Alessandro Manzoni, con lo stile della fiducia cristiana
Francesco Hayez, Ritratto di Alessandro Manzoni, 1841, Milano, Pinacoteca di Brera (fonte) |
Chi è?
Alessandro Manzoni nacque a Milano il 7 marzo 1785, figlio di Giulia Beccaria, sposata con Pietro Verri. È comunemente accertato che il padre naturale fosse Giovanni Verri, la cui famiglia Giulia aveva continuato a frequentare anche dopo il matrimonio. I coniugi si separarono il 23 febbraio 1792.
Alessandro, al tempo, era allievo del
collegio dei padri Somaschi a Merate, dov’era stato accompagnato dalla madre il
13 ottobre 1791. Fu poi allievo del collegio Sant’Antonio a Lugano, retto anch’esso
dai Somaschi, dal 1796 al marzo 1798. Concluse gli studi nel collegio Longone
dei padri Barnabiti, situato prima a Castellazzo de’ Barzi, poi a Milano.
Poco dopo il termine degli studi, diede le
sue prime prove letterarie, ammirando poeti e scrittori come Vincenzo Monti e
Ugo Foscolo. Nel 1805 raggiunse a Parigi la madre, che si era legata al conte
Carlo Imbonati e, alla morte di quest’ultimo, aveva ricevuto un notevole
patrimonio in eredità. Alessandro ottenne parte di quei beni, a cui si aggiunsero
quelli ereditati da Pietro Manzoni.
Sposò Enrichetta Blondel il 6 febbraio 1808,
con rito calvinista, perché le autorità ecclesiastiche cattoliche non avevano
voluto benedire un matrimonio misto. Enrichetta partorì dieci volte e fu colpita
da varie malattie, ma andò d’accordo col marito e con la suocera. Papa Pio VII
accolse la supplica di Alessandro affinché gli concedesse di sposare Enrichetta
con rito cattolico: la celebrazione avvenne il 15 febbraio 1810. Il 22 maggio seguente la donna pronunciò la sua abiura.
La conversione al cattolicesimo di Alessandro non ha una data né un momento preciso né storicamente accertato, ma è
certo che la vita di fede sua e della consorte fu inizialmente improntata
ai principi del giansenismo.
Anche la sua produzione letteraria fu influenzata
dalla conversione: ne sono prova i quattro Inni Sacri, composti negli
anni dal 1812 al 1815. Nel biennio 1815-1816 si misurò col teatro tragico, precisamente
con l’opera Il Conte di Carmagnola, seguita, nel 1820, da Adelchi.
Nel 1818-1819 scrisse Osservazioni sulla
morale cattolica, opera di carattere apologetico, che però non taceva le
inadempienze del cattolicesimo, di cui l’autore aveva avuto esperienza, specie negli
anni dello studio.
Il 24 aprile 1821 cominciò la stesura di un
romanzo storico, in cui la grande storia del mondo si riflettesse nell’esperienza
di alcuni uomini e donne del popolo. La prima stesura fu intitolata Fermo e
Lucia, ma nel 1824, prima della stampa, cambiò titolo e stile linguistico,
diventando Gli sposi promessi. Nel 1827 uscì in edizione definitiva, col
titolo I promessi sposi. Mentre terminava la stesura del romanzo,
divenne amico di don Antonio Rosmini (beatificato nel 2009).
Il 25 dicembre 1833 Alessandro perse la moglie
Enrichetta: due anni dopo, nel 1835, cercò di tradurre in poesia l’accaduto con
l’inno Il Natale del 1833, ma non ebbe le forze di proseguire. Intanto gli
era morta anche Giulia, la figlia primogenita. Il 2 gennaio 1837 si risposò,
prendendo in moglie Teresa Borri vedova Stampa.
Probabilmente spinto dalla figlia Teresa, tra
il 1840 e il 1842 curò una nuova edizione dei Promessi sposi, illustrata
e rivista con una nuova veste linguistica improntata al fiorentino colto. La
nuova edizione comprendeva anche Storia della colonna infame, cronaca
del processo ad alcuni presunti untori della peste del 1600.
Negli anni delle guerre d’indipendenza
sostenne posizioni filo-piemontesi. Il 29 febbraio 1860 fu nominato senatore:
votò a favore della creazione del Regno d’Italia e della scelta di Firenze come
capitale provvisoria.
All’inizio del 1873, cadde mentre usciva
dalla chiesa di Santa Maria della Scala in San Fedele, che frequentava
abitualmente e dove partecipava alla Messa. Da quell’incidente iniziò il suo
declino fisico, segnato anche da turbamenti spirituali. Morì, dopo un ultimo
momento di lucidità, nel pomeriggio del 22 maggio 1873.
La sua tomba si trova nel Famedio del
Cimitero Monumentale di Milano.
Cosa c’entra con me?
Sono abbastanza sicura che il mio primo incontro con Manzoni sia avvenuto tramite l’immagine di copertina della copia dei Promessi Sposi che mia sorella aveva acquistato in previsione di affrontarne la lettura a scuola. Non capivo, però, perché nel ritratto (lo stesso scelto in apertura di post) non portasse i baffi.
Era colpa, per così dire, di Massimo Lopez,
che, nella parodia andata in onda nel 1990 e interpretata con i compagni d’arte
Anna Marchesini e Tullio Solenghi, interpretava vari personaggi, compreso l’autore
stesso (e la Monaca di Monza!), senza rinunciare, appunto, a quell’ornamento
del viso. Ancora oggi finisco, a volte, a ripetere frasi o tormentoni derivati
proprio da quella trasmissione.
Non molti anni dopo la parodia del Trio, ho
iniziato ad avvicinarmi al Manzoni vero, perché la mia maestra d’italiano, in
quarta elementare, fece imparare a me e compagni molte opere in poesia, più o
meno brevi. A ogni poesia si accompagnava una sintesi biografica, che a volte
era affidata a noi bambini – ora che ci penso, dev’essere stato lì che ho iniziato
a trovare interessanti le vite dei personaggi storici – . Come mi era accaduto
per Dante Alighieri (qui il mio post su di lui), avevo imparato a memoria
alcuni stralci di una sua poesia, precisamente del Cinque maggio;
precisamente, arrivava fino a …e d’immutato amor.
Alle superiori, in V ginnasio, ho finalmente
iniziato la lettura e lo studio del romanzo e delle altre opere manzoniane. Tuttavia,
il trattamento a cui la professoressa di Lettere sottopose la mia classe per
capire l’andamento delle vicende di Renzo e Lucia rischiò di produrre l’effetto
contrario: dovevamo dividere ogni capitolo in sequenze, dare a ciascuna un
titolo che non contenesse un verbo (ad esempio: “Incontro tra don Abbondio e i
Bravi”) e riportarlo su un’apposita tabella, insieme alle date storiche
riferite nel romanzo.
Fu una faticaccia immane, che in tutta la
classe solo io e forse altre due mie compagne avevamo cercato di portare a
termine. Anni dopo ho capito quanto fosse importante dividere un testo in
sequenze e riconoscere i fatti principali che contenevano: lo faccio ad esempio
coi profili lunghi per santiebeati e per i titoli dei paragrafi degli
articoli per Sacro Cuore VIVERE.
Anche studiare le tragedie, soprattutto l’Adelchi,
risultava a volte molto pesante, ma io riuscivo a trovare qualcosa che
m’interessasse. Preferivo gli Inni sacri, però in un tema avevo scritto
una finta intervista a uno studente, che interpretava Adelchi in uno spettacolo
nel mio liceo.
La mia professoressa non era anticlericale,
ma nemmeno eccessivamente religiosa, per cui non so dire perché ci rendesse
antipatico studiare Manzoni. Allo stesso tempo, però, ci presentava come ideale
quello che lui stesso scrisse nei versi 207-215 del carme In morte di Carlo Imbonati.
Al tempo ero la classica ragazza paolotta,
che trascorreva il suo tempo tra lo studio (tantissimo) e la vita in
parrocchia, più la lettura di qualche fumetto e la passione, celata per evitare
prese in giro, per qualche gruppo musicale. Vedere come la fede avesse
accompagnato Manzoni dalla conversione in poi e in gran parte della produzione
letteraria cominciò a farmi capire che potesse valere lo stesso per me.
Avendo studiato Lettere classiche
all’università, non ho approfondito la sua conoscenza né letto altre opere. Tuttavia,
a causa di alcune conferenze culturali, mi sono trovata più volte a passare per
piazza San Fedele e a mangiare qualcosa sulle panchine ai piedi del suo
monumento; non mi sentivo osservata minacciosamente, ma sorvegliata con cura. Ho
avuto la stessa impressione partecipando qualche volta alla Messa feriale lì e
osservando il bassorilievo che raffigura la sua ultima Comunione.
Nel 2011, con la beatificazione di don
Serafino Morazzone, il curato di Chiuso da lui elogiato nel Fermo e Lucia,
ho riletto quello stralcio della prima stesura, notando la sua ammirazione, ma
anche che non aveva mai usato la parola “santo”; un modello di prudenza, quindi.
Non ho cementato il legame con lui, ma ho
appreso che altri l’avevano fatto: su tutti il cardinal Giovanni Colombo,
arcivescovo di Milano, sulla scorta del suo maestro spirituale e culturale, il
Servo di Dio Giulio Salvadori. Lo stesso cardinale aveva proposto di traslare
le spoglie di Manzoni in Duomo, ma si giunse a un nulla di fatto.
L’attuale arciprete, nel numero di
maggio-giugno 2018 di Duomo Notizie, bimestrale del Duomo di Milano (che
contiene anche un articolo in cui la questione è spiegata nel dettaglio), si
dice contrario per queste ragioni: il Duomo è sì casa di tutti i milanesi, ma
vi devono essere sepolti solo gli Arcivescovi, anche perché per i milanesi
illustri c’è già il Famedio.
Infine, avvicinarmi alla vita del Beato
Antonio Rosmini, ma anche pregare sulla sua tomba a Stresa, mi ha fatto
scoprire che proprio a Manzoni dettò il proprio estremo testamento spirituale:
adorare, tacere, godere.
In realtà ho un piccolo legame letterario
manzoniano, che mi piace ricordare in questo centocinquantesimo anniversario della sua morte: più di una volta mi sono ritrovata, in modo colloquiale, a
riferirmi ai “venticinque lettori” di questo blog, come lui fa nel capitolo I.
Purtroppo credo che siano molti, ma molti meno, ma non sarà questo a fermarmi.
Il suo Vangelo
Ancora vivo, Manzoni non era ritenuto un autentico Testimone in ambienti cattolici. Gli si rimproverava di ammirare Giuseppe Garibaldi, il quale era legato alla Massoneria, ma anche di essere a favore di una diminuzione del potere temporale del Papa.
Gradualmente, anche per l’evoluzione della
questione romana, si è arrivati a considerarlo non tanto degno degli altari –
pesano ancora i suoi influssi giansenistici – quanto capace di dare un’anima
alle sue creazioni letterarie e di aver dato spazio, nel suo romanzo, alla
storia degli umili e alla loro fiducia nella Provvidenza, che doveva essere anche
la sua, anche se, specie nel momento della morte di Enrichetta, parve vacillare.
Nelle Osservazioni sulla morale cattolica,
opera frutto della sua conversione ma priva di entusiasmi esagerati, presenta
le sue convinzioni sia in contrapposizione a quelle di Jean-Charles Léonard
Simonde de Sismondi, sia per indicare che non ha senso accusare una morale, il
cui scopo è appunto indicare uno stile di vita più umano.
Nel capitolo V, Sulla corrispondenza della
morale cattolica coi sentimenti naturali retti, cerca di far capire che essa
non incoraggia gli uomini a soffrire, ma a vivere il dolore sull’esempio di
Gesù:
La Chiesa vuole che i
suoi figli educhino l’animo a vincere il dolore, che non si perdano in deboli e
diffidenti querele; e presenta loro un esemplare divino di fortezza e di calma
sovrumana ne’ patimenti. Vuole i suoi figli severi per loro; ma per il dolore
de’ loro fratelli li vuole misericordiosi e delicati; e per renderli tali,
presenta loro lo stesso esemplare, quell’Uomo-Dio che pianse al pensiero de’
mali che sarebbero piombati sulla città dove aveva a soffrire la morte più crudele.
Gli esperti e i critici letterari vedono in
questo testo l’intelaiatura su cui Manzoni costruirà la sua opera maggiore,
quel romanzo che molti ancora considerano retrogrado e frutto sprecato di una
mente intelligente.
Per saperne di più
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Non saprei consigliare un’edizione in particolare, ma per rileggere il romanzo, che è nel programma obbligatorio delle scuole sin dal 1870, escluderei quelle scolastiche.
Alessandro Manzoni, Osservazioni sulla
morale cattolica, Edizioni San Paolo 2023, pp. 400, euro 25,00.
Nell’unica opera apologetica, Manzoni
descrive come il cattolicesimo, pur coi suoi limiti, abbia contribuito in positivo
alla cultura degli Stati italiani. Quest’edizione è arricchita da un dialogo
con Franco Nembrini sulla portata attuale del suo messaggio.
Alessandro Manzoni (a cura di Franco Gavazzeni), Inni Sacri, Guanda 2005, pp. L-354, € 29,00.
Dei dodici inni progettati, Manzoni arrivò a concluderne solo cinque, nei quali espresse la sua concezione della vita e della fede.
Natalia Ginzburg, La famiglia Manzoni,
Einaudi 2016, pp. 494, € 14,00.
Manzoni stesso è diventato un personaggio
letterario: in questo romanzo edito nel 1984 si delinea la storia della sua
famiglia.
Silvano Caccia, Questo matrimonio… s’ha da fare!, Centro Ambrosiano 2006, pp. 192, € 13,00.
Un’antologia dei brani del romanzo, corredata
da un commento e da alcune schede da usare nei corsi di preparazione al
matrimonio, per aiutare i promessi sposi contemporanei a rileggere la loro
esperienza, confrontandola con quella di Renzo e Lucia.
Su Internet
Sito del Centro Nazionale Studi Manzoniani di Milano
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