La mezzanotte... comica (un raccontino di Natale)

Fonte

In teoria, la «Corona d’Avvento dei Testimoni» del 2017 dovrebbe concludersi oggi. A dirla tutta, non ho ancora pronto il post che intendevo pubblicare, quindi ho deciso una soluzione a costo zero, o quasi.
Qualche anno fa, quando ancora non mi ero lanciata come agiografa dilettante, avevo iniziato a scrivere dei piccoli racconti, che componevano la serie «Vita in oratorio», nei quali, attingendo alle mie esperienze, immaginavo alcune vicende parrocchiali. Li ho lasciati a vegetare nel disco fisso del mio computer, quando ho visto che monsignor Delpini, ora mio Arcivescovo, pubblicava qualcosa di simile sull’inserto di Avvenire, Milano Sette: era come se il mio apporto non fosse granché originale.
Dato che i suoi apologhi ora hanno risalto anche livello nazionale (le sue raccolte sono spesso, dallo scorso luglio, nella classifica dei Bestseller della fede del sito Rebecca Libri) e che ha avuto notevole successo anche Il signor parroco ha dato di matto, di Jean Mercier, m’inserisco, o reinserisco dovrei dire, in questo filone.
Se questo episodio pilota vi è piaciuto, fatemelo sapere: i ragazzi dell’oratorio dei Santi Apostoli, i loro educatori e il loro don Michele aspettano solo qualcuno a cui raccontarsi. Se poi voleste riutilizzare questo testo, mandatemi un messaggio o, perlomeno, citate la fonte.
Intanto, buon Natale a tutti!

* * *

In una diocesi come tante,
in una parrocchia come tante,
c’è un oratorio come tanti,
l’oratorio dei Santi Apostoli.
Speciali, però, sono le persone
che in esso lavorano, giocano e pregano,
perché sanno che Gesù è in mezzo a loro.
Questa è una delle loro avventure,
ambientata nel periodo più festoso
e più sacro dell’anno.

L’ultima domenica d’Avvento era tradizione che i bambini dell’oratorio dei Santi Apostoli mettessero in scena un piccolo spettacolo natalizio. Quell’anno si decise di rappresentare «La mezzanotte santa» di Guido Gozzano: a occuparsi del gruppo di piccoli attori c’erano la giovane suor Cristina e il volenteroso educatore Gianni.
«Allora, siete pronti?».
Un flebile «Sì» uscì dalle bocche dei piccoli attori. I due responsabili percepivano la tensione che vivevano: dopo mesi di preparazione, era arrivato il momento di portare sul palco del loro teatro la storia della nascita di Gesù.
Con l’arrivo di don Michele, il sacerdote che seguiva l’oratorio, l’emozione dei piccoli aumentò. Per fortuna, aveva delle parole incoraggianti da rivolgere loro:
«Non fate quelle facce tristi! I vostri genitori e le altre persone hanno bisogno di stare allegri; come possono farlo, se non lo siete voi per primi? Dai, diciamo una preghiera insieme e poi cominciamo!».
A quell’invito, tutti si presero per mano e recitarono il Padre Nostro, poi si disposero dietro il sipario. Gianni era ancora più nervoso di loro: sfogliava ripetutamente il copione e dava continuamente occhiate ai bambini, per controllare se avevano i costumi a posto. Dopo il discorso del don, la tenda rossa si aprì: era l’inizio della recita.
Timidamente, si fecero avanti Antonio e Milena, nei panni di Giuseppe e Maria. Nascosta dietro un velario, suor Cristina suggerì la prima battuta:
« “Consolati, Maria...” ».
«CONSOLATI, MARIA, DEL TUO PELLEGRINARE... », strillò Antonio, provocando alcune risatine fra il pubblico. Gianni soffocò a fatica le proprie, pensando:
«Be’, almeno ha rotto il ghiaccio!».
La rappresentazione proseguì, ma quando Maria e Giuseppe arrivarono all’osteria del Caval Grigio li attendeva una sgradita sorpresa. Antonio declamò, bussando alla porta:
« “O voi del Caval...” ».
La battuta rimase a metà: la scenografia era crollata all’indietro, sotto i colpi vibrati dal bambino.
«Presto, qualcuno tiri su la scena!», fece segno l’educatore ad alcuni dei suoi compagni del Gruppo Giovani, che si erano prestati per l’aiuto dietro le quinte. Il loro intervento consentì a Nicola, che interpretava l’oste, di venire fuori e recitare la sua parte: si era spaventato, infatti, non appena aveva visto la struttura finirgli addosso.
Venne poi il turno di Milena, che doveva supplicare la sua amica Simona, nei panni dell’ostessa del Caval Bianco. Si avvicinò alla porta, ma appena fece un passo inciampò nell’orlo della sua veste: Antonio la afferrò prima che cadesse, ma mentre lei si appoggiava a lui, gli strappò la barba finta.
Il pubblico, che aveva iniziato a ridere sommessamente sin dalla prima battuta, a quella vista scoppiò in una risata ancora più fragorosa. Da dietro, la suora segnalò all’interprete di san Giuseppe di approfittare della confusione per rimettersi a posto la barba, cosa che fece prontamente.
Gli incidenti si accumulavano uno dopo l’altro: la scenografia fu sul punto di crollare mentre Antonio picchiava alla porta dell’osteria del Caval Bianco; Cate, una degli angioletti del coro, si era messa a dormire tranquilla; la macchina della neve, che avrebbe dovuto partire alla battuta «La neve! Ecco una stalla!», si mise in moto solo dopo un potente calcio assestato dalla suora.
Gianni, nel frattempo, si era accasciato su una sedia. Gli sembrava impossibile che, dopo mesi di prove, lo spettacolo si stesse rovinando col procedere delle scene. E dire che la prova generale era andata benissimo... Era sempre più convinto che il fiasco che si stava consumando era solo e unicamente colpa sua.
Col fiato sospeso, si preparò al finale. In un religioso silenzio, tutti assistettero al momento in cui Maria trascolorava, «divinamente affranta». Dopo un breve istante di buio, nella mangiatoia apparve Ciccio, il bambolotto di Milena, che rappresentava Gesù Bambino. Tutti gli attori si disposero in linea sul palco e iniziarono a cantare «È nato, Alleluia», provocando alcuni lucciconi negli occhi dei loro parenti, ma anche in suor Cristina, che andò subito a cercare Gianni.
«Ti sembra forse che siano tristi? Nonostante quello che è capitato, loro sono andati avanti ugualmente!».
«Sei sicura?».
«Certo! Guarda tu stesso!».
Nei volti di Simona, di Antonio e degli altri si rifletteva un sentimento opposto a quello che viveva il loro regista. Stare insieme e rappresentare l’incanto del Natale aveva portato gioia a loro, ma anche a chi era venuto a vederli: doveva accadere a chi si era adoperato in mille modi perché tutto andasse bene, al di là degli imprevisti. Dandosi una pacca sulla fronte, Gianni esclamò:
«Che scemo sono!».
Così, quando don Michele fece il suo nome nei ringraziamenti di fine spettacolo, uscì rasserenato in volto e nel cuore.

(se v'interessa, qui c'è lo spartito del canto; le parole sono dalla poesia di Gozzano, la musica di Daniele Semprini)

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