Quello che ho imparato al convegno «La santità oggi» (Le 5 cose più #28)

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Sono tornata ieri sera dal convegno La santità oggi, organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi presso l’Istituto Patristico Augustinianum di Roma. Già durante il mio ultimo pellegrinaggio lì, per le canonizzazioni del 15 maggio scorso, sapevo di questo convegno, per averne visto il programma sul sito del Dicastero.

Sono però stata indecisa fino all’ultimo se iscrivermi, per due ragioni: non avevo mai visitato Roma da sola e non sapevo dove alloggiare. Immaginavo infatti che l’Istituto Maria Bambina, letteralmente a due passi dall’Augustinianum e dalla basilica di San Pietro, fosse al completo. Mi è venuto incontro il mio direttore spirituale, suggerendomi di alloggiare dalle Figlie della Presentazione di Maria al Tempio.

Sono ancora molto stanca, sia per le energie che ho speso durante il convegno, sia per aver a lungo camminato nei dintorni del Vaticano, l’unica zona di Roma che mi sembra di conoscere bene, o almeno in modo sufficiente da non perdermi.

Tuttavia, voglio provare a fissare qualche punto da tenere fermo per l’immediato futuro. Non ho sintetizzato tutti gli interventi, perché giornalisti più esperti di me l’hanno già fatto, ma ho solo indicato i punti che hanno trovato consonanza col mio modo di vedere quei temi.

 

La santità è un fatto

 

Per come sono fatta io, pur apprezzando la caratura teologica della prolusione di monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, e dell’intervento di monsignor Orazio Francesco Piazza, appena eletto vescovo di Viterbo e al momento del convegno ancora vescovo di Sessa Aurunca, ho preferito trattenere i concetti sostenuti da Marco Tarquinio, direttore di Avvenire.

In particolare, faccio riferimento al punto della sua relazione (che si può leggere integralmente sul sito del quotidiano da lui diretto) in cui ha affermato:

Da uomo di comunicazione so anche che questo è un fatto, la santità è un fatto [in corsivo nel testo, ndr] che accade, come detto, in un rapporto speciale con Dio eppure anche dentro agli occhi degli altri. E accade persino a prescindere dalla consapevolezza generata dalla fede nel Dio rivelato pienamente in Gesù Cristo.

In un altro punto, ha fatto riferimento al giudizio ufficiale della Chiesa, che arriva dopo molti e seri passaggi (il cardinal Semeraro non fa che ripetere che il suo Dicastero non è “la fabbrica dei Santi”, ma un aiuto al discernimento del Santo Padre). Tante volte, esso mi è sembrato un ostacolo al mio entusiasmo riguardante alcune figure, capace di serrarmi la gola e annodarmi la lingua. Per Tarquinio, invece,

Garantisce autorevolmente che ciò che hanno visto gli occhi delle singole persone e persino di quella folla che chiamiamo ‘opinione pubblica’ (ecclesiale e no) o anche solo ‘gente’ non è un abbaglio [in corsivo nel testo, ndr]. Il cuore delle persone è affamato di bontà e di altezza non altezzosa, anche quando è stretto dalla paura e dallo scetticismo e dall’egoismo, e quando le vede all’opera ne è felice.

 

La santità è attuale

 

Molto più vicini al mio sentire ho trovato i contributi della seconda giornata del convegno, che aveva come sottotema Eroicità cristiana tra perennità e attualizzazione: virtù, martirio, offerta della vita.

Tra le parole contenute nell’intervento di suor Mary Melone, attuale superiora generale delle Suore Francescane Angeline, ho sentito di condividere pienamente quelle per cui la vita dei santi attrae perché è bella, perfetta nel senso di compiuta (anche se ci sono vite che paiono incompiute ma attraggono ugualmente, aggiungo io). Essi sono la concretizzazione di quell’ “uomo vivente” che è la gloria di Dio, secondo la celebre sentenza di sant’Ireneo di Lione.

Qualche tempo fa, avevo sentito un regista descrivere un personaggio del suo ultimo film, presentando la sua singolare caratteristica: al mattino svegliava sua moglie raccontandole il santo del giorno, pescando però quelli dai nomi più assurdi. Il regista sosteneva che la passione di quel personaggio fosse quantomeno inattuale.

Da allora ho iniziato a fare del mio meglio perché, invece, sempre più persone capiscano che i santi veri sono tutt’altro che inattuali. Come ha concluso suor Melone, in ultima analisi è Cristo a essere veramente attuale; loro non fanno altro che rifletterne il volto.

Tuttavia, spesso accade che questo volto sia incrostato dai nostri preconcetti: il nostro compito, ha indicato con un’efficace immagine Rosalba Manes nel suo contributo, è di ripulirlo, quasi come quando ci si strucca. Ho pensato di nuovo a quell’immagine la sera: in occasione del convegno, infatti, avevo deciso di truccarmi un minimo, ma non avevo comprato le salviettine struccanti, che sono state il mio primo acquisto, appena arrivata a Roma Termini.

 

La santità va diffusa

 

Sempre nella seconda giornata, padre Maurizio Faggioni ha ricordato che la fama sanctitatis, requisito indispensabile insieme alla fama virtutum perché una causa venga iniziata, non si verifica se la persona a cui si pensa non è conosciuta. Ha quindi posto l’esempio di santa Teresa di Gesù Bambino: è diventata conosciuta solo quando la sua autobiografia ha iniziato a circolare al di fuori del Carmelo di Lisieux.

Un altro esempio è relativo a san Charles de Foucauld: René Bazin ha scritto la sua prima e storica biografia, che è arrivata tra le mani di René Voillaume prima e di Magdeleine Hutin poi: entrambi sono stati gli iniziatori delle prime due comunità religiose (di venti!) basate sui suoi insegnamenti e concretizzazione del suo sogno, irrealizzato in vita, di fondare qualcosa di nuovo.

Nel corso della tavola rotonda del secondo giorno, il cardinal Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero, ha annunciato che per il Giubileo del 2025 sarà ripresa quella Commissione che nel Giubileo del 2000 era stata denominata “dei Nuovi Martiri”, ma che ora abbandonerà quella formulazione, che in molti aveva trovato perplessità (io stessa l’avevo manifestata indirettamente nel post in cui raccontavo la mia visita a San Bartolomeo all’Isola Tiberina nel corso del pellegrinaggio per la canonizzazione di Charles de Foucauld).

Ammetto di aver avuto un grido del cuore: vorrei poter essere coinvolta in quella Commissione. A dire il vero, non ho capito se i “Nuovi Testimoni della Fede” dovrebbero essere necessariamente morti di morte violenta oppure no.

 

La santità è necessaria

 

Mercoledì ha invece preso la parola, insieme agli altri relatori, padre Federico Lombardi, gesuita, già direttore della Sala Stampa Vaticana, nella giornata su La fama di santità in epoca digitale.

Nell’apertura del suo intervento, ha raccontato quel che accadde a padre Domenico Mondrone, suo confratello, che faceva parte del Collegio degli Scrittori (ovvero il gruppo di gesuiti della redazione) de La Civiltà Cattolica come critico letterario. Quando arrivò padre Castelli a sostituirlo, cominciò a dedicarsi alla stesura di piccoli profili di personaggi in fama di santità.

Il giovane padre Lombardi, quando lo vedeva alle prese con uno di essi, si accorgeva che gli occhi gli brillavano e quasi rimpiangeva di non aver scoperto prima quella che, lo sentiva, era la sua vera vocazione.

Quasi ogni settimana, padre Mondrone presentava a padre Bartolomeo Sorge, allora direttore, un profilo nuovo, tanto più che a lui continuava ad arrivare materiale da parte di attori di cause, congregazioni o semplici fedeli.

Sempre più entusiasta, al direttore diceva la frase che è diventata il titolo dei volumi che hanno raccolto quegli articoli (da sempre editi dalle Edizioni Pro Sanctitate, nell’ultima edizione contano cinque volumi): «I santi ci sono ancora!». Padre Sorge replicava: «No, i santi non finiscono più!», ma poi accettava gli articoli lo stesso, sebbene, per pubblicarne di più, avrebbe dovuto aumentare la foliazione della rivista.

Questo per dire che bisogna discernere quali sono le persone che possono svolgere questo «servizio di esemplarità», per ricordare la vocazione alla santità evidenziata in documenti magisteriali come la Costituzione dogmatica Lumen gentium e l’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, citate più volte in tutte le giornate.

 

La santità è un’esperienza di amore


Del discorso di papa Francesco, pronunciato in una Sala Clementina gremita dai partecipanti al convegno, ho invece deciso di conservare queste parole:


La santità, infatti, non è un programma di sforzi e di rinunce, non è fare una “ginnastica spirituale”, no, è un’altra cosa; è anzitutto l’esperienza di essere amati da Dio, di ricevere gratuitamente il suo amore, la sua misericordia. Questo dono divino ci apre alla riconoscenza e ci consente di fare esperienza di una gioia grande, che non è l’emozione di un istante o un semplice ottimismo umano, ma la certezza di poter affrontare tutto con la grazia e l’audacia che provengono da Dio.


Fin qui quanto ho imparato in queste tre giornate e mezza.

Ho molto altro da raccontare, in relazione agli incontri, alle visite più o meno improvvisate, alle spese nelle librerie e nei negozi a caccia di articoli  religiosi che a Milano non troverei. Spero di riuscirci prestissimo e di poter raccontare anche il mio legame con uno dei due Beati dei quali, domenica, è prevista la canonizzazione.


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