Madre Eugenia Picco: vivere nell’Amore con Dio al centro
Rielaborazione
di una fotografia |
Chi è?
Eugenia Picco nacque a Crescenzago, oggi quartiere a nordest di Milano, l’8 novembre 1867, da Giuseppe Picco, musicista, e Adelaide Del Corno. Fu battezzata due giorni dopo la nascita, il 10 novembre, nella chiesa di Santa Maria Rossa in Crescenzago, con i nomi di Eugenia (in onore dell’imperatrice di Francia, di fronte alla quale il padre si era esibito) Maria Angela.
A causa degli impegni dei genitori, specie dell’attività concertistica del padre, venne educata soprattutto dalla nonna e dalle zie paterne, a Crescenzago. Quando aveva sette anni, fu portata via dalla madre, tornata da sola dopo una tournée negli Stati Uniti: del padre si erano perse le tracce.
Adelaide si era legata a Basilio Recalcati, dal quale ebbe poi altri tre figli. Eugenia venne quindi portata in casa sua, prima a Rottole (anche questo oggi è un quartiere milanese), poi a Milano in via Maroncelli. Ricevette la Cresima e la Prima Comunione nella parrocchia di Santa Maria alla Fontana, ma l’ambiente in cui viveva era lontano dai valori religiosi. A quattordici anni era già fidanzata e trascorreva il suo tempo tra balli e feste; partecipava alla Messa festiva, ma in modo distratto.
Quattro anni dopo, restituì regali e altri oggetti al fidanzato, troncando la relazione. Aveva infatti cominciato a pensare più spesso a Dio, aiutata in questo dalla maestra Giuseppina Allegri, presso la cui scuola privata aveva ricevuto, a partire dal 1878, l’istruzione necessaria a una giovane della buona società; era quasi una figura materna per lei.
Visitava spesso, per l’oratorio festivo, la casa delle Orsoline del Sacro Cuore, che la maestra conosceva bene, non lontano da dove abitavano alcuni zii materni. Ogni giorno, poi, si fermava a pregare nella basilica di Sant’Ambrogio.
La situazione in famiglia, intanto, era peggiorata quando Eugenia aveva scoperto di non portare lo stesso cognome dei suoi fratellastri. La madre la calunniava, mentre il patrigno la infastidiva. Nel maggio 1886, poco dopo una di quelle liti, si era gettata in ginocchio nella sua stanza. Da un quadro appeso sopra il letto aveva visto staccarsi una luce, che l’aveva colpita al cuore come la punta di uno stilo: da allora si era sentita cambiata.
Chiese quindi di poter essere ammessa tra le Orsoline del Sacro Cuore, ma fu invitata a rivolgersi a un’altra congregazione, le Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, fondata appena due anni prima che lei nascesse, a Parma: le suore, infatti, conoscevano bene il fondatore, monsignor Agostino Chieppi, che spesso veniva a Milano per predicare anche da loro. In effetti, a causa dei contrasti in famiglia, non era opportuno che restasse in città.
La notte del 30 agosto 1887, quindi, Eugenia lasciò casa sua e, ospitata dalle Orsoline fino al mattino, partì alla volta di Parma. Monsignor Chieppi l’aiutò a inserirsi nella comunità e incoraggiò le altre religiose a sostenerla, anche quando una malattia sembrò porre fine ai suoi desideri.
Iniziò il noviziato il 26 agosto 1888: ricevendo la medaglia dal fondatore, riconobbe come fosse uguale a un piccolo segno simile che aveva trovato per strada, a Milano, mentre andava all’oratorio festivo. Il 10 giugno 1891 professò i voti temporanei nelle mani del fondatore, mentre emise quelli perpetui il 1° giugno 1894.
Iniziò il suo servizio come insegnante di musica e di francese all’Istituto della Provvidenza di Parma. Nell’estate 1905 fu nominata maestra delle novizie fino al gennaio 1910, quando la superiora generale le affidò l’incarico di segretaria generale. Le succedette, il 19 giugno 1911, come nuova superiora generale.
Madre Eugenia guidò la congregazione cercando d’interpretare le consegne del fondatore e di coniugarle con le necessità del tempo, comprese quelle che si profilarono con l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale. Nel suo diario spirituale, scritto per obbedienza a don Giuseppe Parma, assistente ecclesiastico delle Piccole Figlie, annotò quanto Dio diceva al suo cuore, specie durante la preghiera davanti al Tabernacolo.
Nel giugno 1918 le fu diagnosticata una pleurite essudativa sinistra con febbre alta, a cui si aggiunse, a novembre, un’artrosinovite all’articolazione tibio-tarsica, a causa della quale le fu amputato il piede destro. Questo non impedì, nonostante le sue rimostranze, che venisse rieletta per un secondo mandato. Morì dopo una lunga agonia il 7 settembre 1891, trent’anni esatti dopo monsignor Chieppi (Venerabile dal 1992).
Fu beatificata dal Papa san Giovanni Paolo II il 7 ottobre 1991, in piazza San Pietro a Roma. La sua memoria liturgica cade il 7 settembre, giorno anniversario della sua nascita al Cielo, mentre i suoi resti mortali sono venerati nello spazio attiguo alla cappella della casa madre delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, in piazzale San Giovanni 7 a Parma, in un’urna posta sotto quella del fondatore.
Cosa c’entra con me?
Quello di madre Eugenia, a lungo, per me è rimasto poco più che un nome, comparso nel calendario diocesano almeno dal 2008, quando è stato riorganizzato. Lei è entrata più direttamente nella mia vita in modo non diverso da quello con cui aveva trovato la medaglia uguale a quella delle novizie della congregazione dove sarebbe entrata, anche se al tempo non lo sapeva ancora.
Ho infatti trovato, su un tavolino in fondo alla mia chiesa parrocchiale, due libretti su di lei e tre santini. Temendo che venissero buttati via, ma anche mossa da una certa curiosità, li ho infilati nella mia borsa. Non ricordo il giorno né l’anno preciso, ma è avvenuto sicuramente dopo il mio trasloco, a fine 2012.
Leggendo i libretti, ho capito perché era stata inserita tra i Beati diocesani: perché era nata nell’attuale territorio cittadino di Milano. Soprattutto, mi ha colpita la sua vicenda vocazionale, così travagliata ma anche così luminosa, come quella “lama di luce” che l’aveva trafitta nel maggio 1886. Davvero aveva ragione quel suo cugino che, conoscendo le sue peripezie, un giorno e quasi per scherzo aveva affermato che gli sarebbe piaciuto scrivere la sua biografia, una volta che avesse raggiunto il suo scopo!
La situazione familiare in cui viveva non aiutava un approfondimento della fede e dei suoi valori: alla madre premeva di più farla vivere nell’agiatezza, combinarle un matrimonio vantaggioso e farle spendere il talento musicale, indubbia eredità paterna, per ottenere elogi e complimenti nelle feste da ballo e nelle più disparate occasioni mondane. Non so se, oggi, ci siano ancora famiglie che ostacolano le vocazioni femminili per ragioni simili, anche se le difficoltà di altro tipo non mancano.
Anni dopo, in una lettera a don Parma, suor Eugenia aggiunse che, negli stessi anni in cui aveva riscoperto Dio, era insidiata da un «inumano» contro cui doveva lottare, per sua stessa affermazione, a forza di braccia: riusciva a salvarsi senza neanche capire come. Si trattava dello stesso convivente della madre: questo la rende molto simile a tante donne che, oggi, non hanno però lo stesso coraggio di uscire da relazioni malsane, o comunque di non cedere alla violenza.
Non le mancarono, però, figure che in qualche maniera supplirono all’assenza dei genitori (si scoprì, tempo dopo, che anche il padre si era formato un’altra famiglia, dopo essere stato abbandonato). Anzitutto la maestra Giuseppina Allegri, poi due Orsoline dei Sacri Cuori, madre Virginia Pizzetti e suor Maria Giuseppa Griffith. A proposito di esse, dato che le biografie che avevo trovato parlavano genericamente di “Orsoline” e che Eugenia frequentava il loro oratorio festivo, ma anche la basilica di Sant’Ambrogio, sono stata a lungo convinta che fossero le Orsoline di San Carlo, la cui casa madre è proprio lì accanto.
Suor Maria Giuseppa ha poi favorito un contatto tra lei e padre Ottone Terzi, gesuita, rinomato direttore spirituale. Ho già incrociato effetti della sua missione in altre due vicende di cui ho scritto: aiutò infatti un’altra giovane in ricerca, la Venerabile Laura Baraggia, futura fondatrice della Famiglia del Sacro Cuore, e fu tra i predicatori degli Esercizi Spirituali per il clero milanese che erano stati promossi dal Servo di Dio Domenico Pogliani, al quale si deve la nascita dell’attuale Fondazione Sacra Famiglia di Cesano Boscone.
Da padre Terzi, che non aveva comunque visto male, a monsignor Chieppi, con la partenza per Parma. Di nuovo, leggendo che la congregazione era in piedi da pochissimo, mi è tornato alla mente quel consiglio che mi rivolse una suora: meglio fidarsi di realtà che sono attive da almeno una cinquantina d’anni (forse parlava così perché la sua si apprestava a festeggiare il bicentenario di fondazione). Secondo il medesimo principio, Eugenia avrebbe dovuto ricorrere a qualcosa di più consolidato, sempre però al di fuori di Milano, visto che la madre e il compagno di quest’ultima erano palesemente contrari.
Quando ho visto che il fondatore aveva persuaso le altre suore a non rimandarla a casa perché era sicuro che avrebbe fatto un’ottima riuscita, ho ripensato a quella mia amica che, ancora postulante in un altro Istituto, si era ammalata in modo molto grave. Anche nel suo caso, le superiore devono aver pensato di non dover rinunciare a lei: oggi è suora di voti perpetui e promette molto bene, anche come comunicatrice digitale.
Quanto agli slanci mistici, ammetto di doverli approfondire meglio, meditando sulle parole che madre Eugenia scambiava con l’Amore unico della sua vita. Di sicuro, ho appurato che non le oscuravano la vista rispetto ai problemi della sua epoca, dall’educazione delle ragazze – aveva sperimentato sulla propria pelle come bisognasse fornire loro degli esempi alternativi alla mentalità corrente – ai disastri che la prima guerra mondiale provoca nei corpi e nelle anime di tanti soldati.
Mi ha poi sorpresa quella che potrebbe sembrare un’ascesa, così rapida, alle cariche più alte della congregazione. Da quel che ho capito, non l’aveva vissuta come un avanzamento di carriera, ma una chiamata ad amare in maniera ancora più intensa le consorelle: si era infatti occupata della revisione degli appunti sulla Regola approntati dal fondatore, rimasti incompleti alla morte di lui, così da fornire le basi per il riconoscimento canonico. Per non parlare del fatto che era stata la sua prima biografa: è un aspetto che me la rende particolarmente affine, insieme all’amore per il canto, profano e religioso.
La Chiesa diocesana di Parma, negli anni seguenti, ha accompagnato con interesse lo sviluppo delle Piccole Figlie. Il vescovo monsignor Guido Conforti, a sua volta candidato agli altari (canonizzato nel 2011), è stato quindi il suo ultimo padre secondo lo spirito, tanto da esortarla ad accettare il secondo mandato: con saggezza e arguzia, le aveva risposto che la avrebbe dovuto guidare la congregazione con la testa, non con il piede che le rimaneva. Viene quasi da paragonarla agli atleti che si sono distinti, anche a livello d’impatto mediatico, nelle recenti Paralimpiadi.
Lo stesso vescovo era stato il fondatore dei Missionari Saveriani e aveva favorito l’avvio di una collaborazione tra di essi e le Piccole Figlie, per l’inizio di una missione in Cina. Alla fine non si sviluppò perché madre Eugenia non trovò consorelle preparate per quel compito (ma gli uni e le altre hanno iniziato a lavorare insieme in Congo, nel 1978): in compenso, monsignor Conforti cominciò a ipotizzare una congregazione femminile con lo stesso carisma dei suoi Padri. Solo molti anni dopo divenne realtà, grazie all’assenso della Venerabile Celestina Bottego.
Infine, vedere che il suo periodo di maggiore sofferenza fisica è iniziato sotto Natale mi aveva fatto immaginare di spostare questo post nella Corona d’Avvento dei Testimoni, ma oggi cade il centenario preciso della sua nascita al Cielo, quindi ho deciso di pubblicarlo in questa data.
Cosa c’entra con san Giuseppe?
Nelle biografie che ho sottomano non ho trovato indizi di una devozione speciale per lui. C’è però un legame: il Convitto delle Artigianelle, nuovo nome dell’Istituto della Provvidenza, presso il quale suor Eugenia fu educatrice fin quando divenne maestra delle novizie, fu intitolato proprio a san Giuseppe.
Forse si è ispirata al suo patronato sugli operai e sui lavoratori per proporre alla superiora generale un insolito progetto. Per prevenire le difficoltà lavorative che le allieve avrebbero potuto incontrare, una volta terminato il percorso di studi, suggerì di avviare un laboratorio dove le ragazze avrebbero potuto essere affiancate dalle “sorelle addette”, ovvero laiche esterne alla congregazione, ma che ne condividevano carisma e scopi (esistono ancora, comprese nell’Associazione laicale aggregata, di cui ci sono anche membri uomini). Monsignor Conforti approvò nel 1909 lo statuto del laboratorio, che dal 2006 è parte della Cooperativa Sociale Casa Famiglia Agostino Chieppi.
Il suo Vangelo
La Beata Eugenia ha avuto una vita interiore di cui, dall’esterno, quasi nessuno percepiva la profondità, tranne in rari casi; ad esempio, quando sembrava concentrata nell’eseguire qualche brano in canto gregoriano. Una volta che ha riscoperto Dio, non ha più smesso di stare alla Sua presenza, specie nei Tabernacoli delle chiese, a cominciare da quello di Sant’Ambrogio, poi in tutti quelli delle comunità dov’è passata.
In un suo testo, quello che ricorre più spesso nelle biografie e nelle pagine web a lei dedicate, afferma di voler fare in modo che la sua vita sia accessibile a tutti, umile e nascosta, allo stesso modo di come Gesù aveva voluto vivere la propria: non a caso, secondo lei, ha scelto il pane per restare sempre con noi.
In Gesù suo Amore aveva trovato realmente il centro unificante di tutto: impegni, servizi, educazione, governo, e ancor prima il coraggio di resistere alle opposizioni da parte di chi viveva nella sua stessa casa. Era quindi certa di quello che diceva, quando si esprimeva così alle novizie:
Non lasciatevi ingannare: il seguace del mondo si crede di vivere vita libera, perché vive secondo se stesso... ma finché asseconderà se stesso non sarà mai libero e vivrà in continua inquietudine quanto più si allontana dal proprio centro: Dio.
Continuava dichiarando che la vita religiosa è autenticamente libera perché è tipica di chi, avvertita la chiamata divina, lascia tutto per essere povero e nascosto, sicuro di aver trovato ciò che cercava. Nel suo caso è avvenuto davvero, fino all’esito finale che è accaduto cent’anni fa.
Per saperne di più
Purtroppo tutte le pubblicazioni uscite a loro tempo sulla Beata Eugenia risultano fuori catalogo. Immagino però che le Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria ne abbiano ancora qualche copia.
Su Internet
Sezione a lei dedicata del sito istituzionale delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria (particolarmente interessante la parte sui luoghi della sua vita, nella quale ho appurato che Crescenzago non ha dimenticato, sia sul piano civile che religioso, questa figlia tanto illustre).
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