Io c’ero #36: GMG 2023 – A Lisbona, per servire come Maria (quarta e ultimissima parte)

 

Targa di Rua da Juventude a Queluz de Baixo (foto mia)

 Eccomi giunta all’ultimissima parte del mio racconto della GMG; finalmente, penserà qualcuno di voi lettori. Dopo la veglia e la Messa, il mio viaggio non si era ancora concluso: c’era ancora tempo per qualche incontro, per uno scambio, per condividere i pasti; solo allora mi è stato possibile rientrare e cominciare la stesura di questi post.

 

6 agosto

Un risveglio a suon di musica

 

Ho spalancato gli occhi appena una voce registrata, dagli altoparlanti, ha tuonato: “Jornada Mundial de la Juventud 2023” e altre parole sul tema dell’alzarsi e ripartire. Subito dopo è suonato l’inno della GMG di Sydney, Receive the Power, che, nella versione internazionale, si apriva proprio con la strofa in italiano.

Ho iniziato a guardarmi intorno: qualcuno ancora dormiva, come le mie compagne, mentre altri si destavano. Intanto, il sole stava sorgendo sul fiume Tago. Non mi sembrava vero: avevo superato la notte! In realtà ero un po’ umida per via della rugiada mattutina: solo allora ho pensato che non sarebbe stato male usare il mio telo blu, dato che era libero.

Di lì a poco, a svegliare del tutto i pellegrini, ha pensato il dj set di padre Guilherme Peixoto, che mescolava brani classici, successi da discoteca, cassa a martello e citazioni papali. In tempo record, aveva campionato anche il discorso della sera precedente!


 

Brillare, ma senza riflettori puntati

 

Poteva mancare la foto (mia) dell'alba?

Proprio mentre stavo per iniziare un sonnellino, ho intuito che stava cominciando la Messa: non me ne ero accorta semplicemente perché, al contrario di altre volte, non c’è stato un avviso audio di ritrarre le bandiere durante tutta la celebrazione.

Delle tre parole che papa Francesco ha lasciato nell’omelia come consegna ai giovani, prossimi a tornare alla vita quotidiana, basandosi sul Vangelo della festa della Trasfigurazione del Signore, sento molto vicina a me la prima, ovvero brillare. Con una precisazione:

Ma vorrei dirvi che non diventiamo luminosi quando ci mettiamo sotto i riflettori, no, questo abbaglia. Non diventiamo luminosi. Non diventiamo luminosi quando esibiamo un’immagine perfetta, ben ordinata, ben rifinita, no; e neanche se ci sentiamo forti e vincenti, forti e vincenti, ma non luminosi. Noi diventiamo luminosi, brilliamo quando, accogliendo Gesù, impariamo ad amare come Lui. Amare come Gesù: questo ci rende luminosi, questo ci porta a fare opere di amore.

Non t’ingannare, amica, amico, diventerai luce il giorno in cui farai opere di amore. Ma quando, invece di fare opere di amore verso gli altri, guardi a te stesso, come un egoista, lì la luce si spegne.

Io, invece, ho riconosciuto che voglio stare sotto i riflettori, diventare famosa con quello che scrivo, vivere delle mie passioni. 

Così, però, perdo di vista gli scopi che mi hanno portata ad aprire questo blog: non diventare tanto famosa io, ma rendere famose le storie a cui tengo; mettere quindi in risalto loro, non me. 

Era più o meno quello che avevo sentito il giorno prima nel dialogo che precedeva la catechesi, quando Martina, giovane giornalista di Cantù, aveva dichiarato che il suo sogno era essere là dove le storie succedono.

 

Obrigada!

Ai tre verbi dell’omelia sentivo però di aggiungere la parola di cui il Santo Padre ha costellato il suo saluto prima dell’Angelus: obrigado. Sia io, sia le mie compagne donne, abbiamo impiegato un po’ a capire che dovevamo declinarla al femminile quando eravamo noi a ringraziare. Più in generale, tutti a volte l’abbiamo pronunciata veramente come un obbligo, altre perché commossi dalla generosità di chi avevamo di fronte.

Di certo, ero e sono grata ai miei compagni, senza i quali quest’esperienza non sarebbe stata uguale; ai nostri capigruppo, che sono stati pazienti fino all’ultimo con me; alla gente di Lousada e alla mia nonnina ospitante; a padre Paulo e all’altro parroco; un pochino anche alla mia famiglia ospitante di Queluz de Baixo, anche se, come racconterò dopo, il trattamento poteva essere migliore.

 

L’ultimo tratto e l’ultimo scambio

 

Terminata la Messa, io e le altre tre abbiamo cercato e trovato gli altri del gruppo. Abbiamo pranzato tutti insieme, quindi ci siamo mossi proprio nelle ore più calde, ma non potevamo fare altrimenti; avevamo già atteso tanto, visto che, in ogni caso, il nostro volo di ritorno era l’indomani.

Il cammino verso la stazione è stato a tappe: ci fermavamo ogni volta che trovavamo una fontanella o un po’ di ombra. L’ultima sosta è stata quando ormai era palese che quasi nessuno ce la faceva più: chi aveva ancora un po’ di forze si è offerto di andare a prendere delle bevande fredde. Non era il mio caso, visto che mi sono lasciata scivolare a terra, anche se non ho perso i sensi né ho avuto crisi di nervi.

Avevo da poco chiuso gli occhi, quando mi sono sentita chiamare. Mi sono scossa di botto, tastando la mia borsa, ma era tutto a posto: davanti a me avevo tre ragazze, un ragazzo e una signora. La più giovane mi aveva chiamata per chiedermi se avessi qualcosa da scambiare con una calamita dell’Algarve, la sua regione di provenienza.

Questa volta non ero sguarnita, anzi: a quella ragazza ho dato l’unico Rosario fatto da me che mi ero portata da casa, chiedendole di regalarlo a sua volta. Agli altri (il ragazzo non ha voluto nulla) ho invece regalato un ciondolo in legno d’ulivo a forma di colomba e un libro a fumetti con la storia di sant’Agata in inglese (mi era stato regalato a mia volta, ma io ho pensato che fosse ottimo per qualche scambio).

Poco dopo aver salutato il gruppetto – la signora era la madre delle due ragazze e aveva vissuto per un po’ in Italia, precisamente a Ivrea, per motivi di lavoro del marito – sono arrivate le bevande fresche. Davvero, non ho mai gustato un’aranciata come in quel momento!


 Dalla polvere… al mio zaino

Dimenticavo di annotare che, prima di lasciare il Campo della Grazia, mentre cercavo i servizi dopo il pranzo, ho trovato per terra un’immaginetta molto rovinata. L’ho tirata su ugualmente, perché raffigurava il Servo di Dio Darwin Ramos. La sua storia di riscatto e di gioia anche in mezzo a situazioni umanamente degradanti meriterebbe un approfondimento.

Invece, prima della pausa rinfrescante, mi sono attardata a raccogliere da terra un opuscolo che recava un doppio titolo in polacco e in spagnolo, relativo al rendimento di grazie per il ventesimo anniversario del patrono dello scautismo polacco. Si tratta del Beato Stefan Wincenty Frelichowski: anche lui mi sembra meritevole di approfondimento, cominciando magari dalla correzione della sua scheda per santiebeati.it, includendo, appunto, questo patronato.

Insomma, come si dice: quello che per un uomo è spazzatura, per un altro è un tesoro!


Cena con... vendetta

 

Alla fine ho cenato così (però ho preso altre tre salsicce)

Per noi alloggiate a Queluz de Baixo (eravamo rimaste in tre perché una era già partita), una volta arrivate a Barcarena, il viaggio non era ancora concluso. Abbiamo aspettato per una buona mezz’ora l’autobus, intavolando una conversazione con un giovane volontario che faceva la nostra stessa strada. Dopo la fermata, c’era ancora un tratto a piedi, che non poteva che essere in salita; mi consolavo al pensiero che era l’ultima volta che lo percorrevamo.

Appena varcato il cancelletto, ci siamo trovate davanti il figlio maggiore della famiglia ospitante, con i suoi tre bambini. Abbiamo parlato un po’ con lui, poi ci siamo infilate nel garage, trovandoci davanti... l’automobile della padrona di casa!

Lo smarrimento era comprensibile, ma abbiamo confidato che, prima che andassimo a dormire, sarebbe arrivato qualcuno a spostare il mezzo. In effetti, si è palesato il figlio minore, ma ha impestato l’aria con lo scarico del motore: io ho avuto il tempo di precipitarmi nell’orto sul retro.

Dopo una ritemprante doccia, io e le altre siamo andate nell’orto a prendere il fresco. Io avevo deciso di realizzare il portachiavi-decina di cui facevo menzione nel post di ieri, ricavando le perline dal Rosario della GMG, andato in pezzi, e usando il cordoncino del ciondolo che avevo comprato a Sintra.

Per rifinire il lavoro, però, mi occorreva dello smalto trasparente per unghie: non avendolo con me perché non potevo portare più di un certo quantitativo in liquidi, ho pensato di chiederlo alla signora, non appena fosse tornata dall’incontro tra il Papa e i volontari.

Così ho fatto, ma quando lei è tornata da noi aveva con sé un sacchetto pieno di smalti, credendo che volessi dipingermi le unghie. La mia compagna che faceva da portavoce ha provato a spiegarle che non mi occorreva per truccarmi, al che l’altra ci è sembrata arrabbiarsi e se n’è andata. Di conseguenza, non ho potuto consegnarle il mio dono.

A conclusione della serata, ci voleva la cena, ma la signora non ci aveva preparato un bel nulla. A quel punto, le mie compagne hanno attuato il loro piano: sono andate nell’orto e hanno preso qualche pomodorino e un paio di cetrioli, per farne un’insalata.

Quanto a me, avevo ancora da parte due lattine di tonno, delle gallette di riso, della frutta secca e un barattolo di salsicce: ho deciso che quest’ultimo avrebbe costituito la mia cena, insieme alle verdure.

Quando ormai avevamo finito, è arrivato il marito della signora, a cui abbiamo risposto che non ci occorreva nulla. Dopo qualche minuto è tornato, pregandoci di accettare almeno delle birre fresche. Io non bevo mai birra, ma quella volta ho sentito di fare un’eccezione.

A suggello dell’ospitalità quasi mancata, preciso che non siamo mai e poi mai state invitate a entrare nella casa vera e propria. Il pavimento del garage era sporco e i divani su cui dormivamo erano chiaramente di seconda mano. Una delle mie compagne ha perfino ironizzato che le sembrava di essere nel film Parasite! Praticamente, l’unica cosa buona era che la doccia era sempre calda.

 

7 agosto

La ripartenza

 

I pupazzetti portoghesi di Wild Planet

Ho trascorso la mattinata del 7 contando i minuti che mi separavano dal volo, anche se il mio viaggio mi avrebbe portata, una volta sbarcata a Malpensa, a prendere il Malpensa Express, quindi la metropolitana, poi il tram e a fare un ultimo tratto a piedi.

Ho cercato di stipare tutto il possibile nella mia valigia, poi nello zaino e nella borsa che avevo come bagaglio a mano, ma continuavano a cadermi le lattine di tonno, le barrette ai cereali e la bustina di mele essiccate che mi erano avanzati. Ancora una volta, le mie compagne mi sono venute incontro.

Quando sono salita sul treno mi sentivo quasi soffocare dal peso e cogliere dalla nostalgia, mentre ero al telefono con mia madre. Mancava veramente poco, poi avrei potuto rivedere lei e i miei familiari, coi quali ero comunque rimasta in contatto lungo tutto il viaggio.

Passato il controllo bagagli, ho avuto il tempo per gli ultimissimi acquisti, visto che ormai ero nella zona del duty free. Ho preso i pasteis de nata da condividere con mamma, papà (ho avuto un pensiero anche solo per lui, in un negozio di articoli sportivi) e mia sorella.

Mi sono, infine, lasciata conquistare da tre pupazzetti: un tram morbidino che fa anche da calamita, un galletto che riproduce in pupazzo un altro simbolo tipico del Portogallo e... sì, avete visto bene: l’altro nella foto è il Papa!

Contrariamente al mio solito, non ho affatto dormito durante il volo. Ho ammirato il panorama dall’alto, congedandomi dal Portogallo e sentendo, ancora una volta, quanto sia grande il mondo e quanto abbia bisogno di Dio, anche se forse non lo sa.

 

Considerazioni finali

“Se ce pija n’accidenti moriremo da credenti”; a quanto pare, questa frase è diventata verissima per un nuovo giovane morto dopo la GMG…

Ora che è trascorsa una settimana dal mio ritorno, e che ho concluso questo diario di viaggio, sento di concludere con alcune considerazioni che mi hanno accompagnata, soprattutto negli ultimi giorni.

Prima che iniziasse la veglia, mi ha colto un pensiero: quella poteva essere l’ultima GMG non solo per me, ma per la Chiesa intera. Sarebbe stato veramente sorprendente se papa Francesco l’avesse annunciato, come d’uso, nelle parole prima dell’Angelus. Invece, come ormai è noto, ci sarà ancora quella del 2027, a Seoul, in Corea del Sud, preceduta dal Giubileo dei Giovani a Roma, nel 2025.

Il pensiero era accompagnato da una domanda, che mi è sorta al vedere le mie compagne più giovani crollare distrutte o lamentarsi: vale la pena che esista ancora la GMG? Vale la pena muovere un milione e mezzo di giovani, portarli in luoghi non sempre accoglienti, far loro vivere disagi di ogni sorta, condurli a contrarre qualche malattia mortale (dopo il caso di Susanna Rufi, ho saputo che venerdì è morto Luca Re Sartù, giovane di Marnate, quindi mio condiocesano; va pur detto che sono morti solo due giovani in quasi quarant’anni di GMG)? Davvero, in questo modo, si favorisce l’incontro tra loro e Gesù?

Queste domande hanno trovato risposta in quanto papa Francesco ha dichiarato nell’ultima Udienza Generale:

I giovani del mondo sono venuti a Lisbona numerosi e con grande entusiasmo. Li ho incontrati anche in piccoli gruppi, e alcuni con tanti problemi; il gruppo dei giovani ucraini portavano storie che erano dolorose. Non era una vacanza, un viaggio turistico, e nemmeno un evento spirituale fine a sé stesso; la Giornata della Gioventù è un incontro con Cristo vivo attraverso la Chiesa. I giovani vanno a incontrare Cristo. È vero, dove ci sono i giovani c’è gioia e c’è un po’ di tutte queste cose.

In ogni caso, io e i miei compagni ultratrentenni non parteciperemo più ai grandi eventi giovanili: come ha affermato una di loro, è il momento di appendere il pass al chiodo. Tutto questo, sempre ammesso che non possa essere richiesto di nuovo il nostro servizio canoro proprio nel prossimo Giubileo.

 

Dal prossimo post, Testimoniando torna alla normalità. Ringrazio quanti ho tartassato nei giorni precedenti inviando i collegamenti alle mie pagine. Li invito a tornare da queste parti, per scoprire storie a cui tengo e che vorrei far conoscere sempre di più, perché mi hanno mostrato modi nuovi per credere. 

P. S. Per non chiudere in maniera troppo cinica questa rassegna, ecco l'ultimo ristorante fintoitaliano che ho visto a Lisbona: La Pausa. Un nome efficace!




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