Io c’ero #13: GMG 2016 a Cracovia, per chiedere la Misericordia
I miei vicini alla catechesi del 30 luglio |
Avevo concluso la terza puntata della mia cronaca della GMG 2016 con una
nota deprimente. Purtroppo quello che mi è accaduto il giorno dopo ha
contribuito a peggiorare il mio umore, anche se non sono mancate le occasioni
per essere consolata.
* * *
Venerdì 30
luglio – Qualche incoraggiamento da Perugia
L’amarezza con cui avevo vissuto metà di giovedì mi ha fatto avvertire la
necessità di confessarmi, per capire da dove ripartire per cambiare me stessa e
il mondo attorno a me. Prima, però, ho ascoltato monsignor Paolo Giulietti,
vescovo ausiliare della diocesi di Perugia-Città della Pieve, nella sua
riflessione a partire dalla Preghiera Eucaristica V/C che, contrariamente a
quanto pensavo, non mi pare sia presente nel Messale Ambrosiano (motivo per cui
la domanda del vescovo circa il suo uso da noi ha provocato un certo mormorio).
In lontananza, il titolo della catechesi |
Quando quel testo liturgico fa pregare dicendo «Donaci occhi per vedere le
necessità dei fratelli» invita a cambiare lo sguardo e a educare la nostra
capacità di vedere tramite lo studio e ciò su cui ci formiamo. La preghiera
continua con un’invocazione riguardante l’impegno leale «al servizio dei poveri
e dei sofferenti». “Impegno” è una parola che fa paura, quasi significasse
complicarsi la vita. La libertà, invece, è uno strumento da adoperare per il
bene.
L’ultimo punto su cui l’ausiliare del cardinal Gualtiero Bassetti si è
soffermato è quello in cui il sacerdote prega: «La tua Chiesa sia testimone
viva di verità e di libertà, di giustizia e di pace, perché tutti gli uomini si
aprano alla speranza di un mondo nuovo». Le richieste esposte, dunque, non sono
solo per noi, ma per la nostra comunità, per il nostro gruppo, per la Chiesa universale.
Tornare da Cracovia, allora, vuol dire portare quanto vi abbiamo visto e
sperimentato anche a chi non è venuto. Per cementare il nostro sentire comune,
abbiamo ricevuto un compito a casa: leggere l’enciclica «Laudato si’» e, magari,
creare gruppi di confronto.
Dal canto mio, desideravo scambiare qualche parola col vescovo-catechista:
in particolare, mi premeva fargli sapere che mi ero interessata alla vicenda
di Giampiero Morettini, seminarista della sua diocesi (del quale avevo parlato
qui), presentargli qualche caso analogo e fare promozione al blog. Mi è
parso attento e curioso di sapere come mai quella storia fosse giunta da
Perugia fino a Milano, ma mi ha anche offerto un suggerimento: potrei provare a
scrivere un libro vero e proprio. Con tono sempre più amaro, ho constatato di averci provato,
ma senza ottenere risultati. Stavo per raccontargli qualcos’altro, ma una mia
compagna mi ha interrotto.
Una
penitenza non poco gravosa
Prima del lavoro a gruppetti, come anticipavo, mi sono confessata. Il sacerdote
cui mi sono rivolta - il Rettore del Seminario di Milano, ma non l’ho fatto
apposta: era il primo che ho trovato libero - non penso che si ricordasse di
me, né di aver già ascoltato la mia confessione. Stavolta mi ha affidato un
compito particolare: non andare da tutti quelli che conoscevo tra i
partecipanti alla catechesi, per concentrarmi sulla mia comunità parrocchiale e
sui miei giovani, perché è lì che Dio mi chiama.
Ci ho provato, cominciando con l’inserirmi tra due mie compagne che
cercavano, come suggerito, una definizione comune di misericordia. È venuto
fuori un mezzo pasticcio, ma ho provato a non essere troppo invasiva. Intanto,
guardandomi intorno, continuavo a chiedermi perché gli altri ragazzi potessero
andare in giro ad abbracciare gente mentre io me lo sentivo come proibito.
Tra l’altro, nei giorni precedenti avevo visto un mio amico prete novello,
ma non ero riuscita a salutarlo: la prima volta perché avevo appena ricevuto la
Comunione e lui la stava distribuendo, la seconda perché era a suo turno
impegnato in altri saluti. La terza avrebbe potuto essere l’occasione buona, ma
la penitenza che mi ha dato il confessore m’imponeva di lasciarlo stare.
Una scossa dal cardinal Scola
Il caldo ha peggiorato il nervosismo, mentre ascoltavo l’omelia del
cardinal Angelo Scola, sopraggiunto con un notevole ritardo. Commentando le
letture della memoria di santa Marta, il mio arcivescovo ha ricordato ai
giovani l’importanza di coltivare un’amicizia cristianamente intesa, sia con
Gesù sia con gli altri. Solo in questo modo potranno «essere una risposta d’amore
e di pace per i nostri Paesi europei», che ora devono fare i conti col martirio
del sangue, «e per il mondo intero».
Oh, ogni tanto qualcuno che canta! |
Nel saluto prima della benedizione, momento in cui si è svolto anche il
passaggio di consegne al nuovo Responsabile diocesano della Pastorale
Giovanile, don Massimo Pirovano, il Cardinale ha ricordato come la GMG, fin dai
suoi inizi, costituisca un’opportunità per discernere lo stato di vita, in base
a un criterio fondamentale: l’utilità per la Chiesa e per la società.
Quelle parole hanno scatenato definitivamente la rabbia in me: come
ascoltando il Papa mi sono resa conto di essermi messa in pensione prima di
aver mai lavorato seriamente, così nella voce del mio vescovo ho inteso un rimprovero
per aver sbagliato nel credere che Dio mi chiami, ad esempio, a mettere a
frutto le mie conoscenze agiografiche.
Oggi non c’è bisogno, riflettevo, di qualcuno che sappia vita, morte e
miracoli dei candidati agli altari, bensì di chi, per citare il caso di un mio
comparrocchiano, attua operazioni per rendere il proprio quartiere un
laboratorio di pace e civiltà. Il punto è che io lascio sempre che lo faccia
qualcun altro: monsignor Giulietti, invece, ha fatto notare che non dobbiamo
più pensare che questioni del genere non siano affar nostro.
Una
crisi esagerata
Insomma, ero così fuori di me da essermi allontanata dal mio gruppo,
mormorando a mezza voce che sarei andata in bagno. Al mio ritorno ho scoperto
che i miei effetti personali, inclusa la borsetta coi documenti da cui non mi
ero mai separata prima di allora, erano spariti. Mentre mi agitavo, uno dei
miei compagni mi ha fatto presente che i giovani della mia parrocchia si erano
spostati al fresco, portandosi via anche il mio zaino e tutto il resto.
Anziché ringraziarli, sono corsa da loro quasi fossi sul piede di guerra,
ma il mio atteggiamento era determinato da tutta una serie di cause: il caldo
del sole a picco, i rimproveri papali e vescovili, ma anche il fatto che tutto
il mio gruppo parrocchiale non sarebbe andato alla Via Crucis prevista per la
sera. A Madrid era stato uno dei momenti che avevo preferito, quindi mi
dispiaceva non poco, sebbene non dovesse costituire un motivo per prendermela
con chi era con me. Non aveva forse detto il mio confessore che dovevo pregare
per la mia comunità?
Relax
e condivisione
Come vedete, non racconto frottole! |
Così, visto che ero obbligata a stare a riposo, ho pensato di sfruttare
pienamente quella pausa. La megavilla della nostra famiglia ospitante
comprendeva, oltre a un parco sterminato, una piscina coperta e riscaldata con
pannelli solari, più volte elogiata dai miei compagni. Approfittando che non ci
fosse nessuno, sono entrata e ho cominciato a sguazzare beatamente, mentre
fuori si scatenava l’ennesimo acquazzone.
Dopo la doccia e lo shampoo, una breve meditazione personale prima della
ripresa a gruppetti. Contrariamente al mio solito non ho parlato, preferendo
ascoltare gli altri per capire cosa potevo trarre dalle loro riflessioni. Da
quel che ricordo, chi è intervenuto è rimasto stupefatto di fronte ai sorrisi dei
pellegrini, all’accoglienza dei nostri padroni di casa, al desiderio di andare
avanti nonostante la fatica.
Quelle parole hanno contribuito a farmi andare a letto più serena, insieme
alla cena composta da pane, wurstel con salsa ketchup e un bombolone, omaggio dolciario
del ristorante all’aperto (lo stesso di martedì sera) dove ho cenato con gli
altri. Dovevo prepararmi a dovere per non dare di matto lungo il cammino verso
il Campus Misericordiae, luogo della veglia finale, e per evitare di morire di
freddo come mi accadde a Colonia.
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