Mi sento vivo e voglio dirlo a tutti – Intervista a Paolo Palumbo (Cammini di santità #30)

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Come già dicevo un paio di post fa, questo mese, su Sacro Cuore VIVERE, avrei dovuto parlare di Sandra Sabattini della Comunità Papa Giovanni XXIII, in quanto avrebbe dovuto essere stata beatificata domenica scorsa.

Il direttore, però, mi ha dato un’altra indicazione: avrei dovuto scrivere di Paolo Palumbo, del quale si era parlato molto, negli scorsi mesi, per la sua partecipazione speciale all’ultimo Festival di Sanremo. Ho accettato, dato che intanto la beatificazione di Sandra era stata rimandata, ma mi sono subito interrogata su come raccontare una faccenda così delicata come quella di quel giovane aspirante chef.

Non mi andava di copincollare brani d’interviste fatte da altri, così ho tentato di contattarlo telematicamente. Ho quindi toccato con mano cosa vuol dire fare buon uso dei prodigi della tecnica: Paolo stesso ha risposto alle mie domande, nelle quali ho cercato di non ripetere quello che altri giornalisti gli avevano chiesto. L’ultima, a dire il vero, me l’ha suggerita il direttore. Le risposte che ho ottenuto mi hanno aiutata parecchio, nei primi giorni dell’emergenza sanitaria.

Oggi è il Global Day SLA, la giornata di speciale sensibilizzazione sulla malattia che ha colpito Paolo e molti altri, anche nel nostro Paese. Credo che il suo messaggio di attaccamento alla vita possa risultare utile anche in questi tempi.

 

* * *

 

Il 5 febbraio 2020, verso le 23, dodici milioni di italiani stavano seguendo, durante il sessantesimo Festival della Canzone Italiana di Sanremo, l’esibizione di un cantante. Era palesemente diverso dagli interpreti più noti: non tanto perché era salito sul palco del teatro Ariston grazie a una rampa speciale, quanto perché voleva dimostrare, con quel brano, che non esistono ostacoli per chi si aggrappa al dono della vita.


 

 

Si chiama Paolo Palumbo, abita a Oristano e ha ventidue anni. Desiderava studiare all’alta scuola di cucina dello chef Gualtiero Marchesi, ma a diciassette anni ha visto comparire i primi segni della sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Il suo brano, il rap «Io sono Paolo», non ha passato le selezioni di Sanremo Giovani, ma è stato accolto ugualmente fuori gara, proprio per il suo contenuto carico di speranza. Lo stesso messaggio traspare dalle parole con cui, aiutato da un sintetizzatore ottico (il medesimo strumento che gli ha concesso di cantare), Paolo ha risposto alle nostre domande.

 

La nostra rivista si chiama Sacro Cuore VIVERE perché vuol essere uno strumento che aiuti la vita spirituale di chi la legge. Cosa significa, per te, vivere?

Vivere per me significa essere interprete del tempo. Io e il Tempo che passa siamo una cosa sola, e l’unica cosa che può fare il tempo è andare avanti, perciò io vado avanti. Vivo ascoltando le parole e le storie che mi passano accanto, osservando con gli occhi ogni vibrazione attorno a me, provando le emozioni che mi trasmettono le persone. Vivere non vuol dire solo essere in vita, ma cogliere la bellezza di tutto ciò che attorno a noi si muove e respira.

 

Come rispondi a chi, invece, afferma che la tua è una “non vita”?

Rispondo dicendo che nessuno può dire agli altri che cosa significa vivere. Ognuno è libero di avere la sua visione e non bisognerebbe imporla a nessuno al di fuori di sé stessi. Chiunque ha un percorso di vita tutto suo, e sperimenta il mondo intimamente giorno per giorno. Attraverso le nostre esperienze formuliamo un’opinione che appartiene solo a noi, su che cosa significhi vivere. Io mi sento vivo, mi piace essere cosciente di ciò che mi circonda e non trovo differenze nel- la mia voglia di vivere, rispetto a quando non avevo la SLA. Molta gente dice che quella di chi è costretto a letto sia una “non vita”, perché vedono l’enorme divario che c’è tra la loro quotidianità e quella di chi è bloccato da una malattia, ma la verità è che è tutto così graduale, da non accorgersi dei cambiamenti: si notano soprattutto confrontando il passato col presente. La maggior parte di coloro che dicono che la mia è una “non vita”, pensano che non sarebbero in grado di sopportare una condizione simile, ma se la sperimentassero, capirebbero che non ci sono differenze.

 

Come ti difendi dagli eventuali “odiatori” che intervengono sui tuoi profili sui social network?

In prima istanza provo compassione per loro, e non la prendo sul personale: gli odiatori ci sono e ci saranno sempre, ma saranno anche sempre una minoranza, se comparata agli “amatori”! Mi diverto a mostrare quello che mi dicono postando i loro messaggi: dopotutto se hanno avuto coraggio di scriverli a me, non vedo perché dovrebbero aver paura delle opinioni degli altri nei loro confronti!

 

Chiara Gatti, sul sito Vino Nuovo, ti ha paragonato al Servo di Dio Nino Baglieri. Rimasto paralizzato per un incidente sul lavoro a diciassette anni, dopo un lungo periodo di depressione ritrovò la fede e la testimoniò a sua volta, scegliendo poi di diventare un laico consacrato dei Volontari con Don Bosco. Ne hai sentito parlare prima di allora? [avrei dovuto scrivere "prima d'ora", ndr] C’è qualche figura di santità che senti particolarmente vicina?

Non ne ho mai sentito parlare, ma da queste poche parole il paragone è lusinghiero. Prometto che andrò ad informarmi al più presto per conoscere la sua storia! Sono molto legato a santa Rita da Cascia e a Padre Pio.

 

Con papa Francesco hai un rapporto speciale. Il 6 ottobre 2019 ti ha scritto, tra l’altro: «Mi ha colpito molto la tua forza di volontà e la tua tenacia». A te, invece, cosa colpisce di lui, specie dopo che l’hai incontrato di persona lo scorso 26 febbraio?

L’incontro con il Santo Padre è avvenuto per una serie di circostanze fortuite, ma non sarebbe mai successo se non fosse stato un mio grande desiderio conoscere da vicino l’uomo che rappresenta la chiesa Cattolica nel mondo. Ho avuto due settimane di tempo per riflettere su ciò che mi sarebbe capitato. Non posso dire di essermi preparato, perché quando si ha fede la si ha costantemente, prima e dopo un incontro come questo. E poi, si è mai pronti ad incontrare il Papa? Ho preso le emozioni così come sono arrivate, e sono state bellissime. Di lui mi colpiscono la semplicità e l’umanità. Papa Francesco è come un nonno che se potesse abbraccerebbe tutti gli uomini del mondo, e io mi sento accolto nel suo abbraccio ogni volta che penso a lui.

 

Quali suggerimenti “operativi” suggeriresti ai politici o ai dirigenti dei settori da cui dipende la tua vita, per migliorare la vita di persone che hanno difficoltà come le tue?

Potrei scrivere un romanzo in risposta a questa domanda. Le cose da fare sono innumerevoli, e l’anno scorso mi sono candidato alle regionali in Sardegna proprio per creare un assessorato per assistere i disabili. Quello di cui gli organi preposti sembrano non rendersi conto, è che siamo persone normali, ma con delle difficoltà peculiari, per questo servono accorgimenti semplici ma fondamentali per permetterci di vivere. Dovrebbero essere attivate delle commissioni di controllo delle strutture di cura dei malati gravi per garantire assistenza adeguata in casi di negligenza assistenziale; revisionare le modalità di rimborso dei comuni per le spese mediche, che sono a carico delle famiglie; dare la possibilità ai familiari di essere riconosciuti come assistenti dei disabili; realizzare spiagge o passeggiate montane attrezzate per la fruizione dei malati gravi.

 

Oltre alle già citate presenze sui social media (la pagina Facebook e il profilo Instagram «Paolo Palumbo – Finalmente abili», ndr), Paolo ha un sito ufficiale, dove racconta di sé, dei suoi sogni e dei suoi progetti (al momento risulta inattivo, ndr).



Originariamente pubblicato su Sacro Cuore VIVERE NUMERO (giugno 2020), pp. 18-19 (visualizzabile qui)

Commenti

  1. "Quello di cui gli organi preposti sembrano non rendersi conto, è che siamo persone normali, ma con delle difficoltà peculiari, per questo servono accorgimenti semplici ma fondamentali per permetterci di vivere." Che bella questa affermazione e com'è vera!

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