Io c’ero #25: come ho vissuto il convegno «La santità oggi»
Mi sa che non ho messo proprio tutto quel che ho comprato o che mi hanno dato... |
Oggi giornata di doppio post: ho infatti promesso che avrei continuato a raccontare la mia partecipazione al convegno La santità oggi, dopo aver messo in evidenza almeno cinque punti delle relazioni che ho ascoltato. Tuttavia, non posso assolutamente mancare l’occasione della canonizzazione di monsignor Giovanni Battista Scalabrini per raccontare il mio legame con lui.
In realtà, anche l’altro canonizzato oggi, il Salesiano Coadiutore Artemide Zatti, c’entra un po’ con me, ma nel numero di gennaio di Sacro Cuore VIVERE ci sarà un mio articolo su di lui, dal taglio molto speciale.
Ecco allora il resoconto di questo nuovo viaggio a Roma, l’ottavo nella mia vita, se ho fatto bene i conti.
Dal “traffico de Roma” al silenzio della casa per ferie
Sono arrivata a Roma Termini alle 11.20 di lunedì 3 ottobre, in perfetto orario. Dopo qualche minuto sono riuscita a prendere il taxi: temevo di pagare tanto, ma non è andata male. Anche il tragitto è stato decisamente comodo e gradevole, anche perché c’era bel tempo, una delle famose “ottobrate romane”. Solo in un punto il mio mezzo ha rallentato, ma ha ripreso a muoversi subito dopo.
Seguendo il consiglio del mio direttore spirituale, ho alloggiato alla Casa per ferie Presentazione, delle Figlie della Presentazione di Maria al Tempio, il cui specifico è aiutare quanti desiderano prendersi del tempo per ritiri o per riposo spirituale, specie tra le donne.
Conoscevo già questa congregazione, perché avevo conosciuto una di quelle religiose a Villa Sacro Cuore, la casa per Esercizi e ritiri della diocesi di Milano, ormai in via di chiusura (anche le suore l’avevano lasciata da tempo). In più, la prima sede delle prove del Gruppo Shekinah, di cui faccio parte, era in un edificio dove le suore mi pare avessero avuto una scuola.
L’accoglienza è stata molto buona e anche il servizio in generale. La casa offre solo la colazione, dalle 8 alle 9 del mattino. Dato che avevo un leggero disturbo di salute, le suore mi hanno concesso di aggiungere del limone al mio tè, anche se a tavola non era previsto. Mi hanno anche lasciato seguire il Rosario di TV 2000 dalla sala comune, la sera di mercoledì. In generale, ogni sera mi chiedevano come fosse andata la giornata e si mostravano felici di ascoltarmi.
Salvatoriani, permesso…
Nel mio viaggio in occasione della canonizzazione dei dieci Santi precedenti a quelli di oggi, avevo notato che, sulla facciata di un palazzo in via della Conciliazione, 51 spiccavano due grosse bandiere. Una di esse aveva lo stemma della Società del Divin Salvatore, composta da religiosi sacerdoti, suore e laici, fondata da padre Francesco Maria della Croce, al secolo Johann Baptist Jordan, beatificato lo scorso anno.
Per mancanza di tempo non ero riuscita a passare di lì, anche perché forse avrei dovuto prenotare la visita a Palazzo Cesi-Armellini, da sempre sede della loro casa generalizia. Lunedì, però, avevo ancora un’oretta prima dell’inizio del convegno: ho deciso allora di provare a citofonare, così da eventualmente prenotare in un secondo momento.
Il corridoio del palazzo |
Per evitare di fare come me, suggerisco di avvisare per tempo la Segreteria generale dei Padri Salvatoriani, ai contatti presenti sul loro sito ufficiale.
Intrecciando e riallacciando relazioni
Una delle ragioni che mi hanno portato a considerare l’iscrizione al convegno era che avrei potuto avere a che fare con molti postulatori di varie cause, così da poter imparare da loro. Speravo poi di rivedere alcuni miei vecchi conoscenti, specie dalle parti di Napoli.
Non solo è successo questo, ma ho potuto conoscere di persona tanti che avevo contattato telefonicamente o per via telematica, per ottenere il benestare ai miei articoli o semplicemente per informare dell’avvenuta pubblicazione.
A causa di un mio intervento durante la tavola rotonda di mercoledì, poi, sono stata accostata, davvero inaspettatamente, dalla presidente dell’associazione Amici di Nagai, la quale mi ha invitato a rivedere i testi, presenti su santiebeati.it, dei Servi di Dio Takashi Paolo Nagai e Midori Marina Moriyama. Le ho promesso che ci penserò, anche perché il direttore di Sacro Cuore VIVERE mi ha assegnato l’incarico di dedicare a quei due sposi uno dei miei prossimi pezzi.
Ricordo poi l’incontro con una delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore, agevolato dal loro postulatore (uno dei miei contatti napoletani), dalla quale ho ricevuto alcune pubblicazioni sulla Venerabile Isabella De Rosis, loro fondatrice.
La postulatrice delle Suore di Carità di Nostra Signora del Buono e Perpetuo Soccorso mi ha invece esortata a mantenere la promessa di rivedere il profilo della sua fondatrice, la Serva di Dio Agostina di Gesù Lenferna de Laresle. Colei che invece segue la causa del Servo di Dio Pier Luigi Quatrini (qui il mio post su di lui) mi ha invece fatto dono del suo ultimo lavoro, sul Servo di Dio Mechitar di Sebaste.
Sempre dopo il mio intervento alla tavola rotonda, in realtà il giorno seguente, sono stata raggiunta da suor Bernadete Rossoni, postulatrice delle Figlie di San Camillo: dopo aver seguito la causa della fondatrice, santa Giuseppina Vannini, ora si occupa anche di una causa esterna, quella della Serva di Dio Maria di Betania (Nelly Béghian, al Battesimo), che per anni era rimasta giacente negli archivi della Congregazione delle Cause dei Santi. Mi ha passato un libretto biografico, scritto in arabo e in francese (meno male che un po’ capisco la seconda di quelle lingue), e due santini d’epoca in italiano.
A pranzo con un maestro di giornalismo e di testimonianza
Dopo la mattinata di martedì, avevo un appuntamento con Luigi Accattoli, già vaticanista del Corriere della Sera, ma, di fatto, mai andato in pensione. Da sempre va a caccia di quelli che definisce “fatti di Vangelo”, ossia episodi nei quali gli sembra di rivedere quanto accaduto nella vita di Gesù e nelle sue parole. Io stessa gliene ho segnalati parecchi, anche durante la prima ondata della pandemia.
Nel corso del pranzo che mi ha gentilmente offerto, abbiamo conversato di santità, di testimonianza, di vita della Chiesa. Sono veramente onorata della sua conoscenza: farò del mio meglio per continuare a tessere la tela che mi accomuna a lui, come mi scrisse in una e-mail.
Insomma, chi sono i “santi della porta accanto”?
Non appena ci è stato riferito che avevamo la possibilità d’intervenire al termine della tavola rotonda di mercoledì, ho deciso di procedere con una di quelle domande che non ero riuscita a porre, per timidezza e per mancanza di tempo, al Cardinale Prefetto quand’è venuto a Milano per la beatificazione di Armida Barelli e don Mario Ciceri.
Sostanzialmente, ho domandato come mai la qualifica di “santi della porta accanto” venga spesso attribuita a persone decedute, quando nei paragrafi 6-9, particolarmente il 7, della Gaudete et exsultate, papa Francesco afferma chiaramente che costoro sono persone viventi accanto a noi. Peraltro, è tornato altre volte su quest’espressione, applicandola costantemente a persone vive: genitori, lavoratori, sacerdoti, membri del personale sanitario.
Padre Maurizio Faggioni ha risposto che non è un fraintendimento, come invece intendevo io: i santi non sono solo quelli deceduti, ma anche quelli vivi. In quei paragrafi, il Papa parla della santità diffusa, che l’uomo da solo non riesce a compiere.
Andrea Riccardi, dal canto suo, ha affermato che ritiene che lì non si faccia distinzione tra morti e vivi, ma s’inviti la gente a riconoscere la santità che la circonda; come sfida personale, certo, ma anche a vederla in tanti uomini e donne.
Nell’udienza riservata a noi convegnisti giovedì 6, papa Francesco ha di nuovo presentato quest’argomento: «coloro che la Chiesa indica come modelli, intercessori e maestri», ovvero i Santi e i Beati, sono «in mezzo a questa moltitudine di credenti», da essa vengono tratti.
Confortata da quest’affermazione, continuerò a considerare “santi della porta accanto” quelli che ora, vicino a me, riflettono la bellezza della fede, mentre tutti gli altri, a meno di terribili smentite (che valgono anche per i miei contemporanei e vicini), resteranno dei semplici Testimoni.
In giro per acquisti e per nuovi incontri
Sarò stata abituata male, ma ogni volta che visito qualche posto sento di dover portare a casa qualche oggetto comprato lì, per condividere con le persone a cui voglio bene quello che ho vissuto. A Roma, poi, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Tuttavia, si rischia anche di finire nauseati per la mole impressionante, nonché per la scarsa qualità, della mercanzia esposta nelle vetrine di via della Conciliazione o di Borgo Pio.
Per evitare questo rischio, ho deciso di fare compere solo in luoghi dove ero sicura di trovare non solo qualcosa d’insolito o che a Milano sia di difficile reperibilità, ma anche dove evitare di cadere preda del consumismo religioso.
Per la precisione, sono tornata alla libreria Ancora di via della Conciliazione 63, un autentico punto di riferimento per turisti e pellegrini (nonché uno dei pochi luoghi dove l’acqua in bottigliette sia venduta a € 0,50). Non ho mancato di fare tappa da Comandini, anche se a maggio avevo già fatto buona scorta di materiale per Rosari fai da te.
Mi sono poi imbattuta nel negozietto Mission Cattolica, in via del Mascherino 43, che offriva oggetti artigianali molto graziosi, la cui vendita sostiene famiglie povere del Libano e del Messico. Alla titolare ho raccontato di venire da Milano e che anche dalle mie parti, precisamente nella chiesa di Santa Maria della Sanità, c’è una fiorente comunità maronita, che ogni 27 del mese tiene una funzione in onore di san Charbel Makhlouf, molto partecipata (qui il mio racconto su di lui). Ho acquistato un sacchettino porta-Rosario, pensando che prima o poi mi farà comodo.
In Borgo Pio 141, non lontano da Comandini, ho invece scovato Il Messaggio dell’Icona, che vende icone dipinte e altre più semplici con immagini incollate, ma anche cartoline e immaginette tratte sempre dalle icone, incenso, musica per la meditazione e corde da preghiera (rosari classici e chotki).
A Santo Spirito in Sassia
La foto in realtà è di mercoledì 5 |
Ho allora pensato di passare di lì mercoledì, ultimo giorno della novena a santa Faustina, in tempo per recitare comunitariamente la Coroncina alla Divina Misericordia e per visitare la chiesa sul serio, dopo che avevo comprato online una guida.
Lì sono conservate alcune reliquie di quella Santa e di san Giovanni Paolo II, ma c’è anche una lapide che ricorda sant’Agostina Pietrantoni, della quale mi ero occupata due anni fa. Quell’iscrizione contiene però termini che non hanno trovato riscontro nella sua causa di beatificazione e canonizzazione; come mi ha riferito la postulatrice della sua congregazione, se la sua causa fosse partita oggi, si sarebbe considerata più seriamente la pista del martirio in odio alla fede e al suo essere religiosa.
Giustamente, le suore della Congregazione della Beata Vergine Maria della Misericordia aprono il negozietto ospitato nella sacrestia solo dopo la Coroncina e le Litanie alla Divina Misericordia o a santa Faustina, nei giorni della novena e della sua memoria, che lì è ovviamente celebrata come festa (hanno anche un sito di e-commerce).
Non appena sono entrata, ho incrociato una suora che aveva in mano una rosa realizzata con nastri di raso verde, bianco e rosso-violetto, posata su un centrino di carta. Ho esclamato che era bellissima, così me l’ha regalata. Lì per lì sono rimasta esterrefatta: non era santa Teresa di Gesù Bambino a elargire rose in segno di grazie ricevute?
Ho quindi iniziato a guardarmi attorno, sempre per trovare qualcosa di diverso: ormai non c’è luogo dove si trovino riproduzioni del Gesù Misericordioso legato alle sue rivelazioni, mentre per la Coroncina, anche se ormai sono disponibili corone devozionali speciali (una l’avevo comprata a Cracovia), basta un comunissimo Rosario. A me interessava particolarmente la biografia, e ovviamente qualche santino, di don Michał Sopocko, direttore spirituale di santa Faustina, beatificato nel 2008.
Nuove combinazioni dello Spirito
Poco dopo, su una mensola, accanto alle guide simili a quella che già avevo preso, ho scorto un visetto di bambino sulla copertina di un piccolo libro. Si trattava di Giovannimaria Rainaldi, romano di nascita, morto nel 2013 per un ganglioneuroblastoma. Di lui ultimamente si parla molto in termini di eccezionalità, per il modo in cui viveva la fede da sano e poi da malato.
Avevo pensato di occuparmi di lui non prima del decimo anniversario della sua morte, che cadrà il prossimo 30 maggio. All’Ancora di via della Conciliazione non avevo trovato quello stesso libro, per cui avevo pensato di ordinarlo una volta tornata a casa, o in libreria, o all’editore.
Trovarmelo davanti mi ha condotta a ritenere che fosse lì per me, ma subito dopo ho iniziato a pensare che avevo letto troppe storie di Santi e affini. Quando, sollevando la copertina, ho trovato che conteneva ben tre santini di Gio, come lo chiamano parenti, amici e quanti si affezionano ora a lui, ho definitivamente capitolato.
Non ho ancora letto bene la biografia, ma da quel che ho capito sua madre veniva spesso in quella chiesa a pregare e, quando tornava, lui insisteva perché cantassero insieme «Gesù confido in te».
Uscita dalla sacrestia, mi sono sentita richiamare interiormente dal fatto che non stavo pensando all’essenziale. In fin dei conti, commentando la novena, il rettore, monsignor Jozef Bart, aveva invitato i fedeli ad accostarsi alla Confessione sacramentale. Così, appena ho trovato un confessionale libero, mi ci sono infilata dentro, ringraziando Dio per quell’opportunità e per quelle combinazioni che mi erano capitate e ricorrendo con fiducia alla Divina Misericordia.
In realtà, non dovevo usare quel termine: «Chi combina le combinazioni?», domandava san Pio da Pietrelcina a quanti gli riferivano fatti che suonavano casuali, ma che a lui apparivano provvidenziali, dono di quello stesso Spirito a cui – non va dimenticato – è intitolato quel gioiello di architettura e di fede.
Nelle comunicazioni successive del convegno, ho pensato che quanto padre Faggioni aveva affermato riguardo santa Teresa di Lisieux poteva ben essere applicato anche a santa Faustina e al suo Diario, anche se, perché lei e le sue rivelazioni fossero conosciute, molto si deve all’ascesa al soglio pontificio di san Giovanni Paolo II.
Miracoli necessari e segni da custodire
Durante la tavola rotonda di giovedì, invece, ha preso la parola il presidente dell’associazione attrice della causa del Servo di Dio Antoni Gaudì, domandando se l’opera di quell’architetto, in particolare relativa al Tempio Espiatorio della Sagrada Famìlia, non gli possa valere come miracolo in vista della beatificazione, tenuto conto che, ad esempio, un uomo coreano è diventato cattolico studiando la teologia che sottostà al suo modo d’intendere l’architettura.
Credo che i relatori non abbiano afferrato pienamente il senso della sua domanda, che spesso ho sentito ripetere per altri casi: per citarne uno, c’è chi si è chiesto lo stesso per le realizzazioni missionarie del Venerabile Marcello Candia.
Finché non cambieranno le norme, invece, sarà necessario continuare a chiedere a Dio un segno grosso che comprovi la loro intercessione, del tipo di una guarigione inspiegabile secondo le odierne conoscenze mediche, o un caso di scampato pericolo, o ancora un intervento sulla materia.
Quanto a me, sento di aver ricevuto dei segni dopo aver chiesto a un certo personaggio d’intercedere per me e per i miei cari. Fino a quando non verrà il momento opportuno, li terrò per me, così, se un giorno davvero venisse avviata la causa, potrò raccontarli.
Davanti a papa Francesco
Qui è mentre aspettavamo |
Infine, giovedì, ecco il momento in cui avrei potuto accostarmi a papa Francesco. Nel 2018, quando ho cantato dietro di lui nel coro che ha accompagnato la veglia dell’incontro dei giovani italiani al Circo Massimo, mi era stato fatto espressamente divieto anche solo di stringergli la mano; in realtà, valeva per tutti. Ero anche inciampata in uno dei cavi del palcoscenico, mentre mi posizionavo per la foto di gruppo (nella quale, contrariamente a quanto credevo, compaio eccome) e avvicinarmi almeno un pochino.
Mentre percorrevo le scalinate per raggiungere la Sala Clementina e, ancor prima, attendevo in coda di arrivare al Portone di Bronzo del Palazzo Apostolico, mi domandavo cos’avrei potuto dirgli.
Forse gli avrei chiesto di avere pietà del mio Arcivescovo e del suo tentativo di mostrare una Chiesa più ironica e meno autoreferenziale, anche se lui pronuncia battute che molti non capiscono e che preferiscono leggere come offese alla persona e alle scelte del successore di Pietro (ma è una triste e desueta consuetudine, a mio modo di vedere, quella che vede su due fronti contrapposti il Pontefice regnante e l’Arcivescovo di Milano in carica), e di continuare a considerarlo un vescovo «vicino al suo popolo e anche vicino a Dio nella preghiera», come l’aveva elogiato nell’Angelus del 15 marzo 2020, seguito a quella solitaria preghiera sulle terrazze del Duomo, sotto la Madunina della Guglia Maggiore.
Oppure gli avrei ricordato che a Milano abbiamo moltissime figure sante, riconosciute ufficialmente o tali solo nel cuore di pochi fedeli, ma non tutte sono note, venerate e invocate come il Beato Carlo Acutis, più volte citato nei giorni del convegno, non ultimo da lui stesso.
O ancora, gli avrei potuto chiedere di benedire me e i lettori di questo blog, lasciandogli il biglietto da visita e sperando in una sua telefonata, però gliel’avevo già chiesto in una lettera che un amico, al tempo diacono, gli aveva recapitato di persona.
La risposta che avevo ricevuto dalla Segreteria di Stato m’invitava a fidarmi della Provvidenza, mentre la mia domanda era se, scrivendo dei Testimoni, avrei contribuito a cambiare il mondo e a lasciarvi la mia impronta, come lui aveva chiesto di fare ai giovani convenuti alla GMG di Cracovia.
Di certo, non mi sarei inchinata di fronte a lui, né gli avrei baciato la mano (anche per via delle norme anti-Covid), e nemmeno mi sarei accostata a mani giunte.
A Maria Teresa Di Muro, presidente della mensa "Don Giovanni Mele" di Matera, che gli è venuta incontro in quella posa, ha infatti risposto: «Ma chi è quest’icona?» (in questo video, dal minuto 5:39). La signora l’ha preso per un complimento, ma era un palese rimprovero di fronte a quell'atteggiamento eccessivamente devoto o “da immaginetta”, per citare un’altra espressione bergogliana.
Insomma, appena me lo sono trovata davanti, non ho trovato di meglio che ricambiare il suo sorriso, stringergli la mano, trovandola morbida e calda, prima con la destra, poi anche con la sinistra, e di pronunciare queste parole: «Piacere, Padre Santo, e grazie, grazie di tutto!».
Quando ho dato uno sguardo alla galleria fotografica dell’udienza, mi sono accorta che altri gli hanno lasciato regali, o gli hanno chiesto di benedire immagini o altri oggetti, o ancora gli hanno baciato l’anello. Mi sono data della stupida perché, attenendomi rigidamente al protocollo, ho sprecato quella che poteva essere una preziosa occasione.
In realtà, non era ancora finita. Una mia amica mi aveva messo in guardia che dal monte della Trasfigurazione, prima o poi, si deve scendere. Io, però, volevo godere ancora un po' della bellezza che mi circondava e tornare a visitare la basilica di San Pietro dopo sei anni.
Sono perfino riuscita a recitare due decine di Rosario all'altare di San Giuseppe, reso famoso dai seguitissimi Rosari del cardinal Comastri, anche se ora la preghiera mariana è guidata da un altro vescovo.
Ho anche visitato le Grotte Vaticane, cercando, a differenza degli altri turisti, di mantenere il silenzio. Per i Papi Beati e Santi ho recitato un Gloria, mentre per tutti gli altri (Bonifacio VIII compreso!) un Eterno Riposo.
Ho terminato il mio giro con gli ultimi acquisti al negozio della basilica, gestito dalle Pie Discepole del Divin Maestro, nonché al punto vendita della Libreria Editrice Vaticana e dei Musei Vaticani (un giorno li visiterò, anche per vivere l'esperienza spirituale auspicata dalla direttrice Barbara Jatta, nel suo intervento al convegno).
Dopo aver pranzato, sebbene la stanchezza mi avesse impedito di andare nel ristorante dove avevo mangiato a maggio, sono tornata in albergo. Salutate le suore, ho chiamato un taxi, per raggiungere la stazione Termini.
Mentre scendevo le scale del Palazzo Apostolico, avevo incrociato uno dei miei conoscenti di Napoli, il quale mi aveva domandato: «Ti saresti mai immaginata che, con santiebeati, saresti arrivata fin qui?». «È tutta grazia!», ho risposto, perché davvero non avrei mai pensato che avrebbe potuto accadermi di trovarmi di fronte al Vicario di Cristo e di potergli parlare, e che ciò sarebbe accaduto per via della mia passione più grande.
Ancora una volta, comunque, sento che questo non è un punto d’arrivo. È invece una ripartenza, carica non solo di molti più bagagli di quando ho lasciato Milano lunedì mattina, ma anche di ragioni rinnovate per continuare a incarnare le mie buone aspirazioni.
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