Un prete felice di vivere la carità – Don Roberto Malgesini (Cammini di santità #43)

 

La fotografia più famosa di don Roberto
(Foto Augusto Santini / Immagilario; fonte)

Quando mi è arrivata la notizia dell’uccisione di don Roberto Malgesini, il 15 settembre 2020, sono stata innegabilmente dispiaciuta. Al dispiacere si è aggiunta una rabbia sorda, che montava ogni giorno di più, a ogni articolo che leggevo, nel quale trovavo espressioni come “martire”, anche col complemento di specificazione “della carità”, o “santo della porta accanto” (ma, ribadisco, i “santi della porta accanto” sono le persone vive accanto a noi che ci testimoniano Dio adesso, non quelle morte, nemmeno da poche ore, che possono pur averlo fatto!).

Per questa ragione, avevo deciso di non scrivere di lui direttamente, quanto di presentare altri casi in cui, nella storia recente della Chiesa, i Pontefici, non i credenti qualunque, hanno definito “martiri” alcuni credenti morti di morte violenta, ancor prima che per essi venisse avviata – e non sempre è successo – la causa di beatificazione e canonizzazione.

Neanche al direttore di Sacro Cuore VIVERE, rivista dell’Opera Salesiana del Sacro Cuore di Bologna, sulla quale ho una rubrica fissa dal 2016, era sfuggita la caratura testimoniale della vicenda di don Roberto.

Tuttavia, ho continuato a rimandare il momento in cui dedicargli un articolo: come avevo scritto nel post linkato sopra, ero sicura che i giornalisti stessero scrivendo le bozze della sua storia, in attesa del momento in cui sarebbe stato possibile descrivere meglio la sua vita e la sua testimonianza.

Quel momento è arrivato dopo un anno esatto, con l’uscita della prima biografia scritta da Eugenio Arcidiacono, giornalista di Famiglia Cristiana. In realtà, per stessa ammissione dell’autore, non poteva essere considerata ancora una biografia vera e propria, ma comunque costituiva l’inizio di un’indagine compiuta su di lui e sul suo modo d’incarnare la fede. Me la sono procurata, ma sentivo che non fosse ancora il momento giusto per sintetizzarla in uno dei miei pezzi.

Quando però il direttore mi ha riferito che stava progettando un’intervista al cardinal Oscar Cantoni, vescovo di Como, e che nello stesso numero avrebbe voluto che la mia rubrica presentasse don Roberto, ho capito di non dovermi più tirare indietro.

Come immaginavo, il lavoro del giornalista mi ha facilitato moltissimo il compito. Sono riuscita a delineare vita, azioni e circostanze della morte meglio di quanto non avessi potuto fare se avessi scritto a pochi giorni dall’omicidio.

Ho cercato di riferire anche gli aspetti più leggeri, che comunque facevano parte della sua vita, come le visite alla famiglia e la sua squadra calcistica del cuore. Soprattutto, ho riconosciuto che la sua carità non era vissuta come se lui fosse un battitore solitario e che era radicata in una preghiera prolungata e continua, sin dalle prime ore del mattino.

Oggi, nel venticinquesimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale di don Roberto, continuo a non volerlo definire “martire”, né “martire della carità” – non metto nemmeno l’etichetta “martiri” a questo post – unicamente per ragioni di prudenza.

Semmai venisse aperta la sua causa, come lo stesso cardinal Cantoni auspica, poi si arrivasse al decreto sul martirio e alla beatificazione, solo allora, con il giudizio ufficiale della Chiesa come garanzia, gli darò quel titolo, sempre a meno che per lui non si scegliesse dindagare leroicità delle virtù o lofferta della vita. 

È successo così, per restare in diocesi di Como, con suor Maria Laura Mainetti, beatificata nel 2021, della quale ho scritto sullo stesso numero della rivista salesiana (qui il mio contributo).

 

* * *

 

Stazione di Como, inizio del 2011. Angelo, artista di strada, è da poco arrivato in città da Milano. Una di quelle prime notti, vede arrivare un uomo, di corporatura piuttosto esile, ma con uno sguardo particolare. «Che ci fai qui? Hai mangiato?», si sente domandare. Angelo risponde, quasi senza prestargli attenzione, di avere ancora dei panini.

Il suo interlocutore, invece di andarsene, si ferma a parlare ancora con lui. L’artista è come rapito dal sorriso di quell’uomo, che traspare, più che dal suo volto, dal modo in cui gli sta vicino. Quello è il suo primo incontro con don Roberto Malgesini, amico dei poveri di Como e, ora, anche amico suo.

 

Capace di accogliere i giovani

Nato il 14 agosto 1969 a Morbegno, don Roberto trascorre un’infanzia serena, insieme ai suoi tre fratelli. Con loro frequenta l’oratorio, l’unico punto di aggregazione del paese. Dopo la terza media, s’iscrive a Ragioneria, forse perché pensa di occuparsi, in futuro, dell’autofficina gestita dai suoi genitori.

Già durante i mesi estivi alla fine della quarta superiore lavora alla Banca Popolare di Sondrio e, terminati gli studi, viene assunto a tempo indeterminato. Nei tre anni successivi, lavora alla filiale di Lecco, ma si sente insoddisfatto, quasi intrappolato in un lavoro monotono.

Nello stesso periodo, insieme a Mario, suo fratello maggiore, vive molte esperienze comunitarie e di servizio: il volontariato in una comunità terapeutica, l’animazione in oratorio, i campi estivi. Proprio di ritorno da uno di quei campi, nel 1991, Roberto annuncia ai familiari la sua scelta: ha deciso di entrare in Seminario. La madre piange a lungo, mentre i fratelli e la sorella iniziano a pensare di averlo perso per sempre; capiranno solo dopo di essersi sbagliati.

Dopo l’anno propedeutico a Brescia, nel settembre 1992 Roberto inizia a frequentare il Seminario di Como. È attento ai compagni, per i quali organizza feste e dei quali annota i compleanni su di un apposito quaderno. Il 13 giugno 1998 viene ordinato sacerdote; la sua prima nomina è come vicario parrocchiale a Gravedona. Cerca di costruire un legame personale con tutti i ragazzi, anche con quelli che appaiono un elemento di disturbo. Mantiene i contatti con i suoi giovani anche nel 2003, quando viene trasferito a Lipomo.

 

La scelta per gli ultimi

Nel 2008 don Roberto arriva a Como, nella parrocchia di San Bartolomeo. Dopo un anno di compresenza con altri due sacerdoti, rimane solo nella canonica accanto alla chiesa di San Rocco, dipendente dalla parrocchia.

Il suo percorso lo porterebbe a diventare quindi parroco, ma lui sceglie di dedicarsi ai poveri che affollano le vie della città. Si sente confermato da una serie di esperienze caritative fuori Como e da un corso di Esercizi spirituali, vissuto a Roma con un altro sacerdote presso i Padri Missionari della Carità. D’accordo con i suoi superiori, inizia questa nuova tappa del suo cammino.

Don Roberto non agisce mai da solo, ma collabora con la Caritas diocesana e con altre associazioni e organizzazioni di volontari. Con delicatezza e rispetto si accosta alle donne costrette alla prostituzione: le ascolta, se necessario le difende, e conclude le sue visite pregando con loro.

Arriva in strada anche verso le 7 del mattino, per portare la colazione ai senza fissa dimora. Però la sua giornata è iniziata ancora prima, alle 5, con la preghiera in una piccola stanza della canonica, che da una piccola finestra permette di contemplare il crocifisso della chiesa di San Rocco.

Diventa una presenza fondamentale per i detenuti del carcere Bassone di Como e per i profughi e i senzatetto che porta lui stesso all’Ospedale Sant’Anna; la sua dedizione e precisione lasciano ammirati gli stessi medici.

 

Poche parole, molti fatti

Per temperamento e per formazione, infatti, don Roberto è più incline all’azione che a lunghi discorsi, anzi, sono i suoi gesti a parlare per lui. In questo si rifà all’esperienza di tanti santi e figure spirituali che hanno vissuto intensamente la carità, specialmente a madre Teresa di Calcutta: da loro cerca di capire come avvicinarsi meglio a Gesù. Le sue uniche distrazioni sono le lunghe camminate in montagna, le visite ai familiari e qualche partita del Milan, a cui assiste accompagnato da qualcuno dei suoi giovani.

Anche nella predicazione ha uno stile semplice, accompagnato, all’occorrenza, da gesti e da simboli concreti. Non è nemmeno incline a lasciare riflessioni scritte. Una delle poche eccezioni, se non l’unica, è la Via Crucis scritta per la Comunità Pastorale della Valmalenco, pregata pubblicamente il 30 marzo 2018, Venerdì Santo.

Aiutato dai volontari, affianca alle stazioni tradizionali le storie di tanti fratelli e sorelle incontrati nella sua vita e offre spunti di riflessione, come quello contenuto nella prima stazione: «La mamma di Gesù, Giovanni, il Cireneo, la Veronica e quanti altri nel passato, nel presente e nel futuro hanno seguito, seguono e seguiranno Gesù perché hanno capito e testimoniato che solo Lui è la vita eterna e l’amore eterno. E noi da che parte andiamo?».

 

«Al massimo vado da Gesù»

Quanto a lui, sa benissimo da tempo quale direzione ha preso la sua vita. «Cosa vuoi che mi succeda? Al massimo vado da Gesù», risponde sorridendo ai volontari che gli domandano se, a volte, non abbia paura di essere aggredito o di ammalarsi.

Quel timore diventa realtà la mattina del 15 settembre 2020. I volontari lo aspettano a lungo nel punto dove si sono dati appuntamento, ma don Roberto non arriva. Non tarda, invece, a raggiungerli la verità: è stato accoltellato a morte da Ridha Mahmoudi, un uomo che don Roberto aveva cercato di soccorrere anche con il disbrigo di pratiche burocratiche. La notizia dell’uccisione diventa immediatamente un fatto nazionale. Il vescovo di Como, monsignor Oscar Cantoni, è tra i primi ad accorrere sul luogo del delitto. Nel Rosario guidato in memoria di don Roberto la sera stessa, a cui partecipa l’intera città, lo ricorda come «un prete felice. Felice di amare Gesù servendolo nei poveri, nei profughi, nei senza tetto, nei carcerati, nelle prostitute». I funerali si svolgono nella chiesa di Sant’Ambrogio a Regoledo di Cosio Valtellino, la sua parrocchia di origine.

La Messa di suffragio, il 19 settembre, nella cattedrale di Como, è presieduta dal cardinal Konrad Krajewski, Elemosiniere Pontificio. La storia di don Roberto è infatti già arrivata a papa Francesco, il quale lo ricorda nell’Udienza Generale successiva all’uccisione e, un mese dopo l’accaduto, incontra a Roma i genitori del sacerdote. Il 15 novembre 2020, concludendo l’omelia per la quarta Giornata Mondiale dei Poveri, lo accomuna a quei «servi fedeli di Dio» che vivono servendo e senza far parlare di sé.

Con lo stesso spirito, i volontari che hanno conosciuto don Roberto continuano a incontrare gli ultimi di Como e si rendono disponibili a guidare i gruppi, giovanili e non solo, che arrivano per conoscere i luoghi del suo servizio. Il tiglio presso cui è stato trovato il suo corpo, il quale ora riposa nel cimitero di Regoledo di Cosio, è diventato intanto un memoriale, dove molti lasciano fiori, biglietti e preghiere.

 

Originariamente pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 4 (giugno 2023), pp. 20-21 (visualizzabile qui

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