Io c’ero #30: GMG 2023 – I miei giorni nella diocesi di Porto (prima parte)

 

Foto di Diego Tagliabue

Sono tornata ieri dalla Giornata Mondiale della Gioventù (GMG), che si è svolta a Lisbona nei giorni scorsi, a cui ho partecipato con i miei compagni del Gruppo Shekinah, coro giovanile – anzi, credo che ora si possa tornare a dirlo, della Pastorale Giovanile – della diocesi di Milano.

Sono molto stanca e provata, soprattutto fisicamente. Sono arrivata carica di bagagli, sicuramente per la mia incapacità a scegliere l’essenziale senza scontentare i miei familiari che si aspettavano qualche ricordino (più o meno -ino, in realtà). Soprattutto, ho portato con me nuove esperienze e incontri di cui, come ho promesso, rendo conto adesso che sono a casa.

Per agevolare la lettura, dividerò il mio racconto in quattro parti: la prime due, relative ai Giorni nelle Diocesi, come si dovrebbero chiamare più propriamente i gemellaggi in preparazione alla GMG, e altre due riguardanti le catechesi o incontri Rise Up e i momenti di preghiera con il Santo Padre.

 

Un’attesa segnata dall’angoscia

 

So che non è un titolo felicissimo con cui iniziare, ma i miei preparativi per la partenza sono stati caratterizzati proprio da questo sentimento.

Anzitutto, quando a dicembre è stata ufficializzata la partecipazione di Shekinah alla GMG, ho pensato che fosse un’occasione da cogliere, anche se si sarebbe svolta a partire da dieci giorni dopo il mio trentanovesimo compleanno. L’organizzazione ci aveva spiegato che non c’era questione di limiti d’età, dato che saremmo andati a servizio della Pastorale Giovanile diocesana. Ho quindi dato la mia adesione, ma nei mesi seguenti sono stata colta da molti dubbi.

In particolare, ho iniziato a pensare che, se avessi saputo prima che la mia diocesi organizzava per settembre un pellegrinaggio a Loreto (dove non sono mai stata) e ad Assisi (dove sarei tornata più che volentieri), forse avrei scelto quel viaggio e non la GMG. Intanto, però, avevo versato le caparre e non potevo più tornare indietro.

L’angoscia si è fatta ancora più stringente nei giorni immediatamente precedenti la partenza. Ho iniziato a temere di sentirmi male, di perdere la vita durante il volo o che mi accadesse come a Susanna Rufi, la ragazza morta di meningite dopo essersi ammalata alla GMG di Cracovia. Avevo poi paura di risultare un peso per i miei compagni di viaggio, perché sono lenta nel camminare e ho paura delle scale mobili soprattutto in discesa (mi sono ferita così alcuni anni fa).

Infine, c’era la questione della partenza, fissata per le 5.55 dall’aeroporto di Milano Malpensa. Io non ho mezzi miei e la prima metropolitana vicina a casa mia, che avrebbe dovuto portarmi alla stazione di Milano Cadorna, da cui avrei preso il Malpensa Express, parte proprio a quell’ora. L’unica soluzione possibile era prendere un taxi da casa e arrivare all’aeroporto almeno un paio di ore prima, per il check-in.

 

27 luglio

L’alba su Malpensa

 

Così, quando sono arrivata all’aeroporto, non ero affatto nelle condizioni giuste per iniziare il viaggio. Fortunatamente ho preso sonno quasi subito dopo il decollo, così non ho avuto grossi problemi; mi sono un po’ ripresa durante lo scalo a Lisbona, visto che Porto era la nostra destinazione.

Del nostro volo facevano parte anche alcuni giovani che si sono iscritti contattando direttamente il Servizio Giovani della Pastorale Giovanile di Milano, i quali avrebbero alloggiato insieme a noi, cosa che non sarebbe avvenuta, invece, nei giorni a Lisbona. In realtà, tutto il gruppone era diviso in due località della diocesi di Porto: Lousada e Covas. Io ero nella prima cittadina.

All’aeroporto siamo stati caricati su alcuni pulmini, che ci hanno portati nella prima tappa, non ricordo con esattezza dove. Abbiamo pranzato a casa di una gentile signora, che avrebbe poi ospitato alcuni di noi, se ho capito bene. Da lì siamo stati smistati nei due paesini, in attesa di capire quali sarebbero state le famiglie che ci avrebbero ospitati. Intanto stavo cominciando a non sentirmi bene, ma cercavo di non farlo pesare.

 

Desideri e aspettative

 

Noi di Lousada ci siamo incamminati verso un parco pubblico, dove abbiamo fatto un giro di presentazioni, spiegando in breve chi siamo, da dove veniamo, a quali GMG abbiamo partecipato in precedenza e quali fossero le nostre aspettative.

Mi ha colpito vedere che molti miei compagni non avevano nessuna aspettativa, soprattutto quelli alla prima esperienza: quando ero nella loro situazione, invece, ne avevo tantissime, fomentate dai racconti dei miei vecchi comparrocchiani che erano stati a Roma nel 2000 (e non avevano taciuto i disagi del pernottamento a Tor Vergata e del caldo) e da quel che avevo visto e letto riguardo l’edizione di Toronto del 2002, a cui non ho partecipato perché non avevo ancora diciott’anni (ripensandoci, credo sia stato solo un bene).

Da parte mia, mi aspettavo, oltre alle fatiche, al caldo, alle incomprensioni (ma non l’ho detto per non terrorizzare i più giovani), che questa GMG avrebbe portato una svolta nella mia vocazione.

Alcuni anni fa, infatti, ho portato una mia amica, in serie difficoltà vocazionali. a parlare con un anziano sacerdote, che, a detta di molti, aveva la capacità di scrutare nei cuori. Lui le disse che, se lei non avesse seguito la propria vocazione, sarebbe rimasta come un osso spezzato nel Corpo Mistico della Chiesa.

Dopo aver affrontato alcune esperienze in una congregazione religiosa, una più fallimentare dell’altra, la mia amica si è sposata. Adesso, invece, l’osso spezzato sono io, priva di un lavoro vero e incapace di vedere uno sbocco nella scelta della mia vita.

 

A casa di M. I.

 

Le nostre famiglie ospitanti (foto mia)

Dopo questo momento in comune, ci siamo diretti alla cappella del Signore degli Afflitti (O Senhor dos Aflitos), dov’è venerato un antico e monumentale Crocifisso che ogni anno, in una suggestiva cerimonia, a cui abbiamo assistito, viene calato giù dalla pala d’altare dove si trova tutto l’anno e, nei giorni seguenti, viene condotto in processione.

Lì abbiamo partecipato alla Messa insieme a un gruppo di pellegrini polacchi e uno di francesi, anche loro gemellati con la diocesi di Porto. Ricordo poco dell’omelia, pronunciata in portoghese e ripetuta, in sintesi non molto sintetica, nelle altre lingue: sicuramente, costituiva un invito a guardare alla Croce di Cristo anche in quei giorni.

Finita la celebrazione, ci siamo spostati nella piazza antistante la cappella del Signore degli Afflitti, accolti da una banda al suono di Bella Ciao (evidente richiamo alla serie La Casa di Carta). Poco dopo sono stati annunciati i nomi di chi doveva andare nelle singole famiglie. Io avevo scelto di far parte di un gruppo di quattro ragazze, durante il momento iniziale.

Insieme a Susanna (mia compagna di Shekinah), Sara e Lizbeth (venute col gruppo del Servizio Giovani), sono quindi stata collocata da M. I. (taccio il nome per ragioni di riservatezza), un’anziana signora di ottantasette anni.

Appena siamo arrivate nel garage di casa sua, lei ci ha mostrato una piccola camera da letto: dato che stavo continuando ad accusare i primi malesseri, ho pensato di accaparrarmela io, lasciando alle altre di dormire a terra.

In realtà, al piano superiore, c’erano un’altra camera con un letto matrimoniale, a parte quella della padrona di casa, e una cameretta-studio con un letto che ne conteneva un altro a scomparsa: in quest’ultimo mi sono collocata io, mentre le altre decidevano chi si sarebbe presa il matrimoniale. Alla fine, Sara ha scelto di stare in camera con me.

 

28 luglio

Tra interviste e incontri


La giornata si è aperta con un momento di preghiera internazionale, insieme ai giovani polacchi e francesi di casa a Lousada, nel campo di allenamento per le armi da fuoco (non so come definirlo altrimenti). Prevedeva, subito dopo, una serie di giochi sportivi, come l’hockey su campo, che praticamente lì è lo sport più praticato.

Noi di Shekinah avevamo però altri obiettivi: dovevamo raggiungere l’auditorium parrocchiale di Vila Nova de Gaia per un concerto. Prima abbiamo però raggiunto la città di Porto, ammirando la magnifica stazione e improvvisando, per i microfoni della radio RT, che ha anche intervistato una di noi (non riesco a reperire l'audio), il ritornello dell’inno della GMG, prima in portoghese, poi in italiano.

Mentre ci avvicinavamo alla cattedrale, abbiamo avvicinato un gruppo della diocesi di Padova, il cui sacerdote ci segue da tempo e apprezza i nostri canti: è stato molto felice, quindi, di sapere che a breve uscirà il nostro nuovo CD di inediti.


Un incoraggiamento da santAmbrogio

Poco dopo abbiamo incrociato un gruppo di Brentwood, nel Regno Unito: io ho scambiato una spilletta con un santino di sant’Ambrogio, che riproduce lo stesso disegno, opera di Giuseppe Ferrario, presente sulle nostre magliette diocesane e ha, in più, una frase tradotta in inglese. A tanti non piace quell’illustrazione, ma io la trovo carina, perché ha un tratto fumettistico, ma è fedele all’iconografia presente nei mosaici della cappella di San Vittore in Ciel d’Oro. Anzi, mi è dispiaciuto non essere passata a comprare altri santini, prima di partire.

Peraltro, quando ero ancora angosciata per la partenza, ho riletto parte del Messaggio di papa Francesco per la GMG, apprendendo che citava proprio il nostro Santo patrono:

Sant’Ambrogio di Milano, nel suo commento al Vangelo di Luca, scrive che Maria si avviò in fretta verso la montagna «perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia. Dove ormai, ricolma di Dio, poteva affrettarsi ad andare se non verso l’alto? La grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze». La fretta di Maria è perciò la premura del servizio, dell’annuncio gioioso, della risposta pronta alla grazia dello Spirito Santo.

Calzava a pennello su quel che desideravo fare, insieme ai miei compagni del coro.

Abbiamo poi attraversato il Ponte di Ferro, che unisce la città. Io non mi ero accorta di essere sospesa a non so quanti metri da terra, finché non ho guardato in basso per scattare una foto: mi sono sentita tremare e ho chiesto a un mio compagno, forse più impaurito di me, di sostenermi finché non fossimo giunti dall’altra parte.

 

Un concerto che è stato una festa

 

Foto di don Bortolo Uberti

Abbiamo impiegato moltissimo tempo per arrivare all’auditorium, sia per via dei mezzi pubblici, sia perché il locale che avevamo scelto per mangiare usando i buoni pasto offerti ai pellegrini aveva una coda molto lenta.

Solo dopo quasi due ore ci sono arrivati messaggi dai nostri compagni che erano già sul posto: in uno era scritto che il concerto era anticipato di un’ora per ragioni organizzative, mentre in un altro eravamo invitati ad avvicinarci all’auditorium, nei cui paraggi si trovava una panetteria che accettava i buoni.

Sono entrata nel luogo del concerto che non avevo ancora mangiato il dolce previsto dal menu. L’ho mandato giù in fretta prima di salire sul palco; intanto stavo iniziando a sentirmi ancora peggio, ma pensavo di reggere ancora un po’.

Il concerto è stato veramente festoso, carico di applausi e di reazioni da parte del pubblico, in particolare su due brani: la versione internazionale di Resta qui con noi, inno della prima GMG, e Há pressa no ar, parte in italiano e parte in portoghese. Per un racconto più ufficiale di questo concerto rimando a quanto ha scritto Letizia Gualdoni per il Portale della diocesi di Milano e per il nostro dorso settimanale (in agosto è di due pagine) di Avvenire, Milano Sette.

Forse per la tensione, non sono stata davvero male: solo a concerto concluso ho accusato mal di schiena e dolori muscolari.

 

L’identità segreta di M. I.

 

Ingresso della casa di M. I. (inviata da lei via WhatsApp)

Dopo il viaggio di ritorno verso Lousada, è venuto il momento di cenare in famiglia. A un certo punto della serata, M. I. ha cominciato a guardare le fotografie inviate al gruppo WhatsApp delle famiglie ospitanti. Noi abbiamo presentato i nostri compagni, indicando, tra l’altro, che erano con noi alcune consacrate della Comunità Sorelle del Signore.

A quel punto, la nostra nonnina ospitante ha svelato, per così dire, la sua identità segreta: anche lei è una consacrata. Precisamente, appartiene all’Istituto Secolare Caritas Christi, fondato negli anni ’30 da un sacerdote domenicano, padre Joseph-Marie Perrin, e da Juliette Molland. A giudicare da quello che vedevamo in casa, sembrava semplicemente un’anziana signorina nubile (ci aveva già raccontato di non essere sposata e di non avere figli), molto impegnata in parrocchia come catechista, nonché fondatrice di un gruppo scout.

 

A domani per la seconda parte del mio racconto, con una sfida musicale tra cori e alcuni piccoli incidenti di percorso.


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