Squarci di testimonianze #39: san Giovanni XXIII e la piccola Katherine Hudson

Fonte: The Catholic World in Pictures, 18 aprile 1960 (qui)


Dieci anni fa, non ricordo per quale ragione, acquistai un piccolo libro con le parole di quella meditazione di papa Giovanni XXIII, al tempo ancora Beato, intitolata Solo per oggi.

La semplicità solo apparente di quel decalogo per la vita quotidiana mi colpì, ma attrasse ancora di più la mia attenzione una delle fotografie che illustravano quelle pagine. Ritraeva il Papa con accanto una bambina in abito da Prima Comunione: la didascalia affermava che il suo nome era Katherine Hudson e che era molto malata.

Al tempo avevo ancora accesso alle biblioteche della mia università; quindi, riuscii a scovare l’edizione dell’Osservatore Romano dove si parlava di quella singolare udienza. Tuttavia, non ricordo dove ho fatto finire quel file.

So però di averlo usato come base per un articolo intitolato I piccoli che fecero il Concilio, che pensavo d’inviare alla rivista degli Amici di Silvio Dissegna, mettendo in parallelo a quella di Catherine altre due storie di bambini malati al tempo del Vaticano II, i quali offrirono le loro sofferenze per il buon esito dell’assise conciliare. Tuttavia, non ho mai inviato quel contributo.

Me ne sono ricordata alcuni giorni fa, mentre cercavo altri file nel mio archivio. Visto che oggi ricorre il sessantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, che era stato annunciato poco prima dell’udienza a quella bambina (di certo, lei si sarà unita alle preghiere e alle sofferenze di tanti, offerte per il buon esito dell’assise conciliare) ho pensato bene di riprenderlo, ma non mi soddisfaceva granché.

Ho allora provato a vedere se in Rete ci fossero altre tracce di Katherine Hudson, incrociando ovviamente il suo nome con quello del Papa, ovviamente in inglese, ossia “John XXIII”. Sono riuscita a recuperare un articolo di cronaca di The Voice, settimanale della diocesi di Miami, che nel numero del 22 aprile 1960, alle pagine 1 e 3, rendeva conto di quell’incontro, avvenuto – secondo i miei appunti – dieci giorni esatti prima.

Provo quindi a ricostruirlo con parole mie. Mi sento molto vicina all’esperienza di questa bambina, perché anche a me, per un dono per nulla scontato, è riuscito di recentedi recente di poter parlare all’attuale Successore di Pietro.

Anch’io ho faticato a trovare le parole giuste, tanto da continuare, da ormai cinque giorni, ad autorimproverarmi perché non gli ho detto praticamente nulla. Aver visto il suo sorriso, molto simile a quello di papa Giovanni, mi ha però ampiamente ripagata.

Chiedo scusa per la scarsa qualità delle fotografie: le ho tratte dal medesimo articolo di giornale e, peraltro, non riesco a trovare il libriccino Solo per oggi. 


* * *


È il 12 aprile 1960. Una bambina di neanche otto anni, accompagnata dalla madre e da un piccolo seguito, entra timidamente nello studio privato di papa Giovanni XXIII. Si chiama Katherine Hudson, viene da Oklahoma City, dello Stato dell’Oklahoma. Una grave forma di leucemia l’ha colpita, ma non ha frenato il suo sogno più grande: vedere il Papa e poi morire.

Sua madre, Marlene, ha speso tutte le sue sostanze per curarla, per cui non può permettersi il viaggio fino a Roma. Arriva quindi a vendere la propria auto e i mobili di casa, pur di vederla felice ancora una volta. Alla fine, grazie a monsignor Joseph Emmenegger, responsabile della casa per preti-studenti del Pontificio Collegio Nordamericano, l’udienza viene concessa.

Fonte: The Voice, 22 aprile 1960, p. 1

Durante il volo per Roma, tuttavia, Katherine si aggrava: atterra a Ciampino ormai in stato di coma. Ricoverata al Policlinico [dovrebbe essere l’Umberto I], riesce a riprendersi dopo alcuni giorni; i medici annunciano che, se aspettasse ancora, potrebbe rischiare una ricaduta. All’udire la notizia, papa Giovanni anticipa l’udienza e brucia tutti i protocolli per fare in modo che la bambina riesca a parlargli.

Katherine indossa l’abito della Prima Comunione, che ha ricevuto poco tempo prima. Sotto il velo che le copre il capo spuntano una massa di riccioli neri e un visetto che accenna un sorriso. 

Anche il Papa, ovviamente, è vestito di bianco. La fa accomodare su una sedia accanto alla sua e le domanda:

-      Quanti anni hai, bambina mia?

-      Sette, Vostra Santità.

-      Che bell’età!

Sorridendole, aggiunge che il Cielo ascolta volentieri le preghiere dei bambini come lei. Il dialogo è favorito da monsignor Thomas Ryan, della Segreteria di Stato, che funge da interprete.

Poco dopo, il Papa getta uno sguardo sugli accompagnatori della bambina. Tra di essi c’è il dottor Gino Frontilli, che si è preso cura di lei appena arrivata al Gemelli. «Venga, Dottore», lo invita, «Questa è un’immagine davvero evangelica». Il medico, commosso come gli altri presenti, cerca le parole giuste: «La fede di questa bambina ci ha radunati. Siamo testimoni di un bellissimo evento». Con un altro sguardo a Katherine, papa Roncalli cita la prima lettera di san Giovanni: «Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede».

Fonte: The Voice, 22 aprile 1960, p. 3

La breve udienza, tre minuti in tutto [ma altri giornali che ho consultato affermano che sia durata invece trenta o quaranta minuti], termina con alcuni doni da parte del Pontefice per la bambina: una sua fotografia autografata, una medaglia con la sua effigie da una parte e quella della Vergine Maria Salus Populi Romani dall’altra e un Rosario col suo stemma.

Tornata a casa con la madre, Katherine mostra con gioia quei regali, sicura che l’accompagneranno, insieme al ricordo di quell’incontro, per tutto il tempo che le resta da vivere.


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