Vita di un cristiano gioioso - Michele Saglia (Cammini di santità #45)


Ai primi dello scorso mese di luglio avevo scritto al direttore della rivista Sacro Cuore VIVERE, dell’Opera Salesiana del Sacro Cuore di Bologna, domandandogli quali sarebbero stati i soggetti da trattare nei numeri di settembre e ottobre, per la mia rubrica “Cammini di santità”. Pensavo poi che la mia collaborazione si sarebbe conclusa con l’articolo per ottobre e mi sentivo un po’ dispiaciuta. La risposta è stata, davvero con mia gran felicità, che avremmo presto preparato il piano editoriale per il prossimo anno.

Stavo iniziando a preparare l’articolo per ottobre, prima di partire per la GMG di Lisbona, quando, precisamente dopo le 14 del 14 luglio, è suonato il citofono di casa mia: era il postino, con un pacco per me, troppo grande da mettere in casella. Sono scesa subito e ho ricevuto un piego di libri, il cui mittente era proprio l’Opera Salesiana del Sacro Cuore di Bologna.

Ho subito immaginato che contenesse qualche volume su cui avrei dovuto basarmi per un prossimo articolo al di là di quello concordato per ottobre; peraltro, era arrivato a due giorni dal mio compleanno.

L’ho aperto e mi sono trovata sulla copertina un primo piano di Michele Saglia, mentre sulla mia faccia si dipingeva un’espressione perplessa: non sapevo affatto chi fosse quell’uomo, né perché il direttore voleva che mi occupassi di lui.

La spiegazione era contenuta in un biglietto fotocopiato, inserito sotto la copertina. Monsignor Pier Giorgio Micchiardi, vescovo emerito di Acqui, aveva scritto al direttore anzitutto per fargli i complimenti per le figure presentate nella rivista (evidentemente, erano rivolti anche a me), poi per domandargli di poter dedicare spazio anche a Michele, che era suo cognato.

Alla perplessità si è sostituita in me una graduale curiosità: se mi era arrivata la biografia di Michele, valeva la pena di presentarlo ai nostri lettori. Mi sono quindi data alla lettura, appurando che c’era parecchio da raccontare. Peraltro, in giro per Internet, non si trova quasi nulla su di lui, eccezion fatta per qualche articolo su L’Eco dei Barnabiti (è stato loro allievo) e per la rivista delle Suore Ospedaliere della Misericordia (mi sfugge il perché).

Ho concordato col direttore che l’articolo su Michele sarebbe andato sul numero di ottobre, cambiando quindi il piano. La ragione era duplice: anzitutto, perché ottobre è il mese delle missioni e mi veniva da pensare che lui, per certi versi, avesse vissuto come missionario del Vangelo attraverso il mondo del lavoro; in seconda battuta, il 6 novembre sarebbe caduto il trentesimo anniversario della sua morte (lo scriveva anche monsignor Micchiardi nel suo biglietto), quindi avrei potuto riproporre qui l’articolo proprio in quella data.


* * *


Rodello è un piccolo paese del Piemonte, dalle parti di Cuneo. Da tempo vive lì don Michele Balocco, già segretario di monsignor Luigi Maria Grassi, vescovo di Alba. Sta per vivere un momento speciale: viene a trovarlo Michele Saglia, un vecchio amico. L’ha conosciuto quand’era un bambino accolto nel Collegio dei ragazzi, situato nella stessa piazza della Curia e del Palazzo vescovile. Don Michele è stato un punto di riferimento per il suo omonimo, e lo è rimasto anche quando lui, ormai cresciuto, è diventato un dirigente d’azienda e ha girato mezzo mondo.

Come ogni volta, dopo aver ricordato i momenti felici trascorsi insieme, Michele chiede di confessarsi. Prima della Confessione, però, confida al suo consigliere spirituale di voler ringraziare Dio per tre motivi: «Avere avuto la fede e sapere che Dio ci ama; avere avuto la moglie e le figlie che ho, cioè una famiglia in cui, al ritorno dal lavoro, mi rinfranco e mi riconcilio con la vita; avere avuto un ambiente di lavoro fatto di amici per cui non sono mai solo, anche in mezzo alle difficoltà». Don Michele porterà sempre con sé il ricordo di quell’incontro, sicuro di aver visto, nel suo amico, il ritratto di Dio.

 

Un ragazzo dai grandi ideali

 

Michele Saglia nasce il 15 luglio 1938 a Piobesi d’Alba, in una modesta casa contadina. A nove anni rimane orfano: la madre, Maria, muore dopo una lunga malattia. Per lui è un dolore troppo grande da sopportare. Poco dopo, il padre, Paolo, è costretto a sistemare Michele al Collegio dei ragazzi di Alba, mentre tiene presso di sé il primogenito Vincenzo. Anche di questo il bambino soffre, ma col tempo acquisisce una saggezza e una mentalità da adulto.

Nelle conversazioni con don Michele Balocco pone domande solo in apparenza curiose: «Ma Gesù com’è fatto?». Il sacerdote risponde: «Gesù è Dio e quindi è anche l’uomo più bello e più buono comparso sulla terra». Il bambino insiste, quasi invidiando gli Apostoli: «E perché loro l’hanno visto e noi no? Se io lo vedessi, vorrei sempre stare con lui».

Non vede Gesù con gli occhi del corpo, ma è consapevole della sua presenza e vuole essere sempre di più suo amico. Gli anni trascorsi nella Casa Missionaria dei Barnabiti di Genova, ovvero dalle scuole medie al ginnasio, dal 1949 al 1954, lo confermano in questo.

Entra sorretto dall’ideale di «farsi buono e amare tanto Gesù», ma una “bufera”, forse dovuta agli obblighi che sente di avere verso i genitori (il padre si è risposato e lui vuole davvero bene a quella donna come a una seconda madre), gli sbarra il passo verso la formazione al sacerdozio. Ne fa cenno nella lettera del 23 gennaio 1956 al suo vecchio compagno di studi Antonio Gentili, poi religioso barnabita e sacerdote, concludendo: «Ora però non sono continuamente triste. Sono invece sempre sereno, perché mi sento il cuore e il pensiero puro. Attingo nella preghiera quell’aiuto che è indispensabile per il trionfo del bene. Attendo ancora… un’altra chiamata».

 

Anna Maria, il suo grande amore

 

Nel suo Diario spirituale, che inizia a scrivere nel 1955, Michele fa spesso riferimento, a partire dal febbraio 1956, a una ragazza che vede quasi ogni mattina in chiesa a Bra, città dov’è studente di Ragioneria. Il 4 giugno 1956 scrive per la prima volta il suo nome: Anna Maria Micchiardi. Si sente spronato a formarsi «un carattere forte, una personalità cristiana, per essere degno» di lei. Ogni tanto, però, gli ritornano alla mente i sogni giovanili, quando s’immaginava sacerdote e missionario, circondato da tanti ragazzini. «In questa indecisione di ideali da seguire (matrimonio-sacerdozio)», annota nel Diario il 20 gennaio 1958, «mi rifugio in Gesù: a lui offro la mia giovinezza desideroso di vivere unicamente per la santità. Da lui invoco aiuto e luce per intravedere chiaramente la mia strada… per ora quindi devo farmi santo: al resto penserà il Signore».

Inaspettatamente, il 22 agosto 1958, con un biglietto, si vede respinto: Anna Maria non ha intenzione d’impegnarsi né con lui, né con nessun altro. Michele non demorde: mentre vive con crescente intensità l’apostolato nell’Azione Cattolica come delegato degli Aspiranti, continua a scrivere alla sua “braidesina bella” (così la chiamava nel Diario, quando ancora non conosceva il suo nome), che finalmente, il 29 aprile 1962, diventa la sua fidanzata. Decidono però di vedersi solo una volta al mese, per offrire qualche sacrificio al Signore.

Michele e Anna Maria si uniscono in matrimonio il 20 settembre 1965 nella chiesa di Sant’Antonino a Bra, il luogo dei loro primi incontri. Diventano genitori di Maria Chiara (che li renderà nonni), Elisa e Agnese. Michele insegna loro il rispetto per la vita, la generosità verso chi è meno fortunato, l’educazione cristiana e l’impegno sul lavoro.

 

Il lavoro in fabbrica come una famiglia

 

Il 25 giugno 1958, fresco di diploma in Ragioneria, Michele viene assunto come ispettore amministrativo presso lo stabilimento di Alba dell’industria dolciaria Ferrero. Salvo una breve parentesi di due anni come responsabile dell’Ufficio Commerciale della ditta Martino di Torino, trascorre il suo intero periodo lavorativo lì, trasferendosi anche fuori dal Piemonte: nel 1976 è promosso dirigente e destinato a Quito in Ecuador. Riesce a fare della fabbrica una vera e propria famiglia, cementando l’amicizia con le altre famiglie italiane e sostenendo, anche di tasca propria, i lavoratori più in difficoltà. Ottiene anche l’adozione di alcuni bambini ecuadoregni da parte di famiglie di suoi amici in Piemonte.

Don Paolo Tablino, uno dei primi sacerdoti fidei donum della diocesi di Alba e poi Missionario della Consolata, suo vecchio conoscente negli anni dell’Azione Cattolica, lo incontra spesso durante le vacanze. Con gioia si scambiano pareri e riflessioni, suggellate dal dono di un’offerta in denaro: «Non è per te – aggiunge Michele sorridente – ma per la missione e per i poveri. Noi che siamo all’estero sappiamo quanto bisogno avete…».

Nell’ottobre 1986 i Saglia si trasferiscono a Balvano, presso Potenza, dove sorgerà una nuova fabbrica della Ferrero. Don Antonio Arcamone, Salesiano, collaboratore della parrocchia di San Giovanni Bosco a Potenza, ascolta Michele raccontare le proprie pene e propositi. A volte lo invita a riposarsi, ma l’altro replica: «Moltiplicando il tempo si moltiplicano le imprese e quindi si creano posti di lavoro e “pane” per le famiglie». In effetti, ha una grande cura per i giovani, specie quelli abituati alle fatiche nei campi, che introduce gradualmente al lavoro in fabbrica.

Ormai ha un’esperienza lavorativa pluriennale, ma non ha dimenticato l’essenziale. Quando parte per un viaggio di lavoro, chiede sempre ad Anna Maria di mettergli in borsa il Rosario e il libro dell’«Imitazione di Cristo»: lo nota anche il collega Bartolomeo Costamagna, quando scorge la corona in mezzo ad alcuni documenti, nella sua ventiquattr’ore. È dispiaciuto di non potersi impegnare nella vita della Chiesa come faceva da giovane, ma immagina, come riferisce ad alcuni amici, di poter diventare diacono permanente, una volta andato in pensione.

 

Col sorriso fino alla fine

 

Nel luglio 1993 Michele prende casa ad Alba, ma lascia spesso la famiglia per i suoi viaggi, che lo conducono a Montecarlo, come vicedirettore della Soremartec, consociata della Ferrero. Il 5 novembre deve partecipare a una cena di lavoro pur non avendo le forze di andare.

Dopo la cena, al momento di ripartire, verso l’1.30 del 6 novembre, si accascia sul sedile anteriore accanto al posto di guida. Alcuni istanti dopo, entra in agonia: soccorso da alcuni giovani della Croce Verde, anche loro al ristorante, viene portato all’ospedale di Voghera dove giunge privo di vita; la sua salma è stata benedetta dal cappellano. Anna Maria, sopraggiunta poco dopo, va con loro nella camera mortuaria: Michele è stato deposto lì, col sorriso in volto.

Quando era ragazzino, si era sentito domandare da don Balocco cos’avrebbe voluto fare da grande. La sua risposta fu che gli sarebbe piaciuto fare bene il proprio lavoro e, soprattutto, comportarsi in modo da farsi ricordare dai compagni, quando non ci sarebbe stato più.

Oggi Michele, a trent’anni dalla sua morte improvvisa, è ancora ricordato da chi gli ha voluto bene, come il cognato, monsignor Pier Giorgio Micchiardi, vescovo emerito di Acqui. Nell’omelia del suo funerale, celebrato nella parrocchiale di Piobesi, rivolgendosi a lui dopo aver illustrato le letture della Messa, aveva sintetizzato così la sua esperienza di cristiano: «Ti abbiamo conosciuto come uno che, aiutato dalla bontà di Dio, ha cercato, senza farlo apparire, di conformarsi a Gesù, al suo Vangelo…».

 

Originariamente pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 6 (ottobre 2023), pp. 22-23 (consultabile qui)


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