Cecilia Sametti, lottatrice sotto la Croce con Maria
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Chi è?
Cecilia
Sametti nacque a Roma il 22 novembre 1993, seconda dei sette figli di Paolo
Sametti e di sua moglie Lucia, i quali furono tra le prime coppie di sposi a
far parte della Comunità Casa di Maria, fondata da don Giacomo Martinelli e
Nicoletta Reschini. Fu battezzata nella Cappella Sistina in Vaticano il 9 gennaio
1994, per mano del Papa san Giovanni Paolo II, coi nomi di Maria Cecilia.
Nel
1995, dopo i primi anni, o meglio mesi, trascorsi nella casa di Moricone e
nella casa centrale della Comunità a Roma, si trasferì con i genitori a Fatima
in Portogallo, perché i suoi genitori erano stati chiamati a fondare la Casa di
Maria per l’accoglienza dei pellegrini nel santuario di Nostra Signora di Fatima.
Lì iniziò a frequentare la scuola, vivendo insieme agli altri bambini della
Casa anche i ritiri spirituali preparati per loro.
Nell’ottobre
2002 le comparve un rigonfiamento sospetto sul gluteo sinistro, che non
accennava a riassorbirsi. Ricoverata al pronto soccorso di Leiria, quindi
all’ospedale pediatrico di Coimbra, ricevette la diagnosi: aveva un
rabdomiosarcoma. Dopo la prima sessione di radioterapia, venne considerata
guarita, tanto che riuscì a celebrare la sua Prima Comunione il 27 aprile 2003,
nella cappellina della casa di Fatima.
L’11
novembre 2003, mentre si trovava a scuola, Cecilia ebbe i segnali della prima recidiva,
a cui seguirono altre quattro. Mentre seguiva le cure, ricoverata
frequentemente, la bambina era accompagnata dalla preghiera di tutta la sua
Comunità.
Tornò
in Italia molto spesso, ad esempio in occasione della sua Cresima, celebrata il
6 giugno 2004. A causa dei ricoveri, non poté più frequentare la scuola, ma si
tenne in pari con gli studi grazie a un’insegnante privata.
Nel
2008, durante una preghiera comunitaria al Centro Educativo Giovanni Paolo II
di Roma, la struttura per l’educazione scolastica e religiosa dei bambini e
degli adolescenti della Casa di Maria (precisamente, dalle scuole medie in poi;
lei non poté mai frequentarlo permanentemente), venne udita chiedere la grazia
di poter stare, come la Madonna, ai piedi della Croce. Con la stessa serietà
espressa in quella preghiera, aveva cominciato almeno da quattro anni a
considerare la possibilità di essere chiamata a servire Dio tra le Figlie della
Croce, le donne consacrate della Casa di Maria.
Nel
luglio 2009, visto che gli esami clinici non evidenziavano grossi problemi,
Cecilia partì per il ritiro dei ragazzi della Casa di Maria, al santuario di
Notre Dame de la Garaison, presso Tarbes, quindi non lontano da Lourdes.
Tuttavia, nuovi dolori la costrinsero a tornare a Fatima e a essere ancora ricoverata
in ospedale a Coimbra.
Il 26
agosto, rivolta a quanti la circondavano, cominciò un lungo discorso, nel quale
ringraziava Dio, chiedeva perdono alle infermiere e invitava a non piangere
troppo per la sua scomparsa, perché lei, insieme alla Madonna, non li avrebbe
abbandonati. Quindi, nelle mani di don Giacomo, professò i voti come Figlia
della Croce. Due giorni dopo, la mattina del 28 agosto 2009, il suo cuore smise
di battere, mentre veniva spostata per essere vestita con abiti puliti.
La sua
tomba si trova nel cimitero parrocchiale di Fatima, lo stesso dove, prima della
traslazione, hanno riposato i santi Francesco e Giacinta Marto, due dei tre
veggenti delle apparizioni mariane a Fatima.
Cosa c’entra con
me?
Il 23
marzo 2022, come spesso mi accade, stavo consultando il sito Libreria del
Santo, per vedere se ci fosse qualche nuova uscita editoriale che potesse
interessarmi. Ho quasi subito visto il titolo Il cielo di Cecilia e ho
cercato altre informazioni: dall’anteprima presente sul sito dell’editore ho
ricavato che lei era membro della Comunità Casa di Maria, della quale non avevo
mai sentito parlare prima d’allora, o almeno, così credevo.
Ho
cercato il sito della Comunità e ho inviato un’e-mail il giorno stesso, per
chiedere il permesso di scrivere di lei qui e per il periodico degli Amici di
Silvio Dissegna, dove ho una piccola rubrica su bambini, ragazzi e giovani (in
quest’ultimo caso, in minor misura) considerati esemplari, se non con le cause
in corso.
Sul
sito della Comunità ho scoperto anche che i “ragazzi dell’Immacolata” che il
Papa saluta quasi sempre all’Angelus o al Regina Coeli e che portano uno striscione
con la scritta “L’Immacolata Vincerà” sono proprio i membri della Casa di
Maria; lo fanno dai tempi di Giovanni Paolo II, perché sono affiliati alla
Pontificia Accademia dell’Immacolata, della quale il primo presidente era stato
il cardinal Andrzej Maria Deskur, molto amico del Papa polacco.
Il
consenso è arrivato il giorno dopo il mio messaggio, mentre il libro mi è stato
recapitato il 7 aprile 2022. Tuttavia, non l’ho esaminato subito, perché avevo
altri progetti in corso. Ho però iniziato a pensare all’occasione giusta per
pubblicare l’articolo qui: poteva andar bene per il 22 novembre, giorno di
santa Cecilia.
Non
ricordo quando con esattezza, ma ho seguito una puntata di A sua Immagine –
Le ragioni della speranza registrata a Fatima: venne intervistato Paolo, il
padre di Cecilia (mi pare ci fosse anche la mamma). Ho subito ricordato che si
parlava proprio della loro permanenza lì, nel libro, già dal 1995.
Non
molto tempo dopo, precisamente il 12 novembre 2022, mi sono decisa a buttare
via intere annate di Credere, praticamente dalle origini fino al 2017,
per ricavare spazio in casa. Mentre sfogliavo il numero del 14 maggio,
interamente dedicato al centenario delle apparizioni mariane a Fatima, ho
trovato un’intervista di Gerolamo Fazzini di nuovo al signor Paolo: non solo
era menzionata Cecilia, ma c’era anche una foto di gruppo di tutta la famiglia,
lei compresa. Ho subito ripreso il libro: a pagina 18 c’era la medesima
immagine.
A quel punto, ho immaginato che fosse arrivato il momento giusto per occuparmi di lei. Ho iniziato la lettura della biografia il 19 novembre e l’ho conclusa il giorno seguente. Tuttavia, ho rimandato di nuovo l’articolo, per due ragioni: anzitutto perché, leggendo, avevo appurato che il 22 novembre dell’anno seguente (cioè oggi) Cecilia avrebbe compiuto trent’anni. Alla fine è uscito proprio nel numero di novembre di quest’anno (scaricabile qui).
C’era
anche una ragione più profonda: quella ragazza mi era parsa bella, ma come un
fiore di serra. In fin dei conti, era cresciuta protetta dalla sua Comunità e
non aveva fatto scuole esterne dalla quinta elementare in poi, quindi, forse,
poteva non apparire un esempio tanto immediato da presentare. È più o meno lo
stesso paragone che avrei inserito nel post sulla Beata Conchita Barrecheguren García, dimenticandomi
che l’avevo applicato anzitutto a lei.
Tuttavia,
ho presto azzittito il mio “promotore di giustizia interno” (ovvero la vocina
che a volte mi scoraggia dall’occuparmi di qualche personaggio, un po’ come
quella figura incaricata di presentare, nelle cause di beatificazione e
canonizzazione, tutte le prove a sfavore della presunta santità del candidato),
ripensando al fatto che anche Cecilia aveva le sue passioni e i suoi interessi:
ad esempio, amava molto i romanzi fantasy o di avventura, oltre alle vite dei
Santi, e i film come quelli della saga de Il Signore degli Anelli.
Quando stava meglio, poi, si lanciava in giochi tranquilli insieme ai fratelli
o agli altri bambini della Casa; di certo, non stava mai in ozio.
La
lettura mi aveva lasciato poi un dubbio: se l’emissione dei consigli evangelici
nelle mani del fondatore della Comunità potesse essere considerata una vera
professione religiosa. Avevo incontrato un caso simile leggendo della Serva di Dio Santina Campana:
già postulante delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, ricoverata
nel sanatorio Villa Rinaldi di Pescina, aveva emesso i voti nelle mani della
superiora della comunità delle medesime religiose che servivano i malati lì.
La
postulatrice delle cause di quella congregazione, che avevo interpellato
sull’argomento, mi rispose che era un atto simbolico, perché mancava un vescovo
come rappresentante ecclesiastico. Mi è venuto poi da pensare che la suora che
aveva ricevuto i voti di Santina era una superiora locale, non la superiora
generale.
Ho
posto la domanda ai sacerdoti della Casa di Maria, i quali mi hanno trasmesso
la risposta di un loro membro esperto di Diritto Canonico: le Figlie della
Croce sono una “nuova comunità”, per cui, in quel caso, don Giacomo valeva come
rappresentante della Chiesa. La consacrazione di Cecilia è quindi reale, per il
principio per cui salus animarum suprema lex, ovvero la salvezza delle
anime viene prima di tutto.
Quanto
agli aspetti in cui la sento simile a me, il principale è l’interesse per le
vicende sante, tanto da sentirle parte del proprio vissuto. Ovviamente Cecilia
aveva ben presente quelle dei pastorelli di Fatima, che potrei definire suoi
vicini di casa, ma è stato ricordato anche il suo pellegrinaggio a Balasar: nel
raccontare quel che aveva visto, ha riferito l’amico Massimiliano, appariva
come se avesse conosciuto personalmente la Beata Alexandrina Maria Da Costa (mi
piacerebbe parlare anche di lei qui, prima o poi), che proprio lì aveva vissuto
e sigillato l’offerta della propria vita e della sofferenza fisica.
Il suo Vangelo
Per
quel che ho capito, la vita di Cecilia mi è parsa il frutto di un lavoro
interiore, che l’ha condotta a diventare, da bambina distratta e un po’
svagata, un’adolescente riflessiva, amante del silenzio, obbediente ai più
grandi della Casa di Maria, nonché ai fondatori, il “Dongi” e la “zia”, come
amava chiamarli.
In lei
ho letto un grandissimo bisogno di comunione e di amicizie autentiche, come
quella con Maddalena, la sua amica del cuore. Non poter frequentare il Centro
Educativo fu per lei come una coltellata – così la definì in una delle ultime
telefonate a Nicoletta – quindi provava una gioia enorme nelle rare occasioni
in cui poteva passare di lì. Aveva poi un effetto catalizzatore sui bambini più
piccoli: insegnava loro a pregare, a cantare, a non stare mai senza fare nulla;
all’occorrenza li richiamava, perfino.
Dalla
preghiera affermava di ricevere forza e luce, che a sua volta consegnava agli
altri, spesso meravigliandoli; i medici di Coimbra, ad esempio, la
consideravano una piccola lottatrice. Avvenne così anche nei suoi ultimi due
giorni di vita, specie in quel discorso che oggi viene considerato il suo
testamento spirituale.
Poco
prima, durante il ritiro a Notre Dame de la Garaison nel luglio 2009, aveva
composto una preghiera nella quale ringraziava la Madonna perché, attraverso la
malattia, l’aveva aiutata a comprendere la propria vocazione, il valore e il
senso della vita e quanto fosse importante la sua amicizia con Gesù. Concludeva
scrivendo:
Togli o Madre tutta
la sporcizia che non ti piace, voglio abbandonarmi nelle tue mani; conducimi
dove vuoi. Non voglio più disobbedirti perché questo ti causa dolore. Io voglio
stare con te, la cosa più bella che ho sperimentato è sentirsi tanto amati da
te!!
Amen.
La
Comunità Casa di Maria continua a ricordarla in questi anni dalla sua morte e a
sentirla vicina, proprio come lei aveva promesso nel suo estremo commiato.
Per saperne di più
Fratelli
Maryson, Il cielo di Cecilia – Un angelo che canta le lodi del Signore,
Shalom editrice 2022, pp. 128, € 5,00.
Il
racconto della vita di Cecilia, basato sulle testimonianze di chi l’ha
conosciuta.
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