Io c’ero #32: GMG 2023 – I miei giorni nella diocesi di Porto (terza e ultima parte)

 

Foto mia

Non sono stata puntuale nel programmare il resto del mio diario di viaggio dalla Giornata Mondiale della Gioventù e dai Giorni nelle Diocesi. Conto di esserlo nelle prossime puntate, a cominciare da quella di oggi, nella quale concludo il racconto del gemellaggio con la diocesi di Porto e dell’incredibile ospitalità della sua gente.

 

31 luglio

Riflessione e condivisione di metà viaggio

La parrocchiale di Covas (foto mia)


La mattina del 31 luglio, la parte alloggiata a Lousada del Gruppo Shekinah (ricordo che ho partecipato alla GMG e annessi perché membro di questo coro che non è solo un coro) ha raggiunto l’altra parte ospitata a Covas. Lì abbiamo avuto tutti insieme un tempo di silenzio per ripensare a quanto avevamo vissuto fino a quel momento.

Personalmente, ho riportato alla memoria quell’attimo in cui, osservando da vicinissimo la statua del Signore degli Afflitti, il monumentale crocifisso portato in processione il giorno prima a Lousada, ho ribadito a Gesù che non voglio più sentirmi inadeguata perché la mia vocazione a volte sembra realizzarsi e a volte no. L’ho anche ringraziato, però, perché col passare dei giorni mi sembrava che i miei compagni, specie quelli più giovani, continuassero a darmi segni della loro stima, se non del loro affetto.

A seguire, abbiamo celebrato la Messa, sempre a Covas, ma non nella parrocchiale di San Giovanni Evangelista, e in Rito Ambrosiano, sperando di non aver disorientato troppo i fedeli del posto. Il Vangelo del giorno era il brano del Vangelo secondo Luca (11, 1-4) che contiene l’insegnamento del Padre nostro da parte di Gesù ai discepoli, che gli chiedono d’insegnare loro a pregare. Anche noi, ha sottolineato don Bortolo Uberti (guida spirituale e paroliere di Shekinah), che presiedeva l’Eucaristia, abbiamo lo stesso bisogno: occasioni come la GMG potevano servire a farlo riscoprire anche a chi magari non ci pensava.

A Lousada avevamo programmato di concludere la Messa con l’inno Há pressa no ar, ma padre Paulo, il parroco, ci aveva anticipato. A Covas siamo riusciti a fare così, invece: anche lì abbiamo riscontrato un buon apprezzamento da parte della gente.

Quanto alla condivisione a gruppi, non sono riuscita a viverla pienamente, essenzialmente perché M. I., la vecchietta che ospitava me e altre tre ragazze, ci ha incalzato per andare a pranzo con lei. Ho fatto solo in tempo a dichiarare che avevo deciso di vivere la GMG come indicava il nostro patrono sant’Ambrogio nello stralcio del suo Commento al Vangelo secondo Luca menzionato nel Messaggio per la GMG di papa Francesco.

 

Un pranzo lauto e interessante

Il bacalhão (foto mia)!

In realtà, la nostra nonnina aspettava l’arrivo di due sacerdoti della Congregazione della Missione, ovvero due padri Vincenziani, che avrebbero dovuto partecipare al pranzo della domenica, ma avevano avuto un imprevisto. 

Stavolta sono arrivati in tempo: abbiamo pasteggiato sia con il resto della pasta fredda della sera precedente, sia con intere teglie di carne d’agnello e di vitello con contorno di patate al forno, anche quelle rimaste dalla cena, a cui si aggiungeva il bacalhão mantecato. Ammetto che il pesce non mi piace particolarmente, ma ho voluto ugualmente onorare questo piatto tipico.

Ho conversato con molto piacere insieme a padre Albertino, portoghese, che parlava un buon italiano (se ho capito bene, ha studiato a Roma) e a padre Adriano, brasiliano, che si esprimeva in inglese. Continuava però a ronzarmi nelle orecchie una vocina che m’intimava di non stare troppo addosso a quei due sacerdoti, per cui, ogni tanto, lasciavo parlare le mie compagne. Mi sembra di esserci riuscita piuttosto bene.

 




Una puntatina alla cappella della Madonna di Loreto

 

La Madonna di Loreto venerata nella cappella (foto mia)

Ormai non avevo più doloretti né malesseri, ma sentivo di dover schiacciare un pisolino, senza però riuscirci: guardavo continuamente l’orologio perché avevo paura di arrivare in ritardo al soundcheck del concerto che si sarebbe svolto nella cappella del Signore degli Afflitti, come ringraziamento alla gente di Lousada.

M. I., inoltre, continuava a invitare me e le altre ad andare a vedere la cappella della Madonna di Loreto, molto vicina a casa sua. Susanna non poteva perché aveva fissato un appuntamento per la Confessione, mentre le altre due riposavano. Rimanevo libera solo io, che quindi l’ho seguita.

La cappella è molto piccola e risale al 1783, secondo quanto è indicato su di un portone laterale. Ha al suo interno una statuetta della Madonna di Loreto, dipinta a colori vivacissimi. In vista della GMG, era stata arredata con tappeti e cuscini, più un crocifisso che mi sembrava simile a quelli che ho visto nelle preghiere secondo lo stile della Comunità di Taizè.

Di fatto, come mi ha spiegato M. I., raggiunta da altre due signore – una di loro si chiamava come me, ma non mi ha saputo dire quando festeggia l’onomastico, a meno che io non mi sia espressa male – , nei mesi precedenti si sono tenuti lì alcuni appuntamenti di preghiera in preparazione all’accoglienza dei giovani pellegrini. Anche io ho pregato a mia volta, prima in silenzio, poi recitando l’Ave Maria in portoghese (un po’ la so perché qualche volta ho seguito il Rosario dalla Cappellina delle Apparizioni di Fatima in diretta su Telepace, che però ora a Milano non si riceve più), infine cantando l’Ave Maria di Fatima (prima le signore hanno intonato un paio di strofe in portoghese, poi ne ho eseguita io una in italiano).

Pensandoci bene, proprio l’effigie conservata nel Santuario della Santa Casa di Loreto è uno dei simboli italiani della GMG, insieme alla Croce di San Damiano. Ricordo benissimo come fosse presente alla celebrazione del 17 agosto 2011 a Madrid, con i diciottenni e tutti i vescovi italiani presenti a quell’edizione. Noi di Shekinah eravamo stati chiamati ad accompagnare la celebrazione, ma facemmo arrabbiare, per un nostro errore liturgico, il cardinal Angelo Bagnasco, al tempo presidente della Conferenza Episcopale Italiana (sono passati anni e ancora mi dispiace).

Tra un canto e una chiacchiera (da parte mia, in uno spagnolo un po’ abborracciato), erano scoccate le 16.20: avevo quindi dieci minuti per scendere a valle e poi risalire la collinetta del Signore degli Afflitti. Le signore sembravano volermi trattenere ancora, ma io, mancando loro di rispetto, ho gridato che ero in ritardo e sono corsa giù, riuscendo a entrare in sacrestia un istante dopo il suono delle campane.

Dopo il soundcheck ho adocchiato, nei saloni della segreteria, un comodo divano. Credevo di appoggiarmi solo per un momento, ma ho dormito davvero, per almeno dieci minuti. Svegliata dalle campane, sono corsa dai miei compagni, credendo di aver perso l’inizio del concerto; mancava ancora un quarto d’ora...

 

Un concerto festoso e commovente

 

Mi sa che qui eravamo alle prove
(foto di don Bortolo Uberti)

Il concerto, inizialmente non previsto, è stato organizzato in brevissimo tempo. La scaletta era molto simile a quella suonata all’auditorium di Vila Nova de Gaia. Anche stavolta sono stati apprezzatissimi gli inni della GMG in corso e quello del 1984, ovvero Resta qui con noi: ho visto una signora che lo cantava in italiano!

Finito il concerto, ha preso la parola padre Paulo, o meglio, ci ha provato: la commozione gli ha bloccato le parole in gola. In quasi sedici anni di servizio con Shekinah, non credo di aver mai visto qualcosa di simile, in nessuna parrocchia dove sono passata.

Incoraggiato dai nostri applausi, si è ripreso e ha commentato, tra l’altro, che resteremo per sempre in un angolino del suo cuore. A giudicare dalle espressioni sul volto dei miei compagni, credo che la cosa sia reciproca.

 



Le tazzine... me se scompagna il servizio (un plauso a chi coglie la citazione!)

 

Foto mia

A fine concerto, da poco rientrata in sacrestia, sono stata raggiunta da Gloria, una delle signore che avevo incontrato alla cappella di Loreto. Per cominciare, mi ha fatto notare che ero scappata via mentre lei mi stava avvisando che c’era una scorciatoia per arrivare prima all’appuntamento.

Subito dopo, mi ha regalato le tazzine della foto sopra. In quel momento, sono stata io a essere sul punto di commuovermi: era un regalo veramente inaspettato, specie dopo che l’avevo trattata male.

Lì per lì non sapevo come ricambiare, ma poi ho avuto un’idea: dopo averle chiesto se fosse madre, le ho lasciato un santino della Beata Eurosia Fabris Barban, anche se aveva la preghiera in italiano, spiegandole a grandi linee la sua storia.

 

Di nuovo alla cappella di Loreto

 

Anche M. I. era venuta al concerto e aveva apprezzato a sua volta le nostre esecuzioni. Dopo aver trovato le altre mie coinquiline, ci ha portate tutte alla cappella di Loreto, cercando di aprirla con una manovra degna di Roberto Giacobbo e dei suoi “permessi speciali”; Susanna le ha dato una mano non da poco.

Appena aperta la porta della sacrestia, siamo balzate di terrore: in un angolo c’era una testa decapitata! Abbiamo capito subito che era un’immagine di san Giovanni Battista decollato, ma faceva impressione lo stesso. Anche noi quattro abbiamo pregato e cantato insieme, poi siamo tornate a casa.

 

Testimoniando gourmet: il cachorro e le farturas

Non so se rende l'idea... (foto mia)

Non ho ancora riferito che noi eravamo capitati a Lousada nei giorni delle Festas Grandes do Senhor dos Aflitos. Ogni sera – dico, ogni sera – c’erano luminarie simili a quelle che si vedono nel Salento o comunque nel Sud d’Italia per i Santi patroni, fuochi artificiali potenti e spettacolari, bancarelle (alcune con prodotti validi, altre con palesi cinesate), sfilate di gruppi folcloristici e baracchini con cibarie dolci e salate.

La sera del 31, in fin dei conti, era l’ultima che avremmo trascorso in paese; in quelle prima non avevamo avuto la forza e il tempo di girare per le bancarelle. Ci siamo sedute ai tavolini di uno di quei furgoni e abbiamo cominciato a pensare a cosa ordinare. Personalmente, ero incuriosita dal cachorro, che mi era stato presentato come un panino farcito, tipo un hot dog (in effetti, cachorro, se ho capito bene, è uno dei modi per chiamare il cane).

Come si vede dalla foto, non era semplicemente “farcito”: era stracolmo! Sono riuscita a distinguere: salsicce; funghi; insalata; patate fritte tagliate in pezzi sottilissimi; carote; salsa ketchup; maionese. Con meraviglia da parte delle mie compagne, che avevano preso quasi tutte lo stesso panino (Sara ha optato per una più sobria bifana, più simile a un panino standard, mentre M. I. ha scelto un toast), l’ho finito senza fatica e senza fretta.

Per dolce ci volevano delle farturas, ovvero strisce di frittelle irrorate d’olio e spruzzate di cannella e zucchero a velo. Le avevo già assaggiate al termine della processione, offerte dal comitato organizzatore, ma Susanna, che, come ho scritto, aveva partecipato come figurante, non le aveva nemmeno viste. L’ho quindi accompagnata a cercarle e a prenderle per tutto il gruppetto, anche se, una volta arrivate a casa, non erano più tiepide.

 

Sorprese finali

 

Ta-dan (foto mia)!

La serata non era finita: dopo aver mangiato un pezzetto di farturas a testa, accompagnato da una tisana, io e le altre abbiamo presentato le nostre sorprese per M. I.: la fotografia fatta stampare nel laboratorio, di cui parlavo ieri, e la maglietta dei pellegrini ambrosiani, avvolte in una bandiera tricolore presa dal mio kit degli italiani.

Lei ci aveva già regalato un portachiavi in pelle col Signore degli Afflitti e una decina di Rosario a braccialetto, sempre con lo stesso Crocifisso sulla medaglia centrale. Da parte mia, le ho consegnato una decina-portachiavi fatta da me, che aveva come croce una di quelle del kit italiano di Cracovia (non era la mia, ma una che ho trovato prima di partire).

Su di essa abbiamo scritto in italiano, spagnolo (Lizbeth, una di noi, è peruviana) e portoghese (tradotto un po’ alla buona), il motto della nostra nonnina, che, come ci aveva confidato, è anche il segreto della sua longevità: “amare e sorridere sempre”. Niente male come programma!

 

Negozi e ristoranti fintoitaliani, prima parte

 

Concludo questa prima sezione del mio diario di viaggio, nonché la terza sui Giorni nelle Diocesi, con una nota umoristica. Già in Terra Santa mi ero accorta di molte insegne di negozi e ristoranti che suonavano italiane, forse per attrarre pellegrini e turisti, ma che sovente suonavano involontariamente comiche. Neanche il Portogallo fa eccezione: ecco la carrellata di quelle che ho visto a Porto e zone limitrofe.

 

Gallo Grigio – Pizza napoletana

 


In realtà questo è relativamente sobrio.

 

Pinseria romana Mille (poi te ne restano...)

 


Addirittura una pinseria, ovvero la pizza bassa romana!

 

Buondi Caffè (senz’accento)


 
È una marca, in realtà.

 

Nosolo Italia – Pizzeria gelateria

Anche questa è una marca, o meglio, una catena.


La Bocca Dolce

 


Questo è il più esilarante di tutti!

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