Maria Bolognesi: con Gesù da Betlemme al Calvario (Corona d’Avvento dei Testimoni 2020 #1)
Chi è?
Maria nacque il 21 ottobre 1924 a Bosaro, in provincia di Rovigo e diocesi di Adria-Rovigo, da Giuseppa Samiolo, nubile; solo alcuni anni dopo conobbe il padre naturale, Amedeo Gozzati, che si era rifiutato di riconoscerla. Quando ebbe sei anni, sua madre sposò Giuseppe Bolognesi, bracciante agricolo, che accettò di adottarla.
Per aiutare la famiglia, che arrivò a comprendere altri sette figli, lavorò nei campi fin da bambina. A causa di ciò, frequentò a fatica la prima elementare, ma interruppe gli studi dopo qualche mese dall’inizio della seconda. L’estrema miseria in cui viveva con i suoi fu accompagnata da svariate malattie, che vennero diagnosticate molto tardi, perché il suo fisico robusto sembrava non risentirne.
Apprese la fede e i suoi valori dalla nonna materna, Cesira Cornetto, suo punto di riferimento in mezzo ai contrasti e ai litigi tra il padre e la madre. Ormai adolescente, pensò di dover cercare un direttore spirituale: il primo, don Bassiano Paiato, l’incoraggiò a tenere un diario. Col suo permesso, dal 1943, iniziò a indossare un abito nero, cucito da lei stessa, in segno di sobrietà e penitenza.
Più o meno in quel periodo, Maria cominciò a vivere esperienze spirituali molto forti, basate soprattutto sulla Passione di Gesù. Come frutto di quei segni e di quelle visioni, intensificò il suo impegno verso tutte le forme di sofferenza che le capitava d’incontrare: poveri, malati, bambini soli e bisognosi d’istruzione e di cure. Nel 1949 accettò di offrirsi vittima per il bene dei fratelli, in particolare dei sacerdoti. Con quello spirito visse le prove morali e i problemi di salute che si aggravavano col passare del tempo.
Nel periodo di Natale allestiva presepi, raccogliendo fondi per missionari e persone in difficoltà. Allo stesso scopo, a partire dal febbraio 1968, cominciò a dipingere quadri, pur non avendo mai studiato pittura.
Fu ospite di varie famiglie, per via delle sue condizioni fisiche, fino a trovare, nel 1966, un alloggio indipendente, dove abitò con Zoe, figlia dei suoi ultimi ospiti, i signori Mantovani, e con Rita Bassan, anche lei ospitata nella stessa famiglia. Con loro, nel 1971, si trasferì in una casa vera e propria, annessa a un convalescenziario che lei stessa, a prezzo di sacrifici e incomprensioni, aveva fatto costruire.
Nello stesso anno ebbe un primo infarto, che frenò la sua attività, portata avanti da amici e benefattori. Nel 1979 una delle persone che Maria aveva beneficato sporse denuncia contro di lei. La battaglia legale che ne seguì aggravò la sua salute: morì il 30 gennaio 1980.
Fu beatificata a Rovigo, in Piazza XX Settembre, il 7 settembre 2013, sotto il pontificato di papa Francesco. I suoi resti mortali sono venerati nella chiesa parrocchiale di San Sebastiano a Bosaro, nella prima cappella della navata sinistra.
Cosa c’entra con me?
Non mi sono mai interessata particolarmente di Maria Bolognesi, neanche all’epoca della sua beatificazione. Ogni tanto mi veniva voglia di comprare una sua piccola biografia, che vedevo esposta alla (ormai chiusa) libreria Elledici di Milano, ma alla fine compravo altro e la lasciavo perdere.
Ai primi di ottobre 2017 decisi di correggere la scheda biografica per santiebeati di don Olinto Marella, recentemente beatificato, dopo aver appreso la notizia del decreto sull’eroicità delle virtù. Analizzando le fonti dalle quali volevo attingere per ampliarla, mi accorsi che lui aveva avuto rapporti con varie personalità delle quali era stata riconosciuta l’esemplarità. In particolare, Maria e Zoe Mantovani erano state presenti al momento del suo trapasso.
Pensai quindi di rivolgermi, il 9 ottobre 2017, al Centro Maria Bolognesi, di cui avevo trovato i contatti online. Mi fu però risposto che i volontari erano anziani e malati e rimasti in pochi; peraltro, Zoe Mantovani era appena morta, a cent’anni compiuti.
Proseguendo le mie ricerche, ho trovato il nome del postulatore e i suoi contatti. Gli ho scritto il 20 marzo 2018, sicura che avrei trovato informazioni certe. Grazie al materiale che lui mi fornì ho potuto ottenere un quadro più obiettivo: non metteva l’accento, come avevo visto in altri articoli online, sulle sofferenze fisiche di Maria, né sui doni speciali che ebbe. Faceva capire, invece, la sua completa disponibilità e l’umiltà con cui si sottopose alle osservazioni e alle indicazioni delle sue guide.
Un dettaglio mi colpì particolarmente: come la carità l’avesse resa creativa e inventiva, da una parte per mantenersi, dall’altra per ottenere fondi. Soprattutto, mi piacque vedere che esercitasse queste doti nella realizzazione di un presepe, ogni anno diverso.
Cominciò nel 1946, come modo di raccogliere offerte per i missionari. Nel 1948 si fece poi aiutare dai bambini di quella sorta di scuola che, pur essendo lei poco scolarizzata, aveva inaugurato per non lasciarli a sé stessi. L’amica Angela Piva, in effetti, ha testimoniato di averle chiesto perché la sera baciava la terra per tre volte, prima di coricarsi: rispose che lo faceva pensando alla capanna di Gesù.
Nel Natale 1949 accolse l’invito che le aveva rivolto l’anno prima il parroco di San Cassiano, don Sante Magro: allestì quindi un presepe anche in chiesa sia quell’anno che quello seguente, nonostante l’atteggiamento severo che lui aveva nei suoi riguardi. Le offerte, in quel caso, andarono per sostenere la parrocchia; sia lei che i Piva, che non erano ricchi, rifiutarono di tenerle per sé.
Preparò un presepe anche per le monache di Santa Giustina, presso le quali trascorreva mesi di ritiro spirituale, nel 1955. Continuò quello domestico quando fu accolta in casa Mantovani, nella nuova abitazione e nella casa costruita per lei, per le compagne e per il convalescenziario; lo portò avanti anche a dispetto di febbre, disturbi cardiaci e altri problemi di salute. Dai presepi, che pure non abbandonò, derivò anche il suo repentino interesse per la pittura: i suoi quadri, di stile naïf, erano anche un modo per ringraziare i benefattori.
Nel 1978, per la prima volta, non poté meditare davanti al suo presepe: dal 19 dicembre fu ricoverata a Monselice. Anche l’anno seguente, ormai sempre più debole, riuscì a prepararlo; fu l’ultimo prima della morte.
In più, nel suo diario annota che, per procurarsi del muschio, una volta fece «un rotolone come una pera matura»: è un evidente segno di quell’umorismo e di quell’autoironia che sono uno degli indizi, anche se non il più importante, di un’anima santa. L’allestimento del presepe era per lei una «continua meditazione» – sono sempre parole sue, tratte dal diario – sull’Incarnazione, tanto da portarla a scordarsi di sé stessa.
Il suo Vangelo
Il caso della Beata Maria è uno di quelli in cui le manifestazioni eccezionali rischiano di distrarre da una storia di per sé bella, arricchita dai doni alimentati dalla Grazia tramite i mezzi a disposizione di tutti. In effetti, non si può prescindere dal fatto che lei abbia avuto stimmate, piaghe e visioni-sogni, ma neppure bisogna identificare in questi gli unici tratti della sua santità.
Purtroppo i modi per approfondire la sua storia non sono a disposizione di tutti; neppure le pubblicazioni che sono attualmente in commercio non sono ritenute corrispondenti, da parte di chi segue oggi la sua causa, al modo corretto di approcciarsi a lei.
Resta la certezza di essere davanti a una persona che ha accolto la vita per quello che era, con gli innegabili patimenti e con le gioie date dalla generosità di tanti amici, ma anche con i tentativi di alleviare, materialmente e con la preghiera, le difficoltà di chi stava ancora peggio.
Le ho dedicato quindi la prima candela virtuale della Corona d’Avvento dei Testimoni 2020 (per i nuovi lettori: è il mio modo di accompagnare l’avvicinarsi del Natale prendendo in esame personaggi che ne abbiano vissuto il mistero con particolare intensità) e ho scelto di prendere a prestito queste sue parole, tratte dal quarto quaderno dei suoi Diari, a pagina 24:
Il Santo Natale. Come sono commoventi queste feste! Mi sembra di rivivere proprio in quei tempi seguendo la Chiesa! Chissà san Giuseppe e la Madonnina con Gesù Bambino quanta gioia abbiano provato. Io me lo sarei sempre tenuto nelle ginocchia quel grazioso Tesoro!
Di fatto, il 30 gennaio 1964, proprio mentre pregava davanti al presepe, a Maria parve di poter tenere tra le braccia il Bambinello vivo. Rinnovò l’offerta della propria vita, ma capì anche che abbracciare Gesù voleva dire accogliere tutto di Lui, compresa la Croce.
Per saperne di più
Chi volesse avere materiale sulla Beata Maria Bolognesi, o riferire grazie ottenute per sua intercessione, può rivolgersi attualmente a:
DIOCESI DI ADRIA-ROVIGO
Via G. Sichirollo, 18 - 45100 Rovigo
tel. 0425.209611 (centralino)
Su Internet
Sito del comitato organizzatore della beatificazione
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