Cecilia Sametti, lottatrice sotto la Croce con Maria

Fotografia scattata a Cecilia
dall’amica Maddalena,
durante il ritiro di luglio 2009
a Notre Dame de la Garaison
 (è la stessa foto presente sulla sua tomba)
Fonte: Fratelli Maryson,
Il cielo di Cecilia – Un angelo che canta le lodi del Signore,
Shalom editrice 2022, p. 6
(per gentile concessione della casa editrice)

 


Chi è?

 

Cecilia Sametti nacque a Roma il 22 novembre 1993, seconda dei sette figli di Paolo Sametti e di sua moglie Lucia, i quali furono tra le prime coppie di sposi a far parte della Comunità Casa di Maria, fondata da don Giacomo Martinelli e Nicoletta Reschini. Fu battezzata nella Cappella Sistina in Vaticano il 9 gennaio 1994, per mano del Papa san Giovanni Paolo II, coi nomi di Maria Cecilia.

Nel 1995, dopo i primi anni, o meglio mesi, trascorsi nella casa di Moricone e nella casa centrale della Comunità a Roma, si trasferì con i genitori a Fatima in Portogallo, perché i suoi genitori erano stati chiamati a fondare la Casa di Maria per l’accoglienza dei pellegrini nel santuario di Nostra Signora di Fatima. Lì iniziò a frequentare la scuola, vivendo insieme agli altri bambini della Casa anche i ritiri spirituali preparati per loro.

Nell’ottobre 2002 le comparve un rigonfiamento sospetto sul gluteo sinistro, che non accennava a riassorbirsi. Ricoverata al pronto soccorso di Leiria, quindi all’ospedale pediatrico di Coimbra, ricevette la diagnosi: aveva un rabdomiosarcoma. Dopo la prima sessione di radioterapia, venne considerata guarita, tanto che riuscì a celebrare la sua Prima Comunione il 27 aprile 2003, nella cappellina della casa di Fatima.

L’11 novembre 2003, mentre si trovava a scuola, Cecilia ebbe i segnali della prima recidiva, a cui seguirono altre quattro. Mentre seguiva le cure, ricoverata frequentemente, la bambina era accompagnata dalla preghiera di tutta la sua Comunità.

Tornò in Italia molto spesso, ad esempio in occasione della sua Cresima, celebrata il 6 giugno 2004. A causa dei ricoveri, non poté più frequentare la scuola, ma si tenne in pari con gli studi grazie a un’insegnante privata.

Nel 2008, durante una preghiera comunitaria al Centro Educativo Giovanni Paolo II di Roma, la struttura per l’educazione scolastica e religiosa dei bambini e degli adolescenti della Casa di Maria (precisamente, dalle scuole medie in poi; lei non poté mai frequentarlo permanentemente), venne udita chiedere la grazia di poter stare, come la Madonna, ai piedi della Croce. Con la stessa serietà espressa in quella preghiera, aveva cominciato almeno da quattro anni a considerare la possibilità di essere chiamata a servire Dio tra le Figlie della Croce, le donne consacrate della Casa di Maria.

Nel luglio 2009, visto che gli esami clinici non evidenziavano grossi problemi, Cecilia partì per il ritiro dei ragazzi della Casa di Maria, al santuario di Notre Dame de la Garaison, presso Tarbes, quindi non lontano da Lourdes. Tuttavia, nuovi dolori la costrinsero a tornare a Fatima e a essere ancora ricoverata in ospedale a Coimbra.

Il 26 agosto, rivolta a quanti la circondavano, cominciò un lungo discorso, nel quale ringraziava Dio, chiedeva perdono alle infermiere e invitava a non piangere troppo per la sua scomparsa, perché lei, insieme alla Madonna, non li avrebbe abbandonati. Quindi, nelle mani di don Giacomo, professò i voti come Figlia della Croce. Due giorni dopo, la mattina del 28 agosto 2009, il suo cuore smise di battere, mentre veniva spostata per essere vestita con abiti puliti.

La sua tomba si trova nel cimitero parrocchiale di Fatima, lo stesso dove, prima della traslazione, hanno riposato i santi Francesco e Giacinta Marto, due dei tre veggenti delle apparizioni mariane a Fatima.

 

Cosa c’entra con me?

 

Il 23 marzo 2022, come spesso mi accade, stavo consultando il sito Libreria del Santo, per vedere se ci fosse qualche nuova uscita editoriale che potesse interessarmi. Ho quasi subito visto il titolo Il cielo di Cecilia e ho cercato altre informazioni: dall’anteprima presente sul sito dell’editore ho ricavato che lei era membro della Comunità Casa di Maria, della quale non avevo mai sentito parlare prima d’allora, o almeno, così credevo.

Ho cercato il sito della Comunità e ho inviato un’e-mail il giorno stesso, per chiedere il permesso di scrivere di lei qui e per il periodico degli Amici di Silvio Dissegna, dove ho una piccola rubrica su bambini, ragazzi e giovani (in quest’ultimo caso, in minor misura) considerati esemplari, se non con le cause in corso.

Sul sito della Comunità ho scoperto anche che i “ragazzi dell’Immacolata” che il Papa saluta quasi sempre all’Angelus o al Regina Coeli e che portano uno striscione con la scritta “L’Immacolata Vincerà” sono proprio i membri della Casa di Maria; lo fanno dai tempi di Giovanni Paolo II, perché sono affiliati alla Pontificia Accademia dell’Immacolata, della quale il primo presidente era stato il cardinal Andrzej Maria Deskur, molto amico del Papa polacco.

Il consenso è arrivato il giorno dopo il mio messaggio, mentre il libro mi è stato recapitato il 7 aprile 2022. Tuttavia, non l’ho esaminato subito, perché avevo altri progetti in corso. Ho però iniziato a pensare all’occasione giusta per pubblicare l’articolo qui: poteva andar bene per il 22 novembre, giorno di santa Cecilia.

Non ricordo quando con esattezza, ma ho seguito una puntata di A sua Immagine – Le ragioni della speranza registrata a Fatima: venne intervistato Paolo, il padre di Cecilia (mi pare ci fosse anche la mamma). Ho subito ricordato che si parlava proprio della loro permanenza lì, nel libro, già dal 1995.

Non molto tempo dopo, precisamente il 12 novembre 2022, mi sono decisa a buttare via intere annate di Credere, praticamente dalle origini fino al 2017, per ricavare spazio in casa. Mentre sfogliavo il numero del 14 maggio, interamente dedicato al centenario delle apparizioni mariane a Fatima, ho trovato un’intervista di Gerolamo Fazzini di nuovo al signor Paolo: non solo era menzionata Cecilia, ma c’era anche una foto di gruppo di tutta la famiglia, lei compresa. Ho subito ripreso il libro: a pagina 18 c’era la medesima immagine.

A quel punto, ho immaginato che fosse arrivato il momento giusto per occuparmi di lei. Ho iniziato la lettura della biografia il 19 novembre e l’ho conclusa il giorno seguente. Tuttavia, ho rimandato di nuovo l’articolo, per due ragioni: anzitutto perché, leggendo, avevo appurato che il 22 novembre dell’anno seguente (cioè oggi) Cecilia avrebbe compiuto trent’anni. Alla fine è uscito proprio nel numero di novembre di questanno (scaricabile qui).

C’era anche una ragione più profonda: quella ragazza mi era parsa bella, ma come un fiore di serra. In fin dei conti, era cresciuta protetta dalla sua Comunità e non aveva fatto scuole esterne dalla quinta elementare in poi, quindi, forse, poteva non apparire un esempio tanto immediato da presentare. È più o meno lo stesso paragone che avrei inserito nel post sulla Beata Conchita Barrecheguren García, dimenticandomi che l’avevo applicato anzitutto a lei.

Tuttavia, ho presto azzittito il mio “promotore di giustizia interno” (ovvero la vocina che a volte mi scoraggia dall’occuparmi di qualche personaggio, un po’ come quella figura incaricata di presentare, nelle cause di beatificazione e canonizzazione, tutte le prove a sfavore della presunta santità del candidato), ripensando al fatto che anche Cecilia aveva le sue passioni e i suoi interessi: ad esempio, amava molto i romanzi fantasy o di avventura, oltre alle vite dei Santi, e i film come quelli della saga de Il Signore degli Anelli. Quando stava meglio, poi, si lanciava in giochi tranquilli insieme ai fratelli o agli altri bambini della Casa; di certo, non stava mai in ozio.

La lettura mi aveva lasciato poi un dubbio: se l’emissione dei consigli evangelici nelle mani del fondatore della Comunità potesse essere considerata una vera professione religiosa. Avevo incontrato un caso simile leggendo della Serva di Dio Santina Campana: già postulante delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, ricoverata nel sanatorio Villa Rinaldi di Pescina, aveva emesso i voti nelle mani della superiora della comunità delle medesime religiose che servivano i malati lì.

La postulatrice delle cause di quella congregazione, che avevo interpellato sull’argomento, mi rispose che era un atto simbolico, perché mancava un vescovo come rappresentante ecclesiastico. Mi è venuto poi da pensare che la suora che aveva ricevuto i voti di Santina era una superiora locale, non la superiora generale.

Ho posto la domanda ai sacerdoti della Casa di Maria, i quali mi hanno trasmesso la risposta di un loro membro esperto di Diritto Canonico: le Figlie della Croce sono una “nuova comunità”, per cui, in quel caso, don Giacomo valeva come rappresentante della Chiesa. La consacrazione di Cecilia è quindi reale, per il principio per cui salus animarum suprema lex, ovvero la salvezza delle anime viene prima di tutto.

Quanto agli aspetti in cui la sento simile a me, il principale è l’interesse per le vicende sante, tanto da sentirle parte del proprio vissuto. Ovviamente Cecilia aveva ben presente quelle dei pastorelli di Fatima, che potrei definire suoi vicini di casa, ma è stato ricordato anche il suo pellegrinaggio a Balasar: nel raccontare quel che aveva visto, ha riferito l’amico Massimiliano, appariva come se avesse conosciuto personalmente la Beata Alexandrina Maria Da Costa (mi piacerebbe parlare anche di lei qui, prima o poi), che proprio lì aveva vissuto e sigillato l’offerta della propria vita e della sofferenza fisica.

 

Il suo Vangelo

 

Per quel che ho capito, la vita di Cecilia mi è parsa il frutto di un lavoro interiore, che l’ha condotta a diventare, da bambina distratta e un po’ svagata, un’adolescente riflessiva, amante del silenzio, obbediente ai più grandi della Casa di Maria, nonché ai fondatori, il “Dongi” e la “zia”, come amava chiamarli.

In lei ho letto un grandissimo bisogno di comunione e di amicizie autentiche, come quella con Maddalena, la sua amica del cuore. Non poter frequentare il Centro Educativo fu per lei come una coltellata – così la definì in una delle ultime telefonate a Nicoletta – quindi provava una gioia enorme nelle rare occasioni in cui poteva passare di lì. Aveva poi un effetto catalizzatore sui bambini più piccoli: insegnava loro a pregare, a cantare, a non stare mai senza fare nulla; all’occorrenza li richiamava, perfino.

Dalla preghiera affermava di ricevere forza e luce, che a sua volta consegnava agli altri, spesso meravigliandoli; i medici di Coimbra, ad esempio, la consideravano una piccola lottatrice. Avvenne così anche nei suoi ultimi due giorni di vita, specie in quel discorso che oggi viene considerato il suo testamento spirituale.

Poco prima, durante il ritiro a Notre Dame de la Garaison nel luglio 2009, aveva composto una preghiera nella quale ringraziava la Madonna perché, attraverso la malattia, l’aveva aiutata a comprendere la propria vocazione, il valore e il senso della vita e quanto fosse importante la sua amicizia con Gesù. Concludeva scrivendo:

Togli o Madre tutta la sporcizia che non ti piace, voglio abbandonarmi nelle tue mani; conducimi dove vuoi. Non voglio più disobbedirti perché questo ti causa dolore. Io voglio stare con te, la cosa più bella che ho sperimentato è sentirsi tanto amati da te!!

Amen.

La Comunità Casa di Maria continua a ricordarla in questi anni dalla sua morte e a sentirla vicina, proprio come lei aveva promesso nel suo estremo commiato.

 

Per saperne di più

 

Fratelli Maryson, Il cielo di Cecilia – Un angelo che canta le lodi del Signore, Shalom editrice 2022, pp. 128, € 5,00.

Il racconto della vita di Cecilia, basato sulle testimonianze di chi l’ha conosciuta.

Commenti

Post più popolari