Io c’ero #33: GMG 2023 – A Lisbona, per servire come Maria (prima parte)
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Giusto qualche bandiera italiana (foto mia) |
La
quarta parte del mio diario dalla Giornata Mondiale della Gioventù è anche la
prima in cui racconto la parte di viaggio a Lisbona e zone limitrofe, trascorsa,
come sempre, insieme al Gruppo Shekinah.
L’accoglienza
in quel di Lousada è stata ottima e speravo fosse uguale anche lì. Chi c’era,
sa già com’è andata, mentre tutti gli altri lo scopriranno presto!
1°
agosto
Lousada,
addio...
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L'arcobaleno in autostrada (foto mia) |
Lungo
il viaggio, proprio mentre stavo per addormentarmi, sono stata svegliata dalle
esclamazioni degli altri, che avevano visto un arcobaleno molto basso, ma
ugualmente bello. Per il resto del tragitto abbiamo passato il tempo in vario
modo, però non sono riuscita a suggerire di giocare al “gioco della galleria”,
quella sfida musicale, che avevo lanciato durante i tragitti alla GMG di
Madrid, che consiste nel cantare un brano, interrompersi appena arriva una
galleria e riprendere, appena usciti, come se si fosse andati avanti.
Abbiamo
fatto sosta per il pranzo, approfittando dei buoni pasto: anche stavolta ce la
siamo cavata benone, con una sorta di club sandwich, dei KitKat, una mela e una
bottiglietta d’acqua. Una mia compagna mi ha poi offerto di finire le sue
patatine.
Nel
frattempo mi sono accorta di aver lasciato a casa di M. I. il mio telo in
microfibra e anche gli occhiali da sole. Mi sono poi accordata con lei di
farmelo spedire a Milano, anche se avrei preferito, per farla risparmiare, che
me lo facesse consegnare da un suo nipote.
I
primi disagi lisbonesi
Arrivati
a Barcarena, la località che ci avrebbe ospitati per i giorni seguenti,
immaginavamo di essere ospitati nella palestra del centro parrocchiale, o in
una struttura analoga. Invece ci è stato indicato di lasciare i nostri bagagli
pesanti in un deposito dello stesso centro parrocchiale, così da partecipare
alla Messa di apertura al Parque Eduardo VII, rinominato per l’occasione Parco
dell’Incontro.
Abbiamo
quindi preso la metropolitana, salvo scoprire che la fermata più vicina era
chiusa per motivi di sicurezza, senz’aver letto, visto o ascoltato annunci a
riguardo. Siamo scesi a quella seguente, infilandoci subito in una fiumana di
gente, tra cori da stadio, slanci patriottici e bandiere al vento.
La
Messa di apertura, Rosari rotti e altri regalati
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Corone a confronto (foto mia) |
Ammetto
di non ricordare molto della Messa di apertura, ma non perché mi sia venuto un
colpo di sonno, e non l’ho avuto. So di sicuro che avevo con me il Rosario del
kit portoghese, che avevo ritirato, come gli altri, al check-in di Barcarena.
Dato che aveva il filo elastico, ho immaginato che si potesse usare come
collana, anche se non è molto nel mio stile.
Tuttavia,
ho avuto appena il tempo di provare a infilarci la testa, allargandolo, che il
filo si è spezzato. Ho iniziato a rincorrere le perline che si erano sparse qua
e là, riuscendo a recuperarle quasi tutte, anche perché, nel frattempo, mi ero
seduta con i miei compagni in mezzo ad altra gente, quindi non sarebbero
rotolate troppo lontano.
Al
momento dello scambio della pace, un ragazzo francese che era seduto vicino a
noi ha donato il proprio Rosario a una mia compagna, la quale ha ricambiato con
una decina-Rosario che le era stata a sua volta consegnata. A me ha consegnato
un segnalibro con una preghiera, risalente però al 1995 (!); io non ho trovato
di meglio che ricambiare con un’immaginetta del Venerabile Robert Schuman,
parte dell’arsenale di santini che avevo con me, anche se nessuno aveva
preghiere in lingue diverse dall’italiano (a Madrid ero più attrezzata, su
questo aspetto).
Ci
siamo allontanati dal parco appena finita la Messa, ma la folla era già
accalcata. Per la prima volta, dunque, toccava attuare una manovra speciale:
dovevamo agganciarci allo zaino di chi avevamo davanti, o prenderlo per mano.
Riconosco che non avevo molta paura, né mi sentivo mancare il fiato, almeno
all’inizio.
Stretta
da ogni parte, ho però buttato l’occhio su una ragazza che stringeva in mano
alcune corone del Rosario Missionario, che avevano perfino il crocifisso e la
medaglia centrale (o crociera) in plastica. Ho esclamato che erano molto
carine, così lei me ne ha regalata una. Ancora una volta, mi trovavo
impreparata a ricambiare: almeno, però, volevo sapere da dove provenisse,
scoprendo che quella ragazza era statunitense, dell’Indiana per la precisione.
Più tardi, esaminando il Rosario, ho scorto dietro il crocifisso le lettere OLRM. Subito ho ricordato a cosa rimandassero: era la sigla di Our Lady’s Rosary Makers, un servizio di apostolato nato a Louisville, nel Kentucky, per la diffusione delle corone del Rosario. Ero finita sul sito di quell’organizzazione quando cercavo di capire come si confezionassero Rosari di cordoncino e perline: per i più curiosi, eccole, anche in formato video (ai tempi non conoscevo ancora i video-tutorial, quindi, all’inizio, avevo faticato un po’ per capire il metodo).
2
agosto
Il garage era un po’ piccolo però c’era (un plauso a chi coglie la citazione!)
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Foto mia |
Non è
un errore: ho saputo quale fosse il mio alloggio solo dopo la mezzanotte del 2
agosto. Tornati al check-in, infatti, tutti noi abbiamo appreso che non saremmo
stati sistemati in palestra, ma nelle famiglie. Personalmente, ne ero molto
felice: ho visto sparire le code per le docce, l’acqua troppo fredda o troppo
calda e altri disagi del genere.
Inserita
anche stavolta in un gruppo di quattro persone, insieme a Barbara e Annarosa
(ci avrebbe poi raggiunte Benedetta), sono salita sull’auto del figlio minore
della famiglia ospitante. Arrivate a destinazione, io e le altre abbiamo
scoperto che avremmo dormito non in casa, ma nel garage, su alcuni divani.
Anche
da M. I. a Lousada avevo avuto la stessa impressione iniziale, che però è
andata smentita, dato che ho dormito in casa. Personalmente, ho scelto il
divano a penisola in un’area piena di giocattoli, perché mi ricordava la casa
di Milano dove abitavo prima del trasloco.
C’era
poi un altro problemino: il nostro alloggio era parecchio distante dal check-in
e dalla sede della prima catechesi a cui, come coro, avremmo dovuto
partecipare. Le mie compagne hanno giustamente protestato, supplicando la
padrona di casa, anche lei volontaria dell’evento, di portarci a destinazione
in automobile; altrimenti, avremmo dormito appena quattro ore.
La prima catechesi: sereno variabile
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I tecnici e alcuni coristi montano i teli (foto di Gioele Bonfiglio) |
Gli
oltre seimila pellegrini della diocesi di Milano erano sistemati tutti nell’entroterra
della città di Oeiras: noi avremmo dovuto cantare alle catechesi, anzi, agli
Incontri Rise Up, e alle Messe nei tre luoghi che le avrebbero ospitate, nei
quali i giovani e i loro accompagnatori erano divisi (è stato impossibile trovare
un luogo che ci prendesse tutti). La prima è stata al parco del mercato di Queijas,
con la partecipazione dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini.
Visto
che eravamo all’aperto, ma sotto una struttura, ci siamo attrezzati per
ricoprirla con i teli blu del kit degli italiani (davvero, mai più senza!), sia
che la pioggia sottile di quella mattina fosse cessata, sia che fosse
continuata.
Ogni
catechesi si è aperta con un’intervista doppia tra il vescovo di turno e un
giovane. Quella volta monsignor Delpini si è sottoposto alle stesse domande a
cui ha risposto anche Vittoria, una diciottenne di Seregno. Dato che il tema
era l’ecologia integrale, ovvero la cura per l’altro e per l’intero creato,
anche la sua risposta a una delle prime domande è stata sullo stesso tenore:
Il posto più bello
del mondo è dove c’è l’amicizia [...] la bellezza è data dalla qualità delle
relazioni.
La sua
omelia della Messa celebrata subito dopo è stata, a sua volta, improntata a tre
domande: perché sei partito? Quali frette ti muovono? Qual è lo spazio che ti è
dato per mettere mano all’impresa di aggiustare il mondo (tipica espressione
delpiniana)?
Io
sentivo di rispondere che sono partita solo perché Shekinah me ne ha dato la
possibilità, altrimenti non sarei stata lì a prendermi la pioggerella
portoghese. Cantare per e con i giovani era il mio modo di prendermi cura di
loro e per continuare a gridare a Dio che io voglio servire la Chiesa di
Milano, questo “metro quadro”, per usare un’altra espressione dell’arcivescovo
usata proprio in quell’omelia, che non è tutto il mondo, ma è comunque il mio
punto di partenza. Tutto questo senza dimenticare che il mio “metro quadro”
ancora più piccolo è la mia comunità parrocchiale, che sta affrontando
importanti cambiamenti.
Cosa
ho capito dell’ecologia integrale
Riguardo all’ecologia integrale, invece, non sentivo di avere molto da dire. In maniera spicciola, potevo affermare di aver da tempo mosso guerra ai sacchetti di plastica: anche quando ho una borsa grande, infatti, porto sempre con me una sporta di stoffa, di cui ormai faccio collezione (alla GMG, per esempio, avevo la sporta del kit italiano).
Sentivo,
però, che ci fosse una differenza tra il termine ecologia puro e semplice e
quello con l’aggettivo. Lo mostra papa Francesco nei punti 211-214
dell’enciclica Laudato si’, di cui l’arcivescovo, con uno dei suoi
“editti”, ha ordinato la lettura ai giovani.
L’ecologia
integrale, ha chiarito Delpini, non esclude il bene che l’uomo compie per
vivere sulla terra, come invece farebbe una certa ecologia ambientale, che
invece porta avanti il messaggio per cui a terra è bella, peccato che ci sia
l’uomo. La Parola di Dio, ha continuato, aiuta a decifrare la creazione proprio
come faceva Gesù, che dai gigli del campo, per esempio, prendeva spunto per
raccontare di Dio.
Per
evitare di essere troppo clericale, sottolineo che anche le testimonianze di
Davide, milanese, studente di scienze ambientali, e di Francesco, di Rho, mi
hanno permesso di capire meglio la questione, lasciandomi una volta di più
ammirata di fronte alla coscienza che molti giovani hanno del problema
ambientale.
Un fan molto speciale
Terminata
la catechesi, non abbiamo però smesso di cantare. Un gruppo di giovani,
infatti, continuava a chiederci qualche brano extra, anche se avremmo dovuto
prepararci a smontare il palco e a portare la nostra strumentazione nella
chiesa di San Michele Arcangelo, lì vicinissimo.
Oltre a
quei ragazzi, avevo notato uno strano tipo che continuava a riprenderci con il
telefonino. Aveva un pass al collo molto simile a quello dei sacerdoti, ma non
mi sembrava uno di loro. Finito l’ultimo canto, ho notato che si è avvicinato a
Filippo Bentivoglio, il nostro direttore, per rivolgergli molti complimenti e
ottenere i suoi contatti, per qualche concerto forse dalle sue parti.
Solo
allora l’ho riconosciuto: era Francesco Ognibene, caporedattore del quotidiano Avvenire!
Avevo avuto a che fare con lui alcuni anni fa, quando ero andata in redazione
con i membri del Coordinamento Buona Stampa dell’Ufficio Comunicazioni Sociali,
ma poi gli avevo scritto, in piena pandemia, per segnalargli alcuni sacerdoti
morti a causa del coronavirus, da inserire nella rassegna #pretipersempre
del giornale cartaceo e del sito.
Quando
il giornalista ha finito con Filippo, mi sono avvicinata a lui, riferendogli
che anch’io sono membro di Shekinah. Mi sono poi offerta di segnalargli la
pagina Facebook giusta, da taggare a sua volta dal proprio profilo e dalla
pagina del quotidiano; di rimando, la nostra social media manager avrebbe
rilanciato i video che lui stesso aveva realizzato.
Ecco quello nel quale Shekinah esegue l’inno di questa GMG, che, contrariamente a
quanto qualcuno potrebbe pensare, non ci era affatto venuto a noia.
Il
primo pranzo da Pingo Doce, quasi andato di traverso
Anche per i giorni di Lisbona disponevamo di pranzi e cene gratuite, tramite un QR Code stampato sul nostro pass del pellegrino e su di un talloncino staccabile. Tra i luoghi selezionati, le nostre preferenze sono andate immediatamente ai supermercati della catena Pingo Doce, più o meno simili ai nostri dell’Esselunga, perché vi si trovano le grandi marche, prodotti a marchio e piatti pronti da mangiare sul posto o portare via.
Dopo un
momento di confusione, ho deciso cosa prendere. Pochi istanti più tardi,
invece, ho litigato con i miei compagni, perché uno di loro mi aveva
sconsigliato di andare a salutare un prete che conosco. Fino a quel momento,
non avevo avuto scatti di nervosismo, ma lì sono esplosa, urlando che ero stufa
di sentirmi fraintesa, bloccata, giudicata solo perché i miei trascorsi mi
hanno condotta a conoscere moltissimi sacerdoti.
Di
conseguenza, non mi sono davvero goduta nemmeno il pranzo che avevo scelto
(salsicce di pollo con patate). Altri miei compagni, al vedermi così abbattuta,
mi hanno consolata.
Con i piedi nell’Oceano
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Foto mia |
Il
percorso verso la sede della Festa degli Italiani è stato percorso da noi
soprattutto in metropolitana. Prima di giungere a destinazione, però, abbiamo fatto
tappa al Passeio Maritimo de Algés: finalmente anch’io, dopo aver rinunciato a
farlo due giorni prima, sono riuscita almeno a immergere i piedi nell’Oceano
Atlantico.
Non di
più, per due ragioni: principalmente, perché so mantenermi a galla ma non nuoto
benissimo (ho rischiato d’inghiottire acqua perfino nel Mar Morto!); in secondo
luogo, perché non mi ero portata dietro il costume da bagno, che pure avevo in
valigia nel caso avessi dovuto lavarmi all’aperto.
Mi sono
sentita subito ritemprare dalle fatiche, meravigliata dalla vastità dell’Oceano
rispetto a cui mi percepivo piccolissima, abbracciata da qualcosa che andava
oltre le incomprensioni che potevo aver avuto con i miei compagni di viaggio.
Alla Festa degli Italiani, magliette e soddisfazioni
Non
ricordo se, alle altre GMG a cui sono stata, ho partecipato alla Festa degli
Italiani, l’appuntamento per tutti i giovani del nostro Paese tra
testimonianze, momenti di musica e la preghiera finale. Quella di Lisbona era
intitolata Protagonisti e vedeva molti artisti chiamati a far festa e a
esibirsi per i giovani.
Anche
lì abbiamo cenato grazie ai buoni; per fare prima, ho preso il sacchetto con il
cibo vegano, che aveva un buon sapore. Mi sono quindi accomodata con gli altri,
stendendo gli insostituibili teli blu.
Mentre mi avviavo al luogo della festa, mi sono guardata intorno. C’erano davvero giovani dalle diocesi più inaspettate, tutti con le rispettive magliette identificative. In particolare, mi sono quasi incollerita nel vedere che i giovani della diocesi di Andria avevano, sulle loro maglie, la frase ormai inscindibile dal Beato Carlo Acutis (va detto che era uno dei patroni della GMG) ma che, come mi sono impegnata a dimostrare, non è un suo pensiero autentico, bensì l’ha fatta propria.
Noi di
Shekinah, invece, avevamo ancora addosso le magliette colorate (di varie tinte,
non uniformi) che costituiscono la nostra divisa estiva. Mi sentivo di essere
venuta meno alla mia appartenenza fondamentale, da mostrare non con spocchia,
come a volte accade a noi ambrosiani, ma con fierezza, secondo un altro termine
molto caro all’arcivescovo monsignor Delpini. A ben vedere, però, era come se
fossi un atleta che in quel momento indossava la maglia della squadra in cui
gioca (anche se, prima di Shekinah, viene la mia parrocchia), ma che milita
anche nella Nazionale.
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Foto mia |
Finita
la cena, mi sono precipitata da quel ragazzo, cercando di non avere un fare
troppo aggressivo. Giuseppe, così si chiamava, ha capito subito che ero un
membro di Shekinah e si è prestato a farsi fotografare.
Mi ha però
indicato che i giovani del suo gruppo, di Cassina de’ Pecchi, Luino e
Pioltello, erano in coda ai servizi e che, se avessi convinto qualcuno dei miei
compagni, avremmo potuto fare una foto tutti insieme. Alla fine mi sono
limitata a mostrare la foto ai nostri responsabili e a farla girare sul nostro
gruppo WhatsApp: sono soddisfazioni!
Gli
interventi della Festa degli Italiani
Degli interventi ascoltati ricordo con molto piacere quello dell’attrice Giusy Buscemi, ma anche le veementi affermazioni di don Luigi Ciotti. Da quando l’ho conosciuto al Campus di Educazione alla Pace, che si è svolto fino a un paio d’anni fa nelle mie parrocchie, comprendo benissimo perché insista così tanto con i giovani. Le mie battaglie sono diverse dalle sue, ma vorrei continuare a perseguirle con la medesima sua tenacia.
Anche
il discorso quasi finale di don Michele Falabretti, responsabile del Servizio
Nazionale per la Pastorale Giovanile, mi ha colpito e quasi commosso. In quella
giornata avevo versato parecchie lacrime di rabbia, ma speravo, prima o poi, di
poter piangere, stavolta di gioia.
Non ho
invece ascoltato l’intervento del cardinal Matteo Zuppi, presidente della
Conferenza Episcopale Italiana, perché ho seguito il mio gruppo nel cercare di
arrivare il prima possibile alla fermata dei mezzi pubblici.
Un fugace incontro cappuccino...
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La corsa per non perdere il pullman (foto mia) |
A un
certo punto, quando la folla è diminuita, ho scorto un gruppo di giovani che si
teneva per mano, ma con loro c’era un frate. L’ho subito riconosciuto: era fra
Italo Santagostino, del convento dei Cappuccini di San Pio da Pietrelcina a San
Giovanni Rotondo, volto noto a chi segue Padre Pio TV (ha una piccola rubrica
sul Santo del giorno ed è diventato sacerdote pochi mesi fa).
Avrei
voluto parlare più a lungo con lui: sono riuscita solo a dirgli come mi chiamo
e che sono stata ospite della stessa emittente nel programma Verso gli Altari.
Non ho avuto il tempo di raccomandargli di adottare qualcuno dei canti di
Shekinah: da esperto musicista e liturgista, cura l’aspetto musicale delle
celebrazioni nel santuario di san Pio, soprattutto con i giovani.
Dopo
averlo lasciato andare, altrimenti perdeva il gruppo, ho scorto anche fra
Pasquale Cianci, responsabile della Pastorale Giovanile e Vocazionale del
santuario.
...e
un confronto col mio passato
Finalmente ero arrivata al punto in cui aspettare l’autobus che avrebbe portato me e compagni al check-in di Barcarena, o comunque più vicini.
A un
certo punto mi sono sentita chiamare per nome. Voltandomi, ho trovato un mio
vecchio amico, nativo della mia stessa parrocchia di nascita, ma ormai da tempo
non la frequenta più: si è reso conto, infatti, che il gruppo di persone con
cui uscivamo trattava me e lui, ma soprattutto lui, da scemi del villaggio, bersagliandoci
di prese in giro e offese più o meno gravi. Ora si è inserito in un’altra
parrocchia della città di Milano, assumendo anche, se ho capito bene, un ruolo
di responsabilità educativa, a dispetto dei suoi limiti.
Dopo
aver scambiato qualche parola con lui, sono tornata dagli altri di Shekinah con
un’espressione mogia in volto. Ho spiegato loro che avevo appena visto un
fantasma del mio passato, il quale mi aveva ricordato episodi che hanno fatto
parte della mia crescita, ma che continuano, quando li rievoco, a farmi
soffrire.
In più,
ero stata colta dal dubbio che i miei nuovi compagni, sia di parrocchia, sia
del coro, non mi volessero veramente bene; temevo che, come quelli con cui
uscivo prima di traslocare, mi tenessero con loro solo per pietà, non per
affetto sincero.
Quel
che avrei vissuto nei giorni seguenti mi avrebbe condotta, molto presto, a
cambiare parere.
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