Don Dolindo Ruotolo, semplicemente sacerdote
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Chi è?
Dolindo Ruotolo nacque a Napoli il 6 ottobre 1882, quinto degli undici figli di Raffaele Ruotolo, ingegnere, e Silvia Valle, discendente di una famiglia nobile ma decaduta. Mentre il padre era severo e rigido, la madre era più gentile, nonché molto religiosa.
Quando Dolindo ebbe quattordici anni, i genitori si separarono. Insieme a Elio, uno dei fratelli, entrò nella Scuola Apostolica (ossia la struttura per la formazione dei ragazzi che sembravano inclini al sacerdozio) dei Preti della Missione, ovvero i padri Vincenziani. Non era molto intelligente, ma nel giro di tre anni fece progressi sorprendenti, attribuiti da lui alla protezione della Madonna.
Il 1° giugno 1901 professò i voti; due anni dopo, chiese di essere inviato come missionario in Cina, ricevendo però il rifiuto dal Visitatore Provinciale, ossia dal superiore provinciale. Il 24 giugno 1905 venne ordinato sacerdote, ottenendo, come primo incarico, quello di maestro di canto gregoriano preso la Scuola Apostolica vincenziana. Ebbe lo stesso compito dopo essere stato trasferito a Taranto e, di lì, a Molfetta.
Per aver difeso il confratello padre Andrea Volpe, chiamato a Catania a giudicare una presunta veggente, Serafina Gentile, fu richiamato a Napoli: il 30 ottobre 1907 gli fu ordinato di non occuparsi più del caso e fu sospeso dalla celebrazione della Messa. Il 4 dicembre 1907 partì per essere sottoposto all’esame del Sant’Uffizio, a Roma, ma non ritrattò. Fu riammesso ai Sacramenti, ma venne espulso dai Vincenziani.
Tornato in famiglia, accettò di lavorare presso un cugino in qualità di domestico. Grazie all’intervento di monsignor Orazio Mazzella, arcivescovo di Rossano-Cariati, che l’aveva conosciuto a Taranto, partì per diventare il suo segretario particolare. Venne però richiamato dal Sant’Uffizio e rimandato a Napoli, nel 1912.
Nell’anno successivo iniziò a predicare in numerose chiese cittadine, attirando l’interesse di persone del popolo e di intellettuali. Alcune universitarie gli chiesero di aiutarle a confutare le teorie anticlericali che si diffondevano in ambiente accademico: nacque allora la “scuola di religione”, seguita, il 27 dicembre 1914 dall’ “Opera di Dio”, uno stile di spiritualità per rimediare ai mali del mondo e dell’individuo.
Tuttavia, a causa delle maldicenze di una figlia spirituale, che lo screditò presso l’agostiniano padre Domenico Fenocchio, don Dolindo fu accusato di aver fondato una sorta di setta. Il 4 marzo 1921, dopo un nuovo processo, fu sospeso a divinis.
Nel 1930 diede alle stampe il primo volume del «Commento alla Sacra Scrittura» sotto lo pseudonimo di Dain Cohenel (che aveva il significato di “Dolindo, sacerdote di Dio”). L’opera venne però inserita nell’Indice dei Libri Proibiti, a causa del metodo seguito nell’esposizione, che affiancava esegesi e interpretazione psicologica. Nonostante l’autore avesse chiesto più volte in quali aspetti dovesse emendare il testo, non gli fu mai risposto.
Il 17 luglio 1937 fu definitivamente riabilitato. Il 14 aprile 1942 fu nominato vicario parrocchiale presso la chiesa di San Giuseppe dei Vecchi, di cui era parroco suo fratello don Elio, insieme a un altro fratello, monsignor Ausilio. Contribuì a costruire, all’interno della chiesa, una copia della grotta di Lourdes, Come ex voto dopo la fine della guerra: questo fatto portò al cambio d’intitolazione della parrocchia.
Don Dolindo continuò a predicare e a scrivere varie opere esegetiche ed esortative, edite dall’Apostolato Stampa, una piccola casa editrice portata avanti dalle sue figlie spirituali. Portava avanti altre piccole forme di apostolato, ad esempio avvicinando passanti sprovvisti di ombrello, o scrivendo brevi pensieri dietro cartoline o immaginette.
Nel 1960 fu colpito da trombosi cerebrale, rimanendo paralizzato nella parte sinistra del corpo, ma non inerte. Morì dieci anni dopo, il 19 novembre 1970, per una polmonite. Dopo la sua morte, anche per la cessazione dell’Indice dei Libri Proibiti, poté essere pubblicato tutto il «Commento alla Sacra Scrittura».
I primi tentativi per avviare la sua causa di beatificazione rimontano al 1978, grazie ai Frati Minori Conventuali, che nel 1995 presentarono la richiesta formale, ovvero il supplex libellus, per l’apertura del processo diocesano. Nel gennaio 1997 l’arcivescovo di Napoli sollecitò il nulla osta dalla Santa Sede, ma non ottenne risposta. La postulazione generale dei Francescani dell’Immacolata, poco dopo, si fece carico della causa, ma neppure i loro tentativi ebbero esito.
I resti mortali di don Dolindo riposano nella navata destra della chiesa di San Giuseppe dei Vecchi e Immacolata di Lourdes a Napoli, in via Salvatore Tommasi 20.
Cosa c'entra con me?
Rispetto ad altre figure sue contemporanee, come madre Flora De Santis, don Dolindo, presso i miei parenti napoletani, era praticamente uno sconosciuto. Posso quindi affermare che i miei contatti con lui risalgano al 2008, quando un mio comparrocchiano, anzi, un giovane che aveva abitato nel condominio di fronte al mio, era diventato sacerdote; ancora prima, era entrato tra i Francescani dell’Immacolata. Conoscevo già i suoi familiari, ma dopo aver fatto amicizia con lui ho stretto i legami anche con loro.
Ricordo che una volta m’invitarono a venire in casa: la madre del giovane frate mi regalò un piccolo libro intitolato Gesù al cuore della suora, un altro con alcuni aneddoti e un calendario. Mi raccomandò poi, dato che sapeva che avevo parenti a Napoli, di andare a bussare sulla tomba di don Dolindo, come lui stesso aveva suggerito di fare nel suo testamento spirituale.
Ammetto che quella richiesta mi lasciò parecchio perplessa: mi sapeva di superstizione. Allo stesso modo, non sapevo come interpretare il fatto che i pensieri contenuti nel libretto erano riportati come affermazioni di Gesù stesso, trascritte da don Dolindo dietro alcuni santini che, consegnati a varie religiose, corrispondevano alla situazione in cui ciascuna si trovava. Il libro con gli aneddoti, invece, mi piacque molto di più, anzi, mi fece perfino ridere.
Non ho mai dato seguito alla richiesta della mamma del frate, perché, quando vado a Napoli, non mi muovo mai da sola, per sicurezza. Ricordo che una volta avevo provato a contattare l’Apostolato Stampa per ottenere una visita a San Giuseppe dei Vecchi, ma ottenni risposte piuttosto evasive, che mi scoraggiarono. Una mia cugina sembrava abbastanza incline ad accompagnarmi, tanto più che adoperava, come messalino, un sussidio edito proprio da quell’editore.
Intanto seguivo con molto interesse la rubrica che Angelo Montonati teneva su Radio Maria, I Sempre Giovani, notando che parecchi ascoltatori lo supplicavano di parlare di don Dolindo. Il conduttore replicava puntualmente che, in base ai criteri che si era dato, non poteva dedicare trasmissioni a personaggi che non avessero almeno il processo diocesano avviato.
Alla fine, non ricordo però quando, lo fece. La mia reazione iniziale è stata di sgomento di fronte a tutte quelle disgrazie che avevano colpito il protagonista, sin da piccolo. Allo stesso tempo, ero meravigliata di fronte a come fosse riuscito a non perdere la fede in Dio e la fiducia nella Madonna.
Non più di due anni fa, il webmaster di santiebeati.it mi ha chiesto di domandare, presso i miei conoscenti, se sapessi a che punto fosse la sua causa. C’era un problema: non sapevo a chi rivolgermi. I Francescani dell’Immacolata erano e sono tuttora oggetto di un commissariamento da parte della Santa Sede, per cui non avevo idea se il loro postulatore generale fosse ancora in carica. Avevo intanto perso i contatti con la mia vecchia dirimpettaia e con suo figlio, per il quale ero un po’ in apprensione (ora so che è ancora nella congregazione). Quanto all’Apostolato Stampa, sapevo che era tenuto in vita da poche anziane figlie spirituali.
Quando avevo pensato di occuparmi della Serva di Dio Enrichetta Beltrame Quattrocchi e, soprattutto, volevo capire perché il suo processo diocesano si fosse svolto a Napoli, mi era venuto in mente che avrei potuto rivolgermi al delegato vescovile per le Cause dei Santi: con tutte le cause concluse negli ultimi anni là, pensavo, dovevano averne per forza uno.
La redazione di Nuova Stagione, il settimanale diocesano, mi fece il nome di don Francesco Rivieccio, all’epoca responsabile dell’Archivio Storico Diocesano. Prima di tornare a Milano dalle vacanze estive sono andata a trovarlo, accompagnata dalla mia cugina di cui sopra. Arrivata alla questione Ruotolo, mi rispose che era molto più complicata del previsto e che, come supponevo, uno dei problemi era legato al commissariamento dei Francescani dell’Immacolata.
In compenso, mi confermò che la sua fama di santità e di segni era ben comprovata e che aveva da tempo valicato i confini nazionali, trovando un notevole interesse in Polonia. La motivazione era da ricondurre a uno dei pensieri scritti dietro un’immaginetta, una cartolina per la precisione, datato 2 luglio 1965 e destinato al conte Vitold Laskowski. Il testo parlava della Polonia come terra che avrebbe resistito al comunismo, dalla quale sarebbe sorto un “nuovo Giovanni”, ovvero un emulo di Jan III Sobieski, il re polacco che difese Vienna dall’assalto dei Turchi nel 1683. Col senno di poi, questa figura è stata identificata con san Giovanni Paolo II.
Lo scorso 8 settembre, guardando le ultime novità librarie su Libreria del Santo, ho notato l’uscita di un nuovo volume, firmato dal condirettore di Famiglia Cristiana e Maria con te, che per questa seconda rivista aveva realizzato, su don Dolindo, un articolo a febbraio dello scorso anno.
Ho avvisato subito don Francesco, il quale mi ha promesso che l’avrebbe preso. Di pari passo, ho contattato l’editore per una copia saggio a scopo di recensione, così da parlarne anche qui e inserirlo nei libri consigliati. L’ho subito ottenuta, ma ho avuto una consegna: non avrei dovuto parlarne prima dell’uscita del comunicato stampa ufficiale. Non ho battuto ciglio, dato che pensavo già a questo post per il cinquantesimo anniversario della morte.
Così, appena concluso il diario di viaggio da Assisi per la beatificazione di Carlo Acutis, mi sono data alla lettura. Per come sono fatta io, ho apprezzato molto di più gli aneddoti riferiti dalla parente che aveva conosciuto il giornalista e relativi a ricordi suoi personali, rispetto ai fatti definiti miracolosi o profetici. Mi hanno aiutato molto di più a comprendere la personalità di don Dolindo, capace, tra l’altro, di un senso dell’umorismo che ho spesso ravvisato anche nei miei parenti di Napoli.
Tramite don Francesco, sono riuscita a contattare don Pasquale Rea, l’attuale parroco di San Giuseppe dei Vecchi, che avevo visto anche nella trasmissione di cui sopra. Da molti anni studia vita e opere di don Dolindo e anche lui, per questo cinquantesimo, ha pubblicato un libro, che mi ha mandato.
Ho pensato allora di centellinarlo, leggendone un capitolo al giorno, quasi in forma di novena, in preparazione alla giornata di oggi. Mi ha fatto molto bene, perché mi ha permesso di ricondurre quella storia ai lati più radicati nel Vangelo, particolarmente a quelli evidenziati nel Discorso della Montagna. Allo stesso modo, ho apprezzato molto l'intervento che ha aperto la puntata di stamattina di Bel tempo si spera, che riporto qui sotto.
Il suo Vangelo
Come giustamente mi ha fatto notare don Pasquale, sottolineare esclusivamente le sue esperienze eccezionali non rende del tutto giustizia alla figura di don Dolindo, tanto poliedrica e complessa e, allo stesso tempo, con dettagli che la rendono molto più alla mano.
In effetti, risulta difficile anche inserirlo in qualche corrente ecclesiale. La sua preoccupazione per il decadimento della Chiesa del suo tempo lo rende affine a quanti, ancora oggi, credono che essa non stia seguendo il disegno di Dio.
La sua attenzione ai laici come collaboratori validi per far amare la stessa Chiesa e stimare il sacerdozio, d’altro canto, è un’esigenza che viene rimarcata da chi invece crede che questo concetto sia uno strumento di progresso per i nostri tempi; dopotutto, quelli in cui nacque la sua “Opera di Dio” erano gli stessi anni in cui si affermava l’Azione Cattolica femminile e nei quali maturavano i segni dei primi movimenti e Istituti Secolari.
Grazie a questo approfondimento, che sento essere solo all’inizio, penso di poter affermare che don Dolindo sia stato semplicemente un sacerdote (se ho capito bene, lui scriveva sempre quella parola con la S maiuscola), completamente affidato a Dio e tanto attaccato al ministero da sentirsi mutilato negli anni della sospensione a divinis, proprio perché consapevole di essere un tramite per avvicinare le persone al vero amore di Dio, come aveva imparato da ragazzo alla scuola dei Vincenziani.
In questo modo poteva scrivere, nelle pagine della sua autobiografia:
Quante fecondità hanno avute le mie tribolazioni nel compimento della missione che Dio mi ha dato come Sacerdote! E ora che sono negli 88 anni della mia vita, in un mare di pene fisiche e morali, Sacerdote in un mondo che va in rovina, ministro di Dio nella Chiesa, che sembra quasi che si sfasci per le insidie diaboliche... io, ora, pur trascinandomi per il corpo che declina, proprio per le mie pene ed i miei dolori ho da Dio la grazia di confortare chi soffre, e dare a coloro che sembrano derelitti uno spiraglio di luminosa speranza nella preghiera, nella pazienza e nella pace!
Da quel che mi viene da capire, la sua fecondità continua, anche se le figlie spirituali sono quasi tutte morte e se il cammino per riconoscere la sua effettiva santità non ha più avuto sviluppi di rilievo.
Per saperne di più
Grazia Ruotolo con Luciano Regolo, “Gesù, pensaci tu” – Vita, opere, scritti & eredità spirituale di don Dolindo Ruotolo nel ricordo della nipote Ares 2020, pp. 288, € 16,00.
I ricordi della parente che da anni conserva e tramanda la sua storia s’intrecciano con i dati biografici, insieme agli incontri e alle affinità con personaggi ecclesiali contemporanei di don Dolindo.
Pasquale Rea, Don Dolindo sulle alture delle beatitudini, Effatà 2020, pp. 96, € 10,00.
Un percorso che aiuta a comprendere come la testimonianza di don Dolindo sia profondamente evangelica, tanto da rendere vive le Beatitudini.
Don Dolindo Ruotolo, Atto di abbandono – Non voglio agitarmi, mio Dio: confido in te!, Casa Mariana Editrice – Apostolato Stampa, pp. 20, non commerciabile (ma acquistabile dietro offerta sul sito dell’editore)
Il testo forse più noto di don Dolindo è questo “colloquio di Gesù all’anima”, dove emerge l’incoraggiamento a confidare in Dio anche tra le agitazioni della vita.
Sac. Dolindo Ruotolo, I fioretti di don Dolindo, Casa Mariana Editrice – Apostolato Stampa, pp. 264, non commerciabile (ma acquistabile dietro offerta sul sito dell’editore)
Una breve raccolta di aneddoti della sua vita e di stralci dagli scritti.
Don Dolindo Ruotolo, Con gli occhi fissi al mistero dell’Incarnazione del Verbo, Casa Mariana Editrice, pp. 16, non commerciabile (ma acquistabile dietro offerta sul sito dell’editore)
Estratti dal Commento alla Sacra Scrittura, dalle lettere e da altre adorazioni spirituali, sul tema del Natale e dell’Incarnazione di Gesù.
ATTENZIONE: don Francesco Rivieccio, attualmente responsabile del Servizio delle Cause dei Santi della diocesi di Napoli, mi ha incoraggiata a segnalare che chiunque avesse notizie da riferire su don Dolindo, in particolare riguardo a grazie e segni che ne comprovino la fama di santità, può rivolgersi ai seguenti recapiti:
Parrocchia San Giuseppe dei Vecchi e Immacolata di Lourdes
Via Salvatore Tommasi, 20
80135 Napoli
Tel. 081 5498529
Servizio per le Cause dei Santi della diocesi di Napoli
largo Donnaregina 22
80138 Napoli
f.rivieccio [chiocciola] chiesadinapoli [punto] it
(ho scritto così per evitare spam)
Su Internet
Sezione del sito di Casa Mariana Editrice dedicata a lui
Sito un tempo curato dall’Apostolato Stampa (contiene, tra l’altro, la versione in PDF del testo Fui chiamato Dolindo, che significa dolore… pagine d’autobiografia)
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