Conchita Barrecheguren García, come un fiore di serra che si apre a Dio
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Chi è?
María de la Concepción Barrecheguren García nacque il 27 novembre 1905 a Granada in Spagna, figlia unica di Francisco Barrecheguren Montagut e da Concepción (detta Concha) García Calvo.
Conchita,
come la chiamavano in famiglia, ebbe problemi di salute sin da piccola: aveva
un anno e mezzo quando si ammalò di enterocolite, in forma tanto grave da far
temere per la sua vita. Anche il suo sviluppo fisico, di conseguenza, era
rallentato. Per questa ragione, oltre che per evitare che frequentasse ambienti
considerati poco consoni, fu istruita dai suoi stessi genitori, che la
prepararono anche a ricevere i Sacramenti.
Conchita
sviluppò un carattere tenace e impulsivo, ma anche affettuoso, specie verso i
suoi genitori. A circa dieci anni, però, iniziò ad avere la cosiddetta malattia
degli scrupoli, preoccupandosi eccessivamente della sua vita di fede. Fu
aiutata ad avere una relazione più serena con Dio da padre Rudesindo Ruiz Abad,
Redentorista; uscì dalla crisi dopo due anni.
Dato
che non poteva muoversi troppo da casa, uscendo quasi esclusivamente per
frequentare le chiese, Conchita divenne socia di varie organizzazioni
caritative e di preghiera: partecipava all’Adorazione Eucaristica diurna e
notturna, faceva parte delle Figlie di Maria e, con le sue doti di sarta,
confezionava arredi sacri e vestiti per i poveri.
Quando
la salute glielo permetteva, viaggiava con i suoi genitori o solo con suo
padre, perché sua madre aveva iniziato a soffrire di squilibri mentali.
Nell’agosto 1926 fu pellegrina a Lourdes e a Lisieux, dove pregò sulla tomba di
santa Teresa di Gesù Bambino. Tornò a casa stanca e col mal di gola: il 29 ottobre
1926 ebbe la prima emottisi, segno della tubercolosi.
Con la
speranza di ottenere la guarigione, accettò di trasferirsi nella casa delle
vacanze estive della sua famiglia, il Carmine di San Valentino, situato vicino
alle foreste dell’Alhambra. Invece non migliorò, anzi, rimase praticamente
ferma a letto.
Il 3
maggio 1927 ricevette gli ultimi Sacramenti; volle espressamente che le venisse
impartita l’Unzione degli Infermi, che seguì in piena coscienza. Il 9 maggio
sua madre venne di nuovo allontanata dalla casa e mandata in sanatorio. Al
capezzale della ragazza rimasero quindi solo suo padre e la suora infermiera.
Conchita morì alle 5.30 del mattino del 13 maggio 1927, a ventun anni, cinque
mesi e sedici giorni.
È stata
beatificata oggi, 6 maggio 2023, nella cattedrale dell’Incarnazione del Signore
a Granada. I suoi resti mortali sono venerati dal 29 novembre 2007 nella chiesa
della Madonna del Perpetuo Soccorso a Granada, ma il suo ricordo è molto vivo
anche nella casa dove visse gli ultimi giorni, ora nota come “Carmine di
Conchita” (“El Carmen de Conchita”).
Accanto
a lei riposa suo padre Francisco, che, una volta diventato vedovo, era entrato tra
i padri Redentoristi e aveva speso il resto della vita confessando, predicando
e riservando una speciale attenzione ai malati. È stato dichiarato Venerabile
il 5 maggio 2020, nella stessa data del decreto sulle virtù eroiche di sua
figlia, delle quali era stato sempre convinto, sin da quando lei era viva.
Cosa c’entra con
me?
Il percorso che mi ha avvicinata a Conchita Barrecheguren García è grossomodo simile a quello che mi ha fatto scoprire Anfrosina Berardi, ora Venerabile. Un libro su di lei era infatti stato pubblicato, negli anni ’60 del secolo scorso, nella collana Fiori di Cielo delle Edizioni Paoline, intitolato Il calvario di Concita (ma nel corpo del testo veniva chiamata ora Conchita, ora Concetta o Concettina, all’italiana), di autore anonimo.
L’avevo
scovato nel 2013, visitando il Centro Bibliotecario intitolato a padre Giacinto
Ruggiero, delle Piccole Ancelle di Cristo Re, a Portici. Avevo avuto il
permesso di portarlo a casa di mia zia, che mi ospitava per le vacanze, insieme
ad altri libri di quella collana.
Il
titolo, in realtà, non appariva molto incoraggiante, ma lo presi ugualmente,
perché l’illustrazione di copertina ritraeva una bambina in abito da Prima
Comunione: credevo quindi che la protagonista fosse morta sui dieci anni circa.
Non
ricordo quale fosse stata la mia prima impressione e nemmeno perché, a
differenza di altri, non avessi deciso di sintetizzare la mia lettura in un
profilo biografico per santiebeati.it. Di certo, dopo aver finito di
leggere, avevo capito che Conchita era morta da giovane, non da bambina.
Forse
mi avevano poco convinta anche le foto in posa contenute nel libro: in una (quella che ho scelto in apertura di post) stringeva tra le braccia una statua di Gesù Bambino quasi fosse un bambolotto,
mentre in un’altra era ritratta con la corona del Rosario in mano e un’aria
quasi estatica.
Mi sono
ricordata di lei il 5 maggio 2020, leggendo la notizia del decreto sulle sue
virtù eroiche e di quello di suo padre. Avevo, in effetti, provato a cercare
qualcosa sul suo conto, sette anni prima, scoprendo che, appunto, anche per
padre Francisco la causa era in corso. Tuttavia, neanche quella volta mi sono
messa d’impegno ad approfondire le vicende di entrambi.
Il
decreto sul miracolo, promulgato il 21 maggio 2022, mi ha realmente
meravigliata: non immaginavo che la devozione verso di lei fosse tale da aver
condotto qualcuno a chiedere la sua intercessione.
Speravo
di poter tornare a Portici prima della data della beatificazione, ma non ci
sono riuscita (a Dio piacendo, invece, a breve dovrei partire). Per questa
ragione, lunedì 22 aprile, ho consultato il sito del Centro Bibliotecario, per
capire se fosse possibile una qualche forma di prestito a distanza. In effetti
c’è il prestito interbibliotecario, ma non mi convinceva, in quanto avevo
bisogno di consultare il libro in tempi stretti.
Ho
continuato a consultare il sito e ho scoperto che era possibile ottenere
gratuitamente la scansione di alcune pagine dei volumi e riceverla per posta
elettronica. Ho telefonato e ho parlato con una bibliotecaria molto gentile,
accordandomi con lei per la selezione di alcune pagine; per capire quali, mi ha
mandato l’indice via WhatsApp.
Ho
riflettuto, quindi mi sono fatta inviare sostanzialmente la prefazione e i
capitoli finali, che contenevano alcuni estratti delle lettere di Conchita e
del taccuino su cui, all’insaputa (o quasi) di quelli di casa sua, annotava
poesie, preghiere e riflessioni.
Nell’attesa
di ricevere le scansioni, che mi sono arrivate mercoledì 24 (la biblioteca è
infatti aperta lunedì, mercoledì e venerdì), ho consultato il sito ufficiale
delle cause di Conchita e di padre Francisco, così da avere sottomano le fonti
in lingua spagnola.
Lette
anche le pagine scansionate, sentivo di avere un’impressione generale dell’ancora
per poco (in quel momento) Venerabile. Per prima mi ha colpito la sua profonda
umiltà, che forse a volte rasentava la disistima di sé, come quando riconosceva
di sentirsi «un palo secco» - parole sue – al confronto con le esperienze
mistiche di alcune figure delle quali aveva letto le vite. Pensava che quelli
fossero davvero esempi santi, non lei, benché molti la considerassero tale, a
cominciare da suo padre.
Su
tutti i Santi, nella sua esperienza spirituale, aveva grande spazio santa
Teresa di Lisieux, canonizzata proprio quando lei era molto piccola. Ormai
costretta a letto, a volte veniva visitata da persone che le facevano notare
come la “sua” Santa non avesse fatto molto per lei, anzi, l’avesse privata
perfino delle gioie più elementari. Conchita, dal canto suo, ribatteva di
esserle quasi grata, al di là del fatto che avessero in comune la malattia
della tubercolosi.
Come ulteriore segno di umiltà, ho capito che le fotografie che mi avevano lasciato credere che la sua santità fosse costruita ad arte erano, invece, prova del suo amore e della sua obbedienza verso il padre: era lui a fotografarla, o comunque a volere che venisse ritratta così. Lei accettava, anche se a volte gli chiedeva di smettere, solo per non causargli ulteriore dispiacere. Per questo, nonostante esista un ritratto ufficiale della beatificazione, precisamente un dipinto a tecnica mista (sul sito della diocesi di Granada c'è la descrizione iconografica, ovviamente in spagnolo), ho voluto ugualmente usare una di quelle foto.
Peraltro, ce n'è almeno una che ritrae padre e figlia insieme, che immagino faccia parte, per così dire, della stessa sessione che comprende le immagini col Gesù Bambino e col Rosario (lei ha addosso la stessa vestaglia).
Davvero, i genitori erano per Conchita il primo prossimo, sia perché lei non aveva ricevuto un’istruzione ordinaria – però sapeva leggere, scrivere,
cucire, suonare il pianoforte – sia perché, essendo spesso a letto, doveva in
tutto dipendere da loro; anche questo fatto, a volte, le pesava.
La
presenza materna, però, fu molto ridotta rispetto a quella paterna: la signora
Concha, infatti, fu ricoverata tre volte in sanatorio, l’ultima delle quali tre
giorni prima della morte della figlia. Quest’ultima, come scrisse sul suo
taccuino il 10 marzo 1927, stava male al vederla peggiorare, ma ancora di più
per non poterla confortare. Subito dopo, però, annotò che, pensando a Gesù
sulla Croce, si rese conto che anche Lui aveva sofferto al veder piangere la
Madonna.
Come
ultimo aspetto, ho ammirato come lei abbia vissuto il fatto di non aver potuto
realizzare la vocazione alla vita consacrata. Anni fa, ho ascoltato un
sacerdote affermare che, quando una persona non s’incammina sulla via per cui
Dio l’ha chiamata, è come se fosse un osso spezzato nel Corpo Mistico della
Chiesa. Penso che si riferisse a persone in salute e non sprovviste di mezzi
materiali, ma non posso più chiederglielo, visto che è morto una decina d’anni
fa.
Per
quel che ho capito di lei, Conchita, anche nei suoi istanti di aridità e di
scrupoli, non si è mai percepita in quel modo. Della Chiesa, infatti, si
sentiva figlia e membro convinto e partecipe pur nei suoi limiti fisici: lo
dimostra il suo cammino nelle associazioni, l’apostolato per i poveri e per le
chiese sguarnite di arredi, la preghiera nella cappella della casa che i
Barrecheguren avevano nella Gran Via di Granada.
Rimaneva
in comunione con tutta la Chiesa anche quando non poteva avere il sacerdote a
portarle l’Eucaristia, tramite la Comunione spirituale. Fu per lei una gioia
incommensurabile poter avere un giorno, per un fatto eccezionale a quei tempi, la
celebrazione della Messa nella sua camera; ne lascia traccia nei suoi appunti spirituali.
Per
questa ragione, insomma, Conchita poteva affermare che, nel periodo di vita in
cui solitamente un ragazzo o una ragazza consolida o capisce la propria
vocazione, le era successo di aver riconosciuto che essere ammalata era
quello che Dio voleva per lei, più o meno come sarebbe successo, una trentina
d’anni dopo, a una ragazza vicentina, la Venerabile Bertilla Antoniazzi.
Mi sembra di non andare quindi molto lontano da quanto dichiara il Postulatore Generale dei Redentoristi in questo interessante contributo video.
Il suo Vangelo
Il messaggio universale che credo di poter ricavare dalla Beata Conchita è che non importa essere un fiore di campo o, come nel suo caso, uno coltivato in serra: bisogna vivere pienamente, dando valore a ogni istante, a quelli lieti come a quelli tristi.
Anche
quando si riconosce di avere limitazioni fisiche o di altro tipo, si può
trovare consolazione nel fatto che Dio guarda i suoi figli allo stesso modo e
vuole la loro felicità, cioè che siano consapevoli della Sua presenza e che
anche per loro, come per la Vergine Maria, è in serbo la rivelazione del
compito per cui sono nel mondo.
Conchita
doveva averlo ben presente quando scriveva, il 2 maggio 1927, il suo
ultimo mese mariano su questa terra; anzi, se ho capito bene, quello è proprio il suo ultimo scritto in ordine cronologico (riporto la traduzione che ho trovato a pagina 91 de Il
calvario di Concita, ma cambiando il “voi” in “tu” perché in italiano
indica una maggiore confidenza):
O Madre mia
dolcissima, propongo in questo mese di maggio di fare tutto per amor tuo, di
soffrire e patire tutto per te. Vorrei lodarti, magnificarti e glorificarti
come fanno i Santi del paradiso e i giusti della terra; ma non potendo, accetta
almeno questo povero cuore che ti offro pieno di amore.
Non mi
pare che Conchita qui in Italia sia molto nota; chissà, a beatificazione
avvenuta potrebbero esserci nuovi contributi per raccontare di lei.
Su Internet
Sito delle cause di Conchita e di padre Francisco Barrecheguren Montagut
Pagina del sito del Dicastero delle Cause dei Santi, col profilo biografico e il decreto sulle virtù eroiche
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