Io c’ero #6: a Roma, per Giovanni Paolo II Beato



Con questa pubblicazione inizia un ciclo di post dedicati, più o meno direttamente, ai due papi che verranno canonizzati domenica prossima e a quello che hanno significato per la mia vita. Comincio quindi col racconto, che avevo già brevemente anticipato lo scorso anno, dell’avventura che ho vissuto il 30 aprile e il 1° maggio 2011, in occasione della beatificazione di papa Giovanni Paolo II.
Come di consueto, preciso che le fotografie sono tutte opera mia. Gli orari, invece, li ho ricavati dal momento in cui ho scattato le foto, ma sono molto indicativi.


Sabato 30 aprile

Ore 7:00 – La  partenza

Quando ho appreso che la mia Diocesi avrebbe organizzato un pullman per far partecipare i giovani che lo desiderassero alla beatificazione, ho deciso subito che sarei stata presente. Volevo che venisse con me una mia amica, che per il Papa in questione nutriva una grandissima devozione, ma all’epoca aveva altri impegni e, per giunta, si era lasciata impaurire dal fatto che era previsto il pernottamento all’aperto. Non sarei stata da sola, tuttavia: sapevo che sarebbe venuta anche Valentina, una ragazza che avevo conosciuto alla Messa per gli universitari del giovedì.
Ero così impaziente di partire che sono arrivata al punto di ritrovo, la stazione della metropolitana di Lampugnano, con mezz’ora di anticipo. Ho iniziato a guardarmi attorno, poi ho scorto due ragazzi con lo zaino sulle spalle, evidentemente diretti anche loro verso Roma. Poco dopo sono arrivati ben due pullman, non l’unico che mi aspettavo. In totale, i partecipanti erano un centinaio di giovani, alcune consacrate e tre sacerdoti.
Contrariamente a quanto mi accade di solito, su qualsiasi mezzo di trasporto mi trovi a viaggiare per una lunga distanza, non mi sono addormentata: ho chiacchierato a lungo con la madre di Valentina, Linda, anche lei con noi, e ho pregato la Liturgia delle Ore insieme ai miei compagni; dopotutto, si trattava di un pellegrinaggio.

Ore 17:00 – E t’tt’ d’n tratt’, il coro: «Siamo quiiii...»

Dopo poco più di dieci ore di viaggio siamo sbarcati a Roma, nei pressi della stazione della metropolitana di Ponte Mammolo, da cui dovevamo prendere il treno fino al Colosseo. Abbiamo finito per occupare, da soli, due vagoni interi del treno! Non poteva esserci occasione migliore, quindi, per incoraggiare i miei compagni a intonare qualche canto, in pieno stile GMG: così, anche in ricordo del Giubileo del 2000, ho attaccato con Emmanuel, seguita a ruota dal resto della comitiva, anche se non ricordavo con esattezza tutte le strofe.
Dal Colosseo ci siamo mossi, a piedi, lungo via dei Fori Imperiali, per arrivare al Circo Massimo in tempo per la veglia serale. La strada era veramente stracolma di gente: c’era perfino una coppia di sposi, che ha voluto scattare una foto con noi. Il tempo atmosferico, intanto, non volgeva esattamente al bello: avevo paura che piovesse, ma stavolta, a differenza della mia prima GMG, ero ben equipaggiata per difendermi dal freddo e dall’umidità.

Ore 18:50: in attesa della veglia, tra interviste e incontri

Il nostro gruppo è arrivato nella zona prevista per la veglia in larghissimo anticipo e si è subito accaparrato i cestini per la cena preparati dagli sponsor. Dal canto mio, avevo deciso di cogliere l’occasione per familiarizzare con qualche pellegrino straniero, ma, prima che potessi farlo, ho notato un certo fermento tra gli altri giovani, che avevano preso a indicarmi: una giornalista, infatti, aveva bisogno d’intervistare qualcuno di noi. Supponendo che fosse una falsa reporter o che, se fosse vera, appartenesse a qualche testata non religiosa, le ho chiesto per chi lavorasse: apparteneva all’agenzia AdnKronos, per cui ho capito che dovevo cercare di dare risposte abbastanza neutre.
La prima domanda fu: «Che ricordi hai di questo Papa?». Lo sforzo non è andato a buon fine: l’ho descritto, lo ricordo bene, come qualcuno che ha riportato l’uomo a Cristo e ha concesso a Cristo di parlare all’uomo, riecheggiando alcune tra le sue primissime parole in pubblico.
Proprio di parole trattava la seconda domanda: «Quali parole di Giovanni Paolo II ti hanno più colpita?». Volevo evitare la facile retorica e di citare il «Non abbiate paura!», ho cercato di ricordare qualche altra frase, ma ho avuto un terribile vuoto di memoria. Ho cercato di cavarmela, a quel punto, mettendo l’accento su come avesse gestito la sofferenza, a cominciare dal primissimo ricovero al Policlinico Gemelli.
Terminata l’intervista, ho trovato qualcuno con cui attaccar bottone. Tanto per non smentirmi, si trattava di un seminarista, Joachim: di nazionalità belga, a Roma per motivi di studio, apparteneva alla Famiglia Spirituale «L’Opera», fondata da madre Giulia Verhaeghe e ufficialmente riconosciuta a livello ecclesiale. Di quello che ci siamo detti, ricordo il consiglio a non curarmi eccessivamente di ciò che gli altri pensano di me. Chissà che fine avrà fatto?

Ore 19:00  – La veglia e i testimoni

Appena dieci minuti dopo, l’inizio della veglia, sulle note di Jesus Christ, you are my life, intonata dal coro della Diocesi di Roma, che non è stato l’unico a esibirsi (ricordo che c’erano altri tre gruppi, di cui due polacchi).
Il mio interesse è stato toccato in particolare dalle parole del cardinal Stanislaw Dziwisz, che hanno confermato quanto avevo letto, in preparazione dell’evento, nel suo Una vita con Karol, e dal contegno di suor Marie Simon Pierre Normand, la religiosa guarita per intercessione di quel Pontefice. Mi è venuto spontaneo pensare che dev’essere una responsabilità notevole quella che investe chi ha vissuto per tanto tempo con qualche persona proposta ad esempio (ufficialmente o no) o che è stato toccato dalla Grazia che promana da esse.
Anche il Rosario pregato in collegamento con cinque santuari visitati da Giovanni Paolo II è stato molto coinvolgente, sebbene, se non avessi saputo il latino, penso che avrei avuto qualche difficoltà a continuare le Ave Maria dopo la prima parte, pregata nelle lingue nazionali dei santuari in questione.

Ore 23:00 – Verso San Pietro

Terminata la veglia, avremmo dovuto seguire l’itinerario previsto per i pellegrini: visitare otto chiese situate lungo il percorso dal Circo Massimo alla Basilica Vaticana. Don Maurizio, capo del nostro gruppo, era di parere opposto: dovevamo, invece, puntare direttamente alla nostra meta. Così, dopo una breve sosta in bagno, ci siamo mossi costeggiando il Tevere.
Dato che le strade vicine a San Pietro erano chiuse, abbiamo provato ad accamparci nei pressi di Borgo Santo Spirito, insieme a un nugolo di pellegrini, in prevalenza polacchi. Io ho aperto il mio sacco a pelo per provare a sdraiarmi almeno un po’: neanche il tempo di aprirlo e mi è venuto da piangere. Un po’ era per la rabbia: non mi andava di aver macinato tutti quei chilometri e poi di adeguarmi a seguire la celebrazione dai maxischermi. Un altro motivo era che i polacchi, per tenersi svegli, intonavano alcuni canti: uno era Madonna Nera, cui noi italiani rispondevamo nella nostra lingua, mentre un altro mi sembrava un brano malinconico, che ripeteva spessissimo la parola «Abba». Ho domandato a una pellegrina cosa significasse e lei mi ha risposto: «Abba Ojcze» ossia «Abbà, Padre». Non avrei capito il senso di quel canto finché, durante la veglia in Duomo in preparazione alla GMG di Madrid, non l’avrei nuovamente udito in un filmato di repertorio. Era l’inno della Giornata Mondiale svoltasi nel 1991 a Czestochowa: ecco perché lo cantavano in maniera così appassionata! Ecco una versione:



Domenica 1° maggio
Ore 1:00 -5:00 – «Vedo la santità der Cupolone»

Proprio nel bel mezzo della mia crisi di nervi, ho sentito un mormorio crescente tra la folla: via della Conciliazione, a causa della ressa, era stata aperta in anticipo. Il bello è che avevo aperto del tutto il mio sacco a pelo a mo’ di coperta, per riscaldare anche gli altri, e non sono riuscita a rimetterlo dentro se non prima della partenza per casa!
Nel frattempo, il gruppo degli ambrosiani si era disperso, ma non ero rimasta da sola: mi ero letteralmente appiccicata alla signora Linda, a Valentina e alla sua amica Viviana. Non riuscivamo più a sdraiarci, quindi abbiamo cercato almeno di sederci e di combattere il sonno conversando con alcune signore ucraine. Non appena, però, facevamo per accomodarci, la folla avanzava, anche se di pochissimi centimetri ogni mezz’ora o poco più. L’unica cosa che poteva rinfrancarmi era la vista del Cupolone a distanza sempre più ravvicinata.
Circa verso le 4:00, ho iniziato a venir meno: non riuscivo a parlare e neppure a pensare a niente, se non che ero determinata ad andare fino alla fine di quel viaggio, senza passare per nessun punto d’intervento medico. Valentina e le mie compagne se ne sono accorte e, facendo largo tra la folla per farmi respirare, mi hanno invitata a mandar giù un po’ d’acqua e una caramella.
Non ricordo quanto tempo dopo quel lieve crollo, si è svolta la manovra di avvicinamento più grande. Per non perdere tempo, ho raccolto le forze e mi sono alzata di scatto, meravigliando alcuni giovanotti spagnoli che, scherzando, hanno gridato al miracolo.

Ore 6:50 – In piazza!

Dopo non so più quanti giri del Colonnato del Bernini ed essere passata per il metal detector, finalmente e definitivamente sono arrivata, insieme alle mie compagne, in piazza San Pietro. Appena mi sono sistemata, ho provato a riposarmi, ma non ho preso sonno finché non è iniziata la Coroncina della Divina Misericordia, completamente in canto e in diverse lingue. Facevo scorrere tra le mie dita la corona del Rosario, ma alternavo la preghiera a brevi pisolini.
Ero più o meno a metà piazza, non molto lontano dall’obelisco, ma non riuscivo a vedere da vicino papa Benedetto XVI, quindi ho ripiegato sugli schermi, impegnandomi a restare sveglia.

Ore 9:30 – Ufficialmente Beato


Avevo gli occhi bene aperti e puntati verso l’altare, quando, dopo la lettura del decreto per la beatificazione, è stato svelato l’arazzo: il Beato Giovanni Paolo II tornava a sorridere da quella stessa loggia da cui, nel 1978, si era affacciato per la prima volta.
Rimasi senza parole: solo in quel momento mi resi davvero conto del grandissimo dono che mi era stato offerto nel partecipare a quel viaggio e, ancor prima, nell’essere vissuta in un’epoca che aveva avuto Karol Wojtyla come traghettatore della Chiesa verso il terzo millennio.
Ad aumentare il senso di gioia e di gratitudine, mi tornarono alla mente i riti di beatificazione a cui avevo preso parte in piazza del Duomo a Milano: proprio cinque anni prima, quello dei Beati Luigi Biraghi e Luigi Monza, mentre, nell’ottobre 2009, ero tra coloro che esultavano per il Beato Carlo Gnocchi. A breve, poi, avrei assistito all’elevazione agli altari di altri tre candidati ambrosiani: suor Enrichetta Alfieri, don Serafino Morazzone e padre Clemente Vismara. La facciata di San Pietro parata a festa, pur senza nulla togliere al mio Duomo, era tutta un’altra cosa: osservarla coi miei occhi era ben diverso da farlo tramite il filtro di una cinepresa o di una macchina fotografica. A riscuotermi da quei pensieri ci ha pensato Valentina, che, abbracciandomi e saltando di gioia con me, ha gridato: «Ce l’abbiamo fatta!».
Purtroppo, nonostante i miei sforzi, sono crollata dal sonno durante l’omelia di papa Benedetto, della quale ricordo poco o nulla. Certo, santa Teresa di Gesù Bambino lasciò scritto (cfr. Manoscritto A, folio 75 v°): «I bimbi piccoli piacciono ai loro genitori sia quando dormono che quando sono svegli», ma se avessi tenuto gli occhi aperti sarebbe stato molto meglio. Ecco, quello è l’unico rimpianto che mi porto ancora dietro, a tre anni di distanza.

Tornando a casa
Per tornare al nostro pullman e riunirci alla comitiva, abbiamo dovuto attraversare mezza Roma, ma un bus-navetta ci ha accorciato i tempi. Affacciandomi come potevo, ho potuto constatare, seppure di sfuggita, che davvero la Città Eterna è piena di memoria e mi sono ripromessa di tornarci appena ne avrei avuto l’occasione, fatto che si è verificato solo lo scorso anno.
Un grappolo di palloncini porta in Cielo il "Grazie" della Chiesa
Sul pullman ho dormito saporitamente, svegliandomi solo per le pause e per i Vespri, motivo per cui avevo messo il telefonino in modalità silenziosa. Il problema è che mia madre, preoccupatissima per il mio ritorno perché a Milano c’era lo sciopero dei mezzi, mi aveva tempestata di telefonate! Alla fine, per arrivare a casa, ho preso un taxi.

Insomma, a distanza di anni mi viene da sorridere al pensiero di quelle piccole difficoltà e da ringraziare il Signore e l’ormai prossimo Santo per avermi offerto quell’occasione. Non immaginavo che la canonizzazione sarebbe avvenuta a così breve distanza, ma già allora ero persuasa che la beatificazione l’anticipasse, per così dire, ragion per cui domenica non sarò nuovamente in San Pietro.
Quanto ho appreso da quel viaggio si può sintetizzare così: quando un cristiano viene proposto ufficialmente come esempio, dapprima a livello locale, poi per tutta la Chiesa, diventa come una lampada messa sul lucerniere. Dal momento della proclamazione solenne, ogni fedele può beneficare della sua luce, ossia della sua certa intercessione presso Dio, pur coi limiti del culto (un Beato, infatti, può essere venerato pubblicamente solo nella sua Diocesi o Congregazione/Istituto d’appartenenza).
È così che ho deciso di fare anch’io, nei confronti del Pontefice durante il quale ho vissuto gran parte della mia esistenza finora. Ma il racconto di cosa c’entri con me lo riserverò per un’altra occasione, dato che ora sono stata troppo lunga.

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