Don Divo Barsotti, cercatore di Dio nell’antico e nel contemporaneo

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Chi è?

 

Divo Barsotti nacque il 25 aprile 1914 a Palaia, in provincia di Pisa e diocesi di San Miniato, settimo dei nove figli di Antonio Barsotti, sarto, e Adelasia Bruschi. A sette anni, durante una missione al popolo, si presentò al padre predicatore, dell’Ordine dei Passionisti, chiedendo di diventare uno di loro. Gli fu risposto che avrebbe dovuto attendere almeno di terminare le scuole elementari.

A undici anni, però, Divo entrò nel Seminario diocesano di San Miniato, dove già studiava il fratello Giovanni, poi sacerdote. S’impegnò negli studi, ma si diede anche a leggere i grandi classici della letteratura; di pari passo, componeva a sua volta novelle e poesie.

A diciannove anni, cominciò a domandarsi se continuare gli studi o uscire dal Seminario per dedicarsi alla letteratura. Durante le Quarant’ore del 1933 ebbe, come raccontò in seguito, una forte esperienza della presenza di Dio: decise quindi di non vivere che per Lui.

Il rifiuto dei suoi manoscritti da parte dell’editore Mondadori, nello stesso anno, lo condusse ad abbandonare ogni velleità letteraria e a puntare al sacerdozio. Era però intenzionato a viverlo tra i popoli stranieri, sebbene non al modo dei missionari nel senso comune del termine. Monsignor Ugo Giubbi, vescovo di San Miniato, gli diede il suo appoggio, ma l’idea non ebbe esito: all’epoca era impossibile partire senza essere legati a una diocesi o a un Ordine religioso.

Divo fu ordinato sacerdote il 18 luglio 1936. Nei suoi primi incarichi come cappellano, ossia viceparroco, in varie parrocchie, non si sentiva comunque al suo posto: credeva che Dio gli chiedesse molto di più. Verso la fine della seconda guerra mondiale, grazie al sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, poté essere accolto nella diocesi di Firenze, guidata al tempo dal cardinal Elia Dalla Costa: arrivò l’11 ottobre 1945 e fu cappellano presso alcuni istituti di suore, ma era anche richiesto come direttore spirituale. Rimaneva però incardinato, e lo fu fino alla morte, nella diocesi di San Miniato.

Un giorno fu contattato da Vittoria Pacchioni, che faceva parte di un sodalizio femminile denominato “Militia Christi Regis”. Don Divo contribuì a far cambiare orientamento al gruppo, facendolo passare da un impegno più marcato nella società a un atteggiamento contemplativo pur restando nel mondo. Diede a esso anche un nuovo nome: Comunità dei Figli di Dio. Il 1° gennaio 1947 quattro donne e lui stesso si consacrarono a Dio nella cappella del convento delle suore dell’ Adorazione Perpetua in piazza della Calza a Firenze.

Nel 1955 don Divo cominciò un’esperienza eremitica sul Monte Senario, nell’area di proprietà dei Servi di Maria, insieme a un discepolo, Antonio Spezzani. L’anno successivo, nella primavera del 1956, si trasferì nella casa che aveva acquistato a Settignano, sui colli fiorentini, e intitolato a san Sergio di Radonez, uno degli esponenti del monachesimo russo, a cui aveva dedicato, nel 1948, il primo libro pubblicato da sacerdote.

Negli anni seguenti delineò meglio la fisionomia e lo specifico della Comunità dei Figli di Dio: un’associazione composta da monaci e monache, che vivessero in parte in case di vita comune, altri come laici consacrati nel mondo. Doveva avere carattere contemplativo, con una spiritualità di tipo monastico, e privilegiare il silenzio e la preghiera. Il 6 gennaio 1984 il cardinal Silvano Piovanelli, arcivescovo di Firenze, promulgò il decreto di approvazione della Comunità, come Associazione pubblica di fedeli.

Don Divo pubblicò centinaia di libri e articoli sui temi che privilegiava: l’Eucaristia, la contemplazione, la preghiera e le vite dei Santi. Per un trentennio insegnò anche Teologia Sacramentaria presso lo Studio Teologico Fiorentino. Finché le forze glielo concessero, viaggiò per predicare Esercizi Spirituali, ritiri e conferenze, fino all’ultimo viaggio, compiuto nel 2000, verso il Benin.

Morì sei anni dopo, il 15 febbraio 2006, ripetendo il nome di Gesù, a Casa San Sergio. I suoi resti mortali riposano dal 18 luglio 2006 nella cappella, o più precisamente nell’anticappella, di Casa San Sergio.

Il 25 settembre 2014 la Comunità dei Figli di Dio presentò la richiesta formale per l’avvio della causa, ovvero il Supplice Libello, al cardinal Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze. Nel 2020 i vescovi toscani ribadirono il loro parere positivo, già emesso nel 2011, per l’inizio della causa. Il 4 ottobre 2020 il cardinal Betori promulgò quindi l’Editto con cui venivano avviate le fasi preliminari. La Congregazione delle Cause dei Santi ha concesso il Nulla Osta il 21 maggio 2021.

La prima sessione dell’inchiesta diocesana su vita, virtù e fama di santità del Servo di Dio Divo Barsotti si è quindi aperta oggi, 25 settembre 2021, presso la basilica della SS. Annunziata a Firenze, luogo dov’erano stati celebrati i funerali del fondatore della Comunità dei Figli di Dio.

 

Cosa c’entra con me?

 

Prima ancora di sapere qualcosa su don Divo, avevo sentito parlare, tra il 2010 e il 2011, di due giovani della Comunità dei Figli di Dio. Il primo era il modenese Emer Mezzanotte, intenzionato a far parte dei monaci di vita comune, malato di un tumore molto raro: poté emettere la professione religiosa in ospedale, morendo il 31 maggio 2002. Avevo trovato il suo nome su un numero della rivista Nazareth agli adolescenti e agli amici, ma per un errore di stampa: quella volta, infatti, era pubblicata una delle puntate della vita di Francesca Tomassini, adolescente di Santa Maria degli Angeli - Assisi.

Il secondo era Gregorio Sannino, di Ercolano, in provincia di Napoli. Anche lui molto malato, divenne consacrato nella Comunità restando nel mondo. Avevo ascoltato parte della sua storia in una trasmissione radiofonica; il fatto che provenisse da un paese vicino a quello dove abita gran parte dei miei parenti me lo rendeva particolarmente interessante.

Cercando informazioni in Rete su entrambi, trovai i contatti con la sede centrale della Comunità. Non ricordo se mandai una lettera o una e-mail, ma di certo domandai di ricevere i libri che riguardavano quei giovani. Mi arrivarono entrambi poco dopo il 3 luglio 2012, data della lettera di padre Serafino Tognetti, inclusa nel pacco, in cui mi esortava ad amare Dio; il lavoro, che già cercavo, sarebbe arrivato di conseguenza.

Nello stesso periodo, un ragazzo che avevo conosciuto in università e avevo ritrovato, in un’altra circostanza, scoprendo che era entrato in Seminario, fu ordinato sacerdote. Sulla sua immagine-ricordo della Prima Messa, precisamente sul retro, era presente una lunga preghiera firmata da don Divo. La curiosità cominciava a montare, ma non sentivo di dover andare a fondo: del resto, quel sacerdote, che il mio vecchio collega aveva in così grande considerazione, era morto appena da sei anni.

Fu tramite un altro mio amico sacerdote che cominciai a sapere qualcosa in più sul suo percorso biografico: mi mandò, infatti, un piccolo libro, scritto dallo stesso padre Serafino. Mi aveva attirato quando l’avevo visto pubblicato, insieme a un’altra biografia più grossa, ma avevo altrettanto presto accantonato l’idea di comprarlo.

Leggendolo, divenni presto convinta dei meriti che don Divo aveva nei confronti della Chiesa in Italia e non solo. Per mezzo suo avevano iniziato a circolare i testi, che lui aveva letto in francese, dei Santi del monachesimo russo. Aveva poi predicato in moltissime occasioni, compresa la grande Missione di Milano del 1957: c’è una foto, davvero epocale, che lo ritrae insieme ad altri predicatori di quell’appuntamento voluto dall’allora cardinal Giovanni Battista Montini, ovvero padre David Maria Turoldo e don Primo Mazzolari, ora Servo di Dio.

Trovai poi un punto di contatto non da poco tra me e lui, lo stesso che mi ha portata ad aprire questo blog: la profonda consapevolezza di essere parte della Comunione dei Santi. Nel suo caso, si estendeva anche a quelle persone che non avevano conosciuto il cristianesimo perché vissute nell’antichità: sentiva di dover essere lui a portarle a Dio.

Credo poi che sarebbe stato – o forse lo era già – un accanito lettore dei profili sull’Enciclopedia dei Santi, Beati e Testimoni (da qualche tempo c’è anche il suo, fresco di aggiornamento): la piccola biografia riferiva, infatti, che appena lui veniva a sapere delle nuove canonizzazioni, faceva in modo d’informarsi sui futuri Santi, per sentirsi subito in contatto vivo con loro. I martiri erano i suoi prediletti, perché avevano davvero amato il Signore fino alla fine.

Usava un linguaggio quasi paradossale con i suoi discepoli, chiedendo loro se, per esempio, avessero mai mangiato con san Giovanni della Croce, o passeggiato con santa Gemma Galgani. Mi è venuto da ricollegare quell’espressione alle esperienze vissute dal giovane vicentino Claudio Contarin: nei suoi scritti faceva cenno, ad esempio, a una gita in bici con san Francesco, o all’aver mosso i suoi primi passi come assistente fotografo insieme (non semplicemente “sotto la protezione di”) a santa Veronica.

Anch’io, come il biografo riporta su don Divo, sento di avere più conoscenti in Cielo (vale ovviamente per quelli sui quali la Chiesa ha già espresso il proprio giudizio ufficiale) che sulla terra. Anzi, me ne resi durante la GMG del 2011, quando meravigliai alcuni dei giovani con cui condividevo quell’esperienza per aver raccontato loro la storia del Beato Karl Leisner, dopo che avevo incontrato un gruppo di giovani tedeschi che si rifacevano alla sua esperienza di fede. Da allora ho cercato di ampliare i miei giri di conoscenze, ma quelle che sono nella vita eterna continuano a essere molte di più.

Vale però la pena di sottolineare che, nel caso del fondatore della Comunità dei Figli di Dio, anche parecchi dei suoi amici sulla terra (che sono anche stati oggetto di post qui e coi quali la comunione era non meno viva), sono, come lui da oggi in poi, sotto esame per verificarne l’effettiva santità: i Venerabili Giorgio La Pira ed Elia Dalla Costa (tramiti per l'accoglienza del giovane don Divo nel territorio della diocesi di Firenze), il già citato don Mazzolari, Marcello Candia, che è Venerabile pure lui (erano in contatto perché la Comunità entrasse in uno dei monasteri di vita contemplativa da lui costruiti accanto a una delle sue opere in Sud America; non mi pare che la cosa, poi, sia andata in porto) e don Luigi Giussani, sulla cui causa, però, l’ultima informazione nota è relativa, per quel che so, all’accettazione del Supplice Libello (si erano conosciuti e frequentati spesso, come spiegato qui). I Papi con cui fu più in confidenza, ossia Paolo VI (predicò gli Esercizi Spirituali a lui e alla Curia Romana nel 1971) e Giovanni Paolo II (andò in udienza da lui con i membri monaci e monache di vita comune nell’agosto 1995), sono invece stati canonizzati.

Mi sembra poi di trovare non pochi elementi di contatto con don Dolindo Ruotolo, a cominciare dal fatto che entrambi, in giovane età, avevano sognato di partire per la Cina come missionari, anche se lo stile che don Divo voleva far proprio era più ravvicinabile, secondo le sue intenzioni, a quello vissuto da san Benedetto Giuseppe Labre o dal Beato Charles de Foucauld, morto appena da qualche anno ma già famoso. La sua missione si è svolta in altro modo, attraverso i suoi viaggi per visitare i membri della Comunità, ma anche tramite le conferenze, i ritiri e i libri da lui pubblicati.

Proprio l’attività editoriale, a don Divo e a don Dolindo, causò non pochi problemi, a causa dei volumi scritti dall’uno e dall’altro a commento della Sacra Scrittura. Per tutti e due fu concesso di riprendere a pubblicarli dopo il Concilio Vaticano II, senza che venisse mai spiegata la ragione della proibizione (ma per don Divo immagino che, in vista dell’apertura della causa, ci sia stato un chiarimento). Quel che più conta è il modo con cui tutti e due affrontarono la situazione: soffrendo, certo, ma aspettando anche che Dio potesse fare giustizia.

Sempre a proposito di libri, recentemente ho trovato, tra quelli che un anziano sacerdote, ora in casa di riposo, ha lasciato nella sua precedente abitazione perché io li ridistribuisca, un paio di volumi scritti da lui. Li ho presi per me, sperando di trovare, prima o poi, il tempo di leggerli e di meditarli.

 

Cosa c’entra con san Giuseppe?

 

Immaginavo che, nelle migliaia di pagine e nelle ore di predicazione di don Divo, avesse avuto spazio anche san Giuseppe. Ho provato a fare una rapida ricerca in Rete e ho trovato questo testo, risalente a un ritiro a Casa San Sergio, il 19 marzo 1973. In questa meditazione incoraggia i suoi ascoltatori a fidarsi di Dio anche quando non si vedono i frutti del proprio operato, nel quale Lui si rende presente.

Fa notare che, per quel che sappiamo, Giuseppe probabilmente non ha visto non solo l’inizio della vita pubblica di Gesù, ma neppure i primi miracoli: è quindi vissuto sotto lo stesso tetto del Figlio che Dio gli aveva affidato senza avere neppure un’avvisaglia di quanto sarebbe accaduto in seguito.

 

Il suo Vangelo

 

Il percorso umano e spirituale di don Divo è stato caratterizzato da una continua ricerca di Dio e del modo in cui renderlo presente agli uomini del suo tempo. Sembra quasi che quel nome tanto singolare, scelto da un sacerdote amico di famiglia, l’abbia preannunciata. A questa ricerca ha educato moltissimi discepoli, ma anche quanti ricorrevano alle sue opere scritte per trovare sostegno nel proprio cammino.

In lui, come in molte altre figure, modernità e tradizione, antico e nuovo si alternavano e si compenetravano: era allo stesso tempo il letterato convinto che poeti e scrittori potessero dire di Dio meglio dei teologi professionisti, perché conoscevano meglio l’uomo, ultima rivelazione di Dio, ma anche il sacerdote tanto raccolto e commosso nella celebrazione dell’Eucaristia da farla protrarre per un tempo fuori dal comune.

Concludeva quindi così un corso di Esercizi Spirituali predicati nel 1961 sul tema della Messa, sempre centrale anche nel suo insegnamento presso lo Studio Teologico Fiorentino:

Noi tanto più siamo quello che siamo, quanto più siamo nel Cristo, quanto più il Cristo è in noi. Al contrario di perderci, il Cristo dunque ci salva; non soltanto perché noi viviamo tutti la sua vita, ma perché noi rimaniamo. Pur non vivendo più che la sua vita. Pur non essendo, tutti noi, che Lui solo.

Ora, come speravano da tempo figli spirituali, membri della Comunità ed estimatori in genere, è iniziato per lui un altro cammino: il Signore, a cui aveva affidato tutto di sé, sa se, come e quando andrà a buon fine.

 

Per saperne di più

 

Serafino Tognetti CFD, Don Divo Barsotti, Velar-Elledici 2012, pp. 48, € 3,50.

La sua vita e la sua spiritualità espressi in sintesi.

 

Serafino Tognetti, Divo Barsotti – Il sacerdote, il mistico, il padre, San Paolo Edizioni 2012, pp. 432, € 29,00.

Dallo stesso autore, un volume biografico più ampio.

 

Stefano Albertazzi, Agostino Ziino, Divo Barsotti - Un uomo dentro il Concilio, San Paolo Edizioni 2016, pp. 144, € 12,00.

Uno studio che sviluppa il modo in cui don Divo interpretò il Concilio Vaticano II.

 

Serafino Tognetti (a cura di), Don Divo Barsotti – Incontri e aneddoti, Parva Edizioni 2021, pp. 256, € 15,00.

Un testo per chi ama gli aneddoti e gli episodi curiosi, che non sono mancati neanche nella lunga vita di don Divo.

 

Divo Barsotti, La Messa – Incontro tra Dio e l’uomo, Parva Edizioni 2003, pp. 192, € 13,00.

Raccolta delle meditazioni pronunciate durante gli Esercizi Spirituali predicati nel 1961 citati sopra.

 

Su Internet

 

Sezione del sito della Comunità dei Figli di Dio dedicata a lui

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