Carlo Borromeo: cuore di pastore in uno spirito di ferro

Giovanni Battista Crespi detto il Cerano,
San Carlo visita gli appestati delle campagne,
Museo del Duomo (fonte)
(nei giorni precedenti la festa di san Carlo è esposto in Duomo
insieme agli altri teleri e ai quadri che raffigurano i miracoli del Santo)


Chi è?

 

Carlo Borromeo nacque ad Arona il 2 ottobre 1538, terzo dei sette figli di Giberto II Borromeo e Margherita Medici di Melegnano (o Marignano). In quanto figlio cadetto, secondo le consuetudini del tempo, fu avviato allo stato clericale: a tredici anni lasciò Arona per Milano, mentre a quattordici fu iscritto all’Università di Pavia, laureandosi in Diritto nel 1559.

Nello stesso anno, il 25 dicembre, fu eletto Papa suo zio Gian Angelo Medici, col nome di papa Pio IV. Lui e il fratello maggiore Federico (il primogenito) vennero chiamati da lui a Roma. Il secondo divenne capitano generale della Chiesa, mentre Carlo ricevette importanti incarichi nella Curia romana.

A ventidue anni ricevette la porpora cardinalizia e, poco dopo, fu nominato amministratore apostolico della diocesi di Milano, senza obbligo di residenza. Alternava i suoi impegni d’ufficio alle visite nelle chiese della città e partecipava agli incontri culturali dell’Accademia delle “Notti Vaticane”.

La morte di Federico, a ventisette anni, lo sconvolse profondamente. Le sue letture e gli incontri con personalità che miravano a una profonda riforma della Chiesa lo portarono a capire di doversi dedicare più seriamente al ministero.

Chiese e ottenne di essere ordinato sacerdote, il 17 luglio 1563, e vescovo il 7 dicembre (ricorrenza dell’ordinazione episcopale di sant’Ambrogio) dello stesso anno. In forza dell’ordinazione, era arcivescovo di Milano a tutti gli effetti, anche se la nomina gli era giunta solo nel maggio 1563. Per questa ragione, partì da Roma e si stabilì definitivamente a Milano.

La residenza stabile era una delle richieste del Concilio di Trento ai vescovi, ma lui ne visse altre, come la visita pastorale al territorio diocesano, la stesura di un catechismo e l’attenzione alle congregazioni e agli ordini religiosi, visti come strumento per attuare un’autentica riforma. Volle poi che venisse costruito il Seminario diocesano e fondò gli Oblati di Sant’Ambrogio, un gruppo di sacerdoti alle dirette dipendenze dell’arcivescovo di Milano.

Sopravvisse all’attentato del 26 ottobre 1569, i cui mandanti erano membri dell’Ordine degli Umiliati, da lui soppresso. Nel corso dell’epidemia di peste degli anni 1576 e 1577, organizzò l’assistenza ai malati, portò la Comunione personalmente e si privò delle suppellettili per ottenere sostegno economico per loro.

Nell’ottobre 1584, mentre si trovava a Varallo per meditare ancora più attentamente sulla Passione di Cristo, fu colto da febbri violente, che, unite al suo fisico gracile e alle penitenze che non aveva mai tralasciato, lo condussero alla morte, il 3 novembre 1584.

Il 1° novembre 1610 fu iscritto tra i Santi da papa Paolo V. I suoi resti mortali sono venerati nello Scurolo di San Carlo, cappella situata nei sotterranei del Duomo di Milano. La sua memoria liturgica cade invece il 4 novembre.

 

Cosa c’entra con me?

 

San Carlo è entrato nella mia vita quando ero piuttosto piccola, o comunque negli anni delle elementari, tramite un libro della collana Fiori di Cielo, all’epoca ancora delle Edizioni Paoline. Se non mi sbaglio, quel volumetto su di lui è stato uno dei primi che non ho comprato presso il santuario della Madonna di Pompei o della Madonna dell’Arco, come mi capitava spesso durante le mie vacanze a Napoli. Ormai avevo preso gusto a quel genere di letture, per cui volevo cercare di completare la collana e, così, conoscere altre storie. Tra l’altro, benché fossi nata a Milano, sentivo di non conoscere affatto i Santi della mia città.

L’impatto con la vita del Borromeo fu devastante, senz’alcuna retorica, tanto da farmi scordare che io sono nata poco prima del quarto centenario della sua morte. Mi sorprese vedere come avesse preso sul serio il compito di consigliare il Papa (non solo suo zio, ma anche i successori) e di governare la diocesi di Milano cercando di conoscerla approfonditamente.

Mi colpì vedere che era passato dalle conversazioni culturali nelle notti romane a veglie di penitenza, trascorse contemplando il Crocifisso e piangendo sui propri peccati. Mi venne da concordare pienamente con san Filippo Neri, che già conoscevo per aver letto un libro analogo: quello era davvero un «santo di ferro»!

Solo molti anni dopo ho iniziato a riallacciare i legami con lui. Ricordo che tra il 2003 e il 2004, quando stavo per finire le superiori, venne lanciato un concorso per gli studenti di tutte le scuole milanesi, perché producessero degli elaborati su di lui; c’era di mezzo il quattrocentotrentesimo anniversario della morte. La cosa m’interessò, ma alla fine non partecipai, perché ero del tutto a corto d’idee.

Ormai universitaria, iniziai a visitare, nel tempo libero, le chiese del centro di Milano. Un giorno mi accadde di passare per San Carlo al Corso e per l’annessa libreria, dove presi un santino non particolarmente artistico, ma che mi attrasse immediatamente. Visitando la chiesa, mi ricordai di quanto avevo letto in una biografia, di nuovo dei Fiori di Cielo, di san Luigi Gonzaga: lui aveva ricevuto la Prima Comunione proprio per mano di san Carlo, in visita pastorale a Mantova.

Ripresi il libro che avevo per casa, stavolta con una consapevolezza accresciuta: se non nelle penitenze, poteva esserci qualcosa in cui assomigliare al mio santo vescovo. Decisi poi che avrei cominciato a festeggiare la sua nascita al Cielo andando al Pontificale presieduto in Duomo dall’Arcivescovo, all’epoca il cardinal Dionigi Tettamanzi. Di certo lo feci già nel 2008, quando ebbi un dono singolare: venni scelta per portare le offerte, unica donna tra diaconi e seminaristi.

In ogni caso, ho cercato di non mancare negli anni successivi. Ho cercato di ascoltare con attenzione le indicazioni dell’Arcivescovo ai suoi sacerdoti, anche se qualcuno mi aveva fatto presente che io non c’entravo nulla con loro.

Quanto alle direttive più generali, le ho recepite nella Lettera pastorale Santi per vocazione, uscita nel 2010, per il quarto centenario della canonizzazione. Nello stesso anno, i numerosi articoli sui media diocesani e le conferenze organizzate su di lui hanno contribuito ad accrescere la mia conoscenza del suo operato.

Nel luglio dello scorso anno, inaspettatamente, sono stata invitata da mia sorella e mio cognato a raggiungerli ad Arona, così da visitare la statua colossale del Sancarlone. Qui ho raccontato quella che aveva tutti i caratteri di una gita, ma che è stata occasione perché ripensassi a cosa san Carlo mi avesse lasciato.

Il mio legame con lui passa, per forza di cose, anche dal rapporto con gli Arcivescovi suoi successori che hanno governato durante la mia vita. Durante l’episcopato del cardinal Martini ero ancora piccola o comunque inesperta di cose diocesane, per cui mi bastava sapere che a Messa era menzionato «il nostro vescovo Carlo Maria».

Sotto il governo pastorale del cardinal Tettamanzi, oltre a quanto ho indicato prima, è avvenuta la svolta decisiva per il mio cammino: grazie a lui ho capito che avrei dovuto curarmi di più di come va la Chiesa, invece di essere aggiornata sull’ultimo pettegolezzo relativo ai miei cantanti preferiti.

Quando fu eletto Arcivescovo il cardinal Angelo Scola, ammetto di aver vissuto malissimo quel momento, perché influenzata dalle chiacchiere negative sul suo conto. Ho pianto parecchio quando Tettamanzi gli passò il pastorale commentando che si sarebbe reso conto di quanto pesasse; fuor di metafora, di cosa significasse succedere a san Carlo.

Ogni volta che sentivo critiche contro di lui perché sembrava non essere affatto simile al santo predecessore, avvertivo in me la necessità a pregare perché avvenisse un cambiamento in lui o almeno nei detrattori.

In effetti, è innegabile che Scola si sia rifatto a lui più volte, specie durante la Via Crucis a tappe per le sette Zone pastorali, dove venne portato in processione il Santo Chiodo. Penso che sia un altro dei lati positivi del suo operato, a parte quelli che avevo delineato in occasione del suo settantacinquesimo compleanno.

Con monsignor Mario Delpini è andata diversamente. A dirla tutta, credevo che, avendo una certa conoscenza delle sue opere scritte, non avrei avuto sorprese particolari circa il suo stile episcopale, ma mi sbagliavo.

Nel corso dei mesi ho poi iniziato a sentire critiche anche contro di lui, reo – ancora una volta – di non assomigliare al Borromeo. In questo caso, perché avrebbe dovuto compiere gesti plateali e penitenziali allo scopo di espiare per i casi di pedofilia nel clero o, quest’anno, per invocare la misericordia divina in soccorso dei fedeli malati di coronavirus, a pandemia appena iniziata. Magari avrebbe dovuto percorrere Milano scalzo, col cappio al collo, da solo, elevando il Santo Chiodo,  come si vede che fece san Carlo in tempo di peste, in uno dei teleri del Duomo.

Bastava solo aspettare: la preghiera per la pace alle 6.45 dalla cappella sotterranea dell’Arcivescovado, la processione eucaristica tra i padiglioni del Policlinico e, soprattutto, la preghiera alla “Madunina” sulle terrazze del Duomo hanno (almeno spero) messo a tacere i malumori. Ammetto che, quando l’ho visto tracciare i tre segni di croce in direzione dei punti cardinali, ho esultato come neanche durante la finale dei mondiali di calcio del 2006.

Ora che pure lui è positivo anche se asintomatico e prosegue l’isolamento, mi aspetto che tanti pensino che sia stato come san Carlo perché ha continuato le visite pastorali, perché non ha annullato la Veglia Missionaria in Duomo e, infine, perché ha fatto il volontario per un giorno alla mensa dell’Opera San Francesco in viale Piave.

Le critiche non sono mancate neppure stavolta: ho letto di chi ha stigmatizzato il fatto di averlo visto spesso senza mascherina. La verità è che non si può, purtroppo, sapere come si sia ammalato; si può solo sperare che non abbia ulteriori problemi.

 

Il suo Vangelo

 

Guardando nel complesso la vita di san Carlo, si può pensare che il suo modo di vivere il Vangelo sia stato consapevole dell’esigenza che esso richiede, tanto più se si è chiamati a ruoli di responsabilità, sia nel governo della Chiesa, sia in campo civile. Ecco quindi che si spiegano le veglie notturne, i digiuni e le penitenze fisiche: gli servivano per rendersi conto sulla propria pelle di cosa comportasse seguire davvero il Signore.

Da arcivescovo, ha capito sempre di più quanto il popolo, i sacerdoti e i religiosi guardassero a lui; ha quindi agito di conseguenza, con quella tenacia che gli fu riconosciuta da san Filippo e dagli altri contemporanei.

Si evince che ne fosse sicuro dalle parole che pronunciò, in forma di preghiera, a Vercelli, il 5 settembre 1583. Dopo essersi riconosciuto creatura indegna di aver ricevuto il perdono di Dio nonostante le sue numerose mancanze, si chiese cos’avrebbe dovuto dargli in cambio. Comprese che gli veniva chiesto di dare il proprio cuore e che, per una donazione totale, aveva bisogno della sapienza che viene dall’alto.

Concludeva quindi:

Così, senza mai allontanarmi dalla tua volontà,

io camminerò per primo sulla strada dei tuoi precetti

e su di essa guiderò i fedeli,

sapendo di non dover vivere come piace a me,

ma riconoscendomi tuo suddito

e conformando la mia volontà alla tua legge.

Sia così per colui che ora regge il suo pastorale e per tutti i vescovi, specie quelli che, come lui, hanno a che fare direttamente con la pandemia o ne sono risultati guariti.

 

Per saperne di più

 

Michele Aramini, San Carlo Borromeo, Velar-Elledici 2010, pp. 48, € 3,50.

Una piccola biografia uscita per il quarto centenario della canonizzazione.

 

Maria Malacrida, San Carlo – Il vescovo di Milano raccontato ai ragazzi, Centro Ambrosiano 2010, pp. 64, € 3,00.

Una biografia mirata ai ragazzi, non solo a quelli ambrosiani.

 

A cura di Ennio Apeciti, Quale amore ti ha mostrato Cristo! – Preghiere e testi di san

Carlo Borromeo, Centro Ambrosiano 2010, pp. 48, € 3, 20

Selezione delle sue omelie e delle preghiere in esse contenute.

 

Dionigi Tettamanzi, San Carlo e la Croce, Ancora 2010, pp. 176, €  14,00

Un saggio originariamente uscito nel 1984, dedicato all’approfondimento del mistero della Croce tramite le omelie del Borromeo.

 

Domenico Sguaitamatti, Colori di santità – San Carlo nei teleri del Duomo: percorso tra arte e fede, Centro Ambrosiano 2010, pp. 152, € 18,00.

La presentazione dei teleri, detti anche Quadroni, che vengono esposti lungo la navata centrale e i due transetti del Duomo ogni anno, a ridosso della solennità di san Carlo.

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