo Troncatti e Maria Rodondi, proprietari di terreni e bestiame. Lavorò fin da piccola nei possedimenti della famiglia, abituandosi alla fatica, ma era anche molto intelligente: riuscì ad arrivare alla quinta elementare solo perché fu impiantata in paese apposta per lei.

Leggendo Il Bollettino Salesiano, la rivista fondata da san Giovanni Bosco, che le veniva passata dalla sua insegnante, maturò il desiderio di entrare tra le suore Figlie di Maria Ausiliatrice, fondate anch’esse da don Bosco, e di curare i lebbrosi in terra di missione.

Incontrata l’opposizione del padre, ci riuscì solo dopo che, diventata maggiorenne (a ventun anni, secondo la legge dell’epoca), scrisse di nascosto dai familiari a don Michele Rua, primo Rettor maggiore dei Salesiani (beatificato nel 1972), e fu ammessa nell’istituto. Inizialmente avrebbe dovuto recarsi nella comunità di Tirano, più vicina al suo paese, ma poco dopo le fu chiesto di dirigersi a Nizza Monferrato, alla sede centrale.

Faticò a lungo per adattarsi alla nuova vita, tanto che non iniziò subito il noviziato: le superiore, infatti, temevano per la sua salute fisica e psichica. Alla fine fu ammessa ai voti temporanei, che professò il 17 settembre 1908

Nel corso del suo primo incarico, a Rossignano Monferrato, si ammalò di tifo. Una volta guarita, fu inviata a Varazze, per seguire un tirocinio da infermiera, così da essere utile all’ospedale militare. Nel corso dell’inondazione del 25 giugno 1915, promise a Maria Ausiliatrice che, se ne fosse uscita viva, sarebbe diventata missionaria. Il 19 settembre 1914 professò i voti perpetui.

Dopo un anno a Genova, tornò a Nizza Monferrato, stavolta come infermiera. Mentre assisteva Marina Luzzi, una quindicenne moribonda, si sentì annunciare da lei che sarebbe andata in missione, ma non tra i lebbrosi, bensì in Ecuador. Pochi giorni dopo la morte della ragazza, la superiora generale, suor Caterina Daghero, le comunicò che era destinata proprio all’Ecuador, precisamente alla parte settentrionale del Paese.

Lei e le consorelle con cui condivideva la destinazione partirono il 9 novembre 1922, sbarcando a Guayaquil sotto Natale. Dal 1923 al 1925 fu superiora della comunità di Chunchi; quindi, passò per le missioni di Macas, Sevilla Don Bosco, Sucúa. In tutte le sue destinazioni, suor Maria lavorò come infermiera, medico, dentista, confrontandosi con una cultura e un modo di vivere ancora da evangelizzare.

Non tornò mai più in Italia, anche quando le fu offerta la possibilità. Affrontò pericoli di ogni sorta, sia naturali, sia dovuti al contrasto tra la popolazione degli shuar e i coloni; questi ultimi avversavano la missione di Sucúa, fino ad arrivare, il 4 luglio 1969, ad appiccare un incendio doloso. Suor Maria si adoperò in ogni modo per favorire la pacificazione, fino a disporsi a offrirsi vittima, come confidò alla consorella e amica suor Pierina Rusconi.

Il 25 agosto 1969, l’aereo su cui suor Maria e altre due consorelle erano da poco salite per partecipare agli Esercizi spirituali a Quito precipitò in un canneto: lei fu soccorsa, ma spirò appena arrivata all’ospedale di Sucúa, intitolato a papa Pio XII e da lei stesso fondato. Aveva ottantasei anni, quarantaquattro dei quali spesi in terra di missione.

Suor Maria fu circondata sia in vita, sia in morte, sia dopo morte, da una convinta fama di santità. In particolare gli shuar la piansero come la “madrecita buena” (anche “abuelita”, ossia “nonnina”, quando ormai era diventata anziana) che aveva curato e salvato tanti di loro.

Fu beatificata il 24 novembre 2012 a Macas, città dove sono venerate le sue spoglie, sotto il pontificato di papa Benedetto XVI. La sua memoria liturgica venne fissata al 25 agosto, giorno della sua nascita al Cielo.

È stata canonizzata oggi a Roma, in piazza San Pietro, da papa Leone XIV, prima Figlia di Maria Ausiliatrice a ottenere il massimo onore degli altari dopo la fondatrice, santa Maria Domenica Mazzarello.

 

Cosa c’entra con me?

Riconosco che il mio legame con suor Maria Troncatti, prima dell’ufficialità del decreto sul miracolo per la canonizzazione, era praticamente inesistente. L’avevo presente almeno di nome, per averla vista in qualche pubblicazione sulla santità nella Famiglia Salesiana, ma non avevo mai approfondito la sua storia, neanche a ridosso della beatificazione.

La notizia del decreto sul secondo miracolo, uscita sul Bollettino della Sala Stampa vaticana il 25 novembre 2024, è stata la molla perché proponessi di parlare di lei nella mia rubrica Cammini di santità sulla rivista Sacro Cuore VIVERE, magari proprio nel numero di ottobre, perfetto per una missionaria come lei, oppure già a settembre. Il direttore non solo ha approvato, ma mi ha assegnato un numero doppio di battute rispetto al mio solito.

Quando poi è stato promulgato il decreto per la canonizzazione con dispensa dal secondo miracolo per Bartolo Longo, ho avuto l’idea di scrivere anche di lui e dei suoi legami con i salesiani che considerava “santi viventi”, ovvero don Bosco e don Rua. Anche lui è finito sul numero di ottobre, con l’articolo che ho ripreso qui in occasione della sua memoria liturgica, l’ultima da Beato.

Avevo quindi in animo di pubblicare qui anche l’articolo su suor Maria, in due parti, oggi e domani. Pochi giorni fa, però, ho saputo che il sito dell’Opera Salesiana del Sacro Cuore sarà riorganizzato: anche i miei articoli per la rivista, più altri contributi scritti apposta, troveranno spazio lì, quindi non li ricopierò più qui sul blog. Di conseguenza, d’accordo con il resto della redazione, ho calendarizzato l’articolo alla prima memoria liturgica dopo la canonizzazione.

Insomma, per avere un quadro della sua storia, ho iniziato a leggere un piccolo libro che non ricordo più come mi sono procurata, ma poi ne ho comprato un altro, sebbene pensassi che, per la canonizzazione, sarebbe uscito qualcosa di nuovo.

Qualche ricerca online ha fatto il resto, soprattutto per contestualizzare alcune frasi citate nei due libri e provenienti dalle numerose lettere che suor Maria ha inviato ai suoi familiari; non li ha mai più rivisti, ma li ha sempre ricordati, anche tra le lacrime.

Non posso negare che la sua vicenda mi ha conquistata da subito, sin dai fatti ricordati nella sua infanzia, come quell’incidente di quando aveva circa sette anni, in cui rischiò di bruciare viva, o comunque di avere le mani ustionate e compromesse; o ancora, quell’episodio in cui, a dieci anni, perse il suo gregge e andò a cercarlo, risultando però col perdersi lei stessa, anche se, come riferì al padre venuto a rintracciarla, si sentiva serena perché protetta dalla grazia della Comunione della domenica precedente.

Ho sofferto con lei per le sue traversie vocazionali, cominciate con l’impedimento da parte dei familiari e proseguite quando, all’inizio della vita in convento, si è sentita come imprigionata, lei che era abituata a correre per le sue montagne. La lettera che il suo parroco, anche lui inizialmente contrario, le mandò per scuoterla, insieme a una novena a don Bosco, le diede nuovo coraggio.

Non solo: mentre le superiore erano ancora dubbiose se ammetterla o meno ai voti temporanei, due suore addette a servizi umilissimi, come la cuciniera che la stessa Maria affiancava, erano invece sicure che possedesse i requisiti fondamentali per una vera Figlia di Maria Ausiliatrice, come la volevano i fondatori.

Le vicissitudini in terra di missione, invece, costituiscono il cuore della sua storia, piene di episodi avventurosi e rischiosi, che mi hanno fatto tornare alla mente quel passo della seconda lettera ai Corinzi (2Cor 11,26-27), in cui san Paolo enumera le sue sofferenze, suo unico motivo di vanto.

Suor Maria ha vissuto quello stesso genere di pericoli, ma ne è sempre uscita viva, con l’aiuto di Maria Ausiliatrice e l’intercessione dei santi salesiani coi quali si sentiva in profonda comunione. Il Beato Michele Rua, che la conobbe, le diede una benedizione speciale, quando era malata di tifo, da cui si sentì sempre protetta. In un’altra occasione, invece, lei vegliò don Albino Gomezcoello, Salesiano sacerdote colpito da avvelenamento, invocando privatamente suor Teresa Valsé Pantellini, ora Venerabile.

Riguardo l’incidente che le è stato fatale, umanamente ci si potrebbe chiedere perché Dio abbia permesso che non si salvasse anche in quel caso: ora appare chiaro che la sua morte dovesse servire per favorire la pacificazione tra shuar e coloni, che di fatto ci fu.

A volte, quando leggo i racconti di missionari dei tempi andati, mi domando se il loro stile sia applicabile al giorno d’oggi, in cui si privilegia l’inculturazione e l’esame di quanto di buono le culture locali portano in sé, rispetto all’imposizione di modelli e stili di vita occidentali. La missionarietà di suor Maria è sicuramente legata agli usi del suo tempo, ma ha comunque combattuto le leggi non scritte della “selva”, ossia della foresta amazzonica, come l’infanticidio di figli non desiderati, lo sfruttamento delle donne, il lavoro disorganizzato, i matrimoni combinati.

Infine, ho riconosciuto che, se ora le è stata accordata la canonizzazione, non è solo per le opere, come l’ospedale di Sucúa, o per le guarigioni avvenute grazie alle sue cure, ma per la sua continua relazione con Dio. L’aveva già sperimentata nell’infanzia, ma l’ha affinata apprendendo il metodo salesiano della continua unione con Dio, da favorire ad esempio con brevi giaculatorie.

In missione, poi, è rimasta fedele a quel metodo, ma anche ad altre forme di preghiera tradizionale, come la Via Crucis o il Rosario. Pregava anche per capire quale decisione prendere in casi gravi, spesso dirigendosi in cappella, ma non tanto per prendere tempo.

Tra le numerose risorse messe in campo dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, sottolineo questo documentario in cui è raccontata estesamente l’avventura missionaria di suor Maria.


 

Ha testimoniato la speranza perché…

La canonizzazione di suor Maria fa risplendere tutte le sue virtù, ma quella della speranza è da risaltare in modo particolare, essendo il tema di questo Giubileo. Per lei la speranza era sapere che Dio c’è e che non l’avrebbe mai abbandonata, nei giorni felici e in quelli tristi, nei successi e nei fallimenti, nelle difficoltà dei primi tempi e nelle gioie vissute in età avanzata.

A tutti coloro che ha incontrato, coloni e shuar, Salesiani sacerdoti e coadiutori (i religiosi non sacerdoti), Figlie di Maria Ausiliatrice e donne laiche, ha trasmesso questa stessa speranza, affiancando all’aiuto materiale quello spirituale, consapevole che quest’ultimo non veniva da lei, ma da Maria, Aiuto dei Cristiani e di tutti i suoi figli.

 

Il suo Vangelo

L’annuncio evangelico nella vita di santa Maria Troncatti ha avuto due centri focali: il cuore e le mani. Nel cuore ha custodito i sogni più grandi, a cominciare da quello per la missione (un’altra combinazione provvidenziale ha fatto sì che la celebrazione sia avvenuta nel centocinquantesimo della prima spedizione missionaria delle Figlie di Maria Ausiliatrice), ma ha fatto propri anche quello per una vita più dignitosa per gli shuar, a cominciare dai più piccoli, ovvero i bambini abbandonati appena nati e le bambine ancora da educare.

Le mani, invece, sono state una vera e propria appendice del buon Dio ed erano costantemente in azione, sia che dovessero maneggiare strumenti medici o reggere il capo di una donna a cui un’altra suora stava cavando i denti, o che sgranassero il suo grosso Rosario da quindici poste, o si congiungessero in preghiera per qualche caso difficile.

Senza l’aiuto di Dio non avrebbe mai ottenuto nulla di buono, sin dai primordi del suo arrivo in missione. Il 13 luglio 1923 scrisse ai suoi familiari di averne tanto bisogno in un cammino arduo e in un compito per nulla facile:

Ma quel Dio che mi ha dato tanto coraggio non mi lascerà in abbandono: lo sento molto vicino, Gesù, direi si fa sentire sensibilmente; e difatti come avrei potuto avere la forza, una povera creatura tanto debole, avere tanto coraggio? E come potrei vivere così allegra e contenta come sono, in un deserto straniero e direi quasi barbaro?

In questo giorno tanto solenne, prego che questo stesso aiuto non manchi al popolo che oggi rende grazie per la sua “madrecita buena” (“y santa”, aggiungerei), ma anche alle Figlie di Maria Ausiliatrice, particolarmente a una mia vecchia amica e a una di loro che mi è stata assegnata come sorella spirituale missionaria.

 

Per saperne di più

Wanda Maria Penna, Maria Troncatti. Figlia di Maria Ausiliatrice – «Perdere» la vita per amore, Velar-Elledici 2011, pp. 48, € 3,50.

La sua vita in sintesi in un libretto che di poco ha preceduto la beatificazione.

Pierluigi Cameroni SDB, Suor Maria Troncatti – Un cuore di madre, Editrice Shalom 2012, pp. 192, € 5,00.

Il Postulatore generale della Famiglia Salesiana presenta vita e spiritualità di suor Maria in un volumetto che attinge largamente alla Positio, uscito in occasione della beatificazione.

Maria Collino, La grazia di un sì tutto donato. Maria Troncatti missionaria nella foresta amazzonica, Elledici 2012, pp. 488, € 25,00.

Biografia più estesa, anch’essa uscita per la beatificazione.

 

Su Internet

Materiale sul sito istituzionale della Famiglia Salesiana, nella sezione “Santità salesiana”

Sito ufficiale lanciato in vista della canonizzazione 

Pagina su di lei del sito del Dicastero delle Cause dei Santi con il profilo biografico e l’omelia della beatificazione 

Commenti

Post più popolari